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La sinistra è di destra? E viceversa?

di Roberto Pecchioli - 06/09/2025

La sinistra è di destra? E viceversa?

Fonte: EreticcaMente

Grande è la confusione sotto il cielo. Condizione perfetta per i rivoluzionari, diceva Mao. Se ce ne fossero e se fosse possibile rintracciarli su Chi l’ha visto. La maggioranza vive nell’indifferenza narcotica suscitata dal sistema; gli altri si baloccano con le categorie del passato, inservibili al tempo del globalismo, del tramonto dell’occidente, del suicidio della civiltà europea, dell’individualismo, della postdemocrazia. Destra e sinistra sono simulacri di se stesse, ridotte a prendere sul serio l’ironia di Giorgio Gaber: la bresaola è di destra, la mortadella di sinistra. Solo così si può spiegare l’isteria antifascista di certa sinistra e quella anticomunista, uguale e contraria, di certa destra. Capita, leggendo in rete interventi di intellettuali di destra, di apprendere che il marxismo culturale è al potere. Nelle librerie ampi scaffali in cui pensosi uomini di cultura spiegano come qualmente viviamo sotto il fascismo. Antonio Scurati ci ha costruito successo e conto in banca.

È il caso di fare un minimo di chiarezza. Partiamo da sinistra, avvertendo il lettore che utilizziamo il termine – come il suo antagonista – in base al significato novecentesco. La prima constatazione è che il dibattito sull’ideologia occidentale non tocca temi di enorme importanza sulla vita della popolazione: l’ipertrofia dello Stato, il livello crescente della tassazione, il potere della finanza, la sovranità monetaria, la privatizzazione dilagante, la distinzione tra Stato ed istituzioni pubbliche da un lato, società civile e comunità dall’altro. Su tutti questi argomenti vige una congiura del silenzio osservata da gran parte degli attori politici, mediatici e culturali. Si è formato un ampio cerchio in cui sono ammesse tutte le idee, purché compatibili con il sistema dominante, liberista in economia, libertino-libertario sui valori civili declinati in termini di diritti individuali, indifferente ai temi spirituali, convinto del mito del progresso per cui oggi è sempre migliore di ieri.

L’ideologia postmoderna è tutta qui. Difficile applicare l’etichetta di destra o di sinistra: il sistema liberale, o società aperta, include e digerisce tutto, purché non metta in discussione l’essenziale. Liberalismo politico (sempre meno, in verità), liberismo economico, libertarismo/libertinismo valoriale, materialismo scientista all’ombra del mercato misura di tutte le cose. Il pensiero corrente è un progressismo smemorato in cui dominano il denaro e l’interesse soggettivo, declinazione postmoderna della libertà. In questo senso la sinistra è un po’ di destra. E viceversa. Segno che le definizioni di ieri non definiscono quasi nulla. Basta studiare l’evoluzione delle ideologie moderne per verificare che si tratta di prigioni della realtà. La sinistra si distingueva – anche quando non si dichiarava marxista – per un’interpretazione della storia legata alle condizioni materiali di vita, in particolare i rapporti economici e di produzione. Per il soggetto di sinistra, il cambiamento politico – rivoluzionario o riformista – era il risultato di conflitti di classe che rendevano possibile la trasformazione dei rapporti economici. Una visione materialista aperta a molte critiche, poiché la realtà umana non è solo materiale e le nostre decisioni e convinzioni non sono guidate esclusivamente dal criterio dell’interesse. Al centro della filosofia materialista c’è un determinismo cieco portato a ignorare che molte decisioni, idee, atteggiamenti, si spiegano in termini spirituali, ideali o morali.

Il materialismo di sinistra era avverso alla religione perché la considerava un’alienazione che disconnette dalle realtà materiali che plasmano la vita. Aborriva ogni forma di idealità perché estranea alle condizioni concrete dell’esistenza umana (lotta di classe, disuguaglianze economiche), favorendo modelli e valori incompatibili con l’impulso rivoluzionario. Per Marx ogni idealismo è oppio dei popoli perché dà priorità alle idee che ci formiamo sulle cose rispetto alle condizioni materiali di oppressione in cui viviamo. Era particolarmente avverso al pensiero di George Berkeley per il quale la realtà dipende dalla percezione del soggetto (“essere è essere percepiti”); un principio che riteneva aberrante, poiché affidare le realtà materiali alla percezione individuale conduce a un egocentrismo incapacitante in termini di lotta di classe. Verissimo, ma che dire dell’influsso di Hegel, che proclamò il primato dell’idea?

Curiosamente il materialismo è diventato utopismo forsennato: la realtà è piegata alla percezione del soggetto, nuova frontiera del progressismo che non trova avversari a destra, dove l’individualismo è un principio fondante. Questa aberrazione ha trovato la sua espressione compiuta nel transgenderismo, secondo cui ciascuno può scegliere (e revocare) finanche il sesso, ribattezzato genere con decine di varianti, in conflitto con la realtà biologica. Una negazione del solido, ancorché angusto, materialismo di ieri. E che dire di altri concetti della fucina progressista assai cari a destra, come la nefasta resilienza (lanciata da Barack Obama e in Italia da Mario Draghi) che invera alcune preoccupazioni marxiane: il resiliente è adattivo, rassegnato, finisce per accettare senza combatterle l’inevitabilità delle ingiustizie economiche e sociali. Anche qui, destra o sinistra?

La fluidità di genere è un’espressione della fluidità prescritta ai resilienti nel lavoro, nella famiglia e nell’intera esistenza: sei tu che devi cambiare, che devi sacrificarti nella precarietà, sei tu che devi tagliarti il pene o il seno se ti convinci di vivere nel corpo sbagliato. È lo stesso meccano mentale del cambiamento climatico: devi “scegliere” la povertà se non vuoi che muoia l’ambiente. Così, abbracciando l’idealismo in salsa hegeliana, la sinistra ha dimenticato il comunismo e la lotta alla proprietà privata, raggiungendo la destra nell’accettazione delle relazioni economiche esistenti. Il capitalismo globalista ha capito al volo e preferisce la nuova sinistra alla vecchia destra, perché la prima, nel suo sfrenato ide(al)ismo, è riuscita a far sì che i suoi seguaci alienati si accontentassero di cambiare se stessi, senza attaccare le relazioni economiche. Li ha trasformati in esseri lobotomizzati che credono alle fantasie più bizzarre e danno per scontato che non si possa far nulla per fermare la concentrazione del capitale, il potere finanziario, la precarietà sociale. La neo sinistra un po’ di destra è diventata oggettivamente (avverbio caro ai marxisti) la forza più efficace al servizio del capitale.

Potere dell’hegelismo, della lettura a-comunista di Marx dei francofortesi e dell’astuzia del liberalcapitalismo. Poi viene la narrazione, la versione a uso della massa, il linguaggio con cui viene legittimato o escluso ciò che interessa al potere. Qui il versante progressista è imbattibile, poiché il cambiamento è nel suo Dna. Una delle battaglie è il controllo del linguaggio. A seconda dei termini utilizzati, prevale una narrazione o l’altra. Ci è stata imposta una neolingua politicamente e ideologicamente orientata dalla sinistra al caviale. La destra, non pervenuta, a parte alcuni coraggiosi intellettuali guardati con malcelato fastidio dal livello politico. Molte sono le espressioni della neolingua diffuse con intenzioni ideologiche. La più grande vittoria è l’imposizione del termine migrante. Dobbiamo dire migranti per nascondere che sono qui per restare. Chiamare migrante un essere umano è offensivo: le migrazioni riguardano alcune specie animali che si spostano a seconda della stagione alla ricerca del clima adatto al nutrimento e alla riproduzione. Migrano, cioè vanno e vengono. Qualcuno crede che chi rischia la vita sui barchini abbia intenzione di tornare ai luoghi di origine? Con “migranti”, come con tante altre parole, stanno vincendo la battaglia dei significati. La sinistra si muove, la destra guarda perplessa e rincorre trafelata: quasi indistinguibili.

Alcuni maledicono il marxismo, sconfitto ma presente dopo aver metabolizzato psicanalisi e decostruzione. Di Marx viene cassato il comunismo e mantenuto il materialismo unito alla dialettica oppressore-oppresso; la lotta non è più tra classi sociali ma tra identità. Lotta dei sessi, delle minoranze (etniche e sessuali, principalmente), di tutte le cosiddette diversità. Il necrologio del comunismo non comprende la versione freudiana, francofortese, anarcoide e decostruzionista dominante dal Sessantotto. Secondo lo storico Sean McMeekin l’essenza del marxismo non risiede nell’economia, cioè nella costruzione della società comunista, ma nell’imperativo di distruzione del vecchio mondo, nel rifiutare i valori tradizionali e trasformare gli individui e la società. Da qui la sua spinta proteiforme. Tesi suggestiva, tuttavia il marxismo senza comunismo è il radicalismo ottocentesco più la dialettica oppressore-oppresso rivisitata.

Il soggetto rivoluzionario non è più il proletariato, sono le donne, i neri, gli immigrati, le persone LGBT, i grassi, i troppo magri, i brutti e ogni altro segmento minoritario di società. Gli oppressori da abbattere sono uomini, bianchi, eterosessuali. Nulla che crei problemi al liberalcapitalismo, interessato alle occasioni di profitto. Il limite della destra classica, per la quale i valori sono quelli misurabili in denaro. Il “dolce commercio” di Montesquieu per una destra sinistrata, se c’è da guadagnarci. Gli oppressi di oggi sono chiamati vittime. I proletari cantati nell’Internazionale non sono più i lavoratori, ma tutti i dannati – e gli spostati – della terra. La rivoluzione si è trasferita dalla sfera pubblica a quella privata. Il femminismo ha eretto una barricata tra donne e uomini, seguendo Michel Foucault, che concepiva il corpo come territorio di lotta per il potere, e Judit Butler, madrina della teoria di genere, per la quale la natura umana è plasmabile come argilla.

Il passo successivo è il postumanesimo, la rottamazione finale per dare vita a un paradiso senza limiti fisici. Teorie insegnate come scienza nei campus americani ed europei, rilanciate nei media, nei libri e nei film. Ma che c’entra il marxismo? Marx nell’XI Tesi sosteneva che fosse giunta l’ora di cambiare il mondo, ma il progressismo si nutre dei peggiori tratti dell’iperliberismo (individualismo, arroganza scientista, relativismo, oblio della memoria). Il transumanesimo è un delirio neocapitalista. Le legislazioni antifamiliari e abortiste evocano Engels ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, e furono i bolscevichi i primi a bombardare l’istituto familiare con il divorzio facile e l’aborto gratuito. Poi tornarono indietro, almeno in parte, per ragioni pratiche, mentre il radicalismo liberale avanza ogni dì e ha inventato il gender, il matrimonio omosessuale, l’arcobaleno LGBT.

L’ingegneria sociale dei sistemi che si definiscono democratici ha pretese totalitarie, trasformando l’istruzione in indottrinamento e accrescendo il controllo sui cittadini. Un esempio è il confinamento epidemico, ibridazione del totalitarismo cinese (comunista ma prima confuciano) con la postdemocrazia occidentale. Pensavamo che la censura fosse prerogativa delle vecchie dittature ed eccoci a fare i conti con la museruola democratica, con la paura di parlare o scrivere. I più zelanti custodi del politicamente corretto sono progressisti, non marxisti. Il rifiuto della religione è sì un tratto marxista, ma l’indifferenza spirituale liberale è diventata furore che ha rigettato il richiamo alla radice cristiana nella liberalissima Unione Europea, arrivata a vietare la parola Natale. L’Europa di oggi è la prima società atea della storia, come sottolineava compiaciuto il filosofo André Glucksmann. “La prima volta che Dio è morto è stato sulla croce. La seconda nei libri di Marx e Nietzsche. Il terzo, nella psiche delle masse europee.”. Che non sono comuniste. Ha vinto un singolare ircocervo oppressivo e nichilista, marxismo senza comunismo più liberalismo orfano delle libertà. L’ibridazione non lascerà eredi.