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La Siria martire, l'Occidente ipocrita

di Franco Cardini - 14/02/2023

La Siria martire, l'Occidente ipocrita

Fonte: Franco Cardini

LA SIRIA MARTIRE, L’OCCIDENTE IPOCRITA (A PROPOSITO DI AGGRESSORI E DI AGGREDITI, SENZA SE E SENZA MA…)
LA SECONDA MORTE DI ALEPPO, CITTÀ MARTIRE. PRIMA LA GUERRA, POI IL TERREMOTO

Dalla guerra civile alla lotta al terrorismo, era diventata un immenso crocevia di profughi. E ora la cittadella con il ponte-rampa dai prestigiosi arditissimi arconi, l’antico bazaar e il museo archeologico sono solo un ricordo.
“Dio benedica Aleppo”. Cominciava proprio con queste parole. Alla pagina 82, il paragrafo dedicato alla bella città siriana di un libro davvero rivelatore, Mezzaluna sciita. Dalla lotta al terrorismo alla difesa dei cristiani d’Oriente (Edizioni Gog) di un bravo e coraggioso giornalista, il trentenne romano Sebastiano Caputo: un lavoro di primissima mano, scritto sui luoghi della guerra scoppiata nel 2011.
Il nascere dello “Stato islamico” (Isis per noi, Daesh per il mondo arabo) conferì a quel conflitto anche un forte carattere religioso: da una parte i sunniti appoggiati dal ‘califfo’ al-Baghdadi, dall’altra gli sciiti con la milizia Hezbollah, la sètta alawita (o ansariyya), sciita con influenze cristiane cui appartiene la famiglia presidenziale degli Assad e la varie Chiese cristiane presenti in quell’area, una delle più interessanti del Vicino Oriente dal punto di vista religioso. Dal 2016, allorché le forze governative liberarono la città dal ‘califfato’ terroristico riportando la sconvolta ma in quei luoghi tradizionale coesistenza religiosa, Aleppo è tornata a vivere: ma la guerra civile l’ha quasi distrutta mentre la trasformava in una specie d’immenso campo profughi. Ora il sisma ha perfezionato la maledetta opera distruttrice della guerra.
Le squadre di soccorso cercano vittime e sopravvissuti bloccati sotto le macerie.
Eppure chi ha visitato la città e la ricorda com’era un tempo, con la sua splendida cittadella con l’ardua rampa ad arconi del XIII secolo che la collegava alla città bassa, il bazaar (uno dei più belli e pittoreschi di tutta l’area tra il Mar di Levante e Baghdad) e lo splendido museo archeologico, ora anch’esso danneggiato, ne conserva un ricordo fiabesco e struggente. Con Aleppo nel corso di poco più di una decina di anni, dallo scoppio della guerra civile al terremoto, se n’è andata sul serio una gemma dell’Asia occidentale. La si potrebbe e dovrebbe restaurare e ricostruire. Ciò dovrebb’essere un sacrosanto impegno dell’Onu. Ma chissà…
Aleppo – una gloria di Dio, un prodigio del genere umano, un tesoro del mondo – è una città antichissima. Il suo primo nucleo appartiene alla civiltà hittita, alla fine del secondo millennio prima di Gesù Cristo. Passata dagli hittiti – indoeuropei domatori di cavalli e forgiatori di armi di ferro – ai semiti amorrei, quindi ai persiani, la città venne conquistata da Alessandro Magno nella seconda metà del IV secolo a.C. e quindi, con il nome di Béroia, fu una delle metropoli della monarchia greco-siriaca dei Seleucidi, eredi di un generale del grande Macedone. Conquistata dai romani nel 65 a.C.
conobbe una ridefinizione urbana della quale fu testimone il colossale tempio di Zeus, trasformato nel V secolo in Cattedrale bizantina.
Gli arabi la presero nel 637, appena cinque anni dopo la morte del Profeta e uno prima d’impadronirsi di Gerusalemme: e vi eressero splendide moschee come quella “del gelso” – le sete siriane erano già famose – e l’immensa moschea fondata nel 715. Celebre una meravigliosa scuola coranica: la Madrasa del Paradiso. Musulmani soprattutto sciiti, numerosi ebrei e cristiani di varie confessioni popolarono questo centro dedito soprattutto al commercio: finché nel XII secolo i sopravvenuti turchi selgiuchidi – provenienti dall’Asia centrale ma convertiti all’Islam sunnita pi rigoroso – organizzarono tra Siria e Iraq attuali del nord una grand province che comprendeva le due metropoli di Halab (Aleppo, appunto), ora in Siria, e di Mosul, ora in Iraq. Attorno a questa seconda città si andarono addensando gli appartenenti all’etnia curda: e curdo era appunto un generale del governatore di Aleppo e Mosul che verso al fine del XII secolo si distinse nella lotta vittoriosa contro i crociati: il Saladino. Quindi, khan mongoli e sultano egizio-mamelucchi se la disputarono. Passata nel 1520 sotto il dominio dei turchi ottomani e del sultanato d’Istanbul, Aleppo sviluppò al massimo la sua vocazione mercantile e intellettuale divenendo anche un importante nodo ferroviario: una borghesia raffinata e occidentalizzante ne favorì prima i moti indipendentisti antiturchi nell’Ottocento, quindi il passaggio come protettorato alla Francia nel 1918 al suo transito alla repubblica di Siria, formalmente indipendente e, come il vicino Libano, profondamente francesizzata.
Aleppo, se il mondo andasse per il suo verso, sarebbe un paradiso di cultura, di turismo, di joie de vivre. Lo fu a lungo, nonostante tutto. Oggi tutto ciò è un ricordo. Quel che il terrorismo e la guerra non hanno fatto dal 2011 in poi, lo ha fatto il terremoto. Dio torni a benedire la dolce Aleppo: che se lo meriterebbe.
(La Nazione, 8 febbraio 2023)

TERREMOTO IN TURCHIA E SIRIA. PADRE PATTON O.F.M. (CUSTODE TERRA SANTA): “LE SANZIONI SONO DISUMANE E IMMORALI”
“Le sanzioni sono disumane e immorali. Trovo scandaloso che in un momento del genere, così tragico, non si sia capaci di rimuovere o sospendere le sanzioni. In Siria la gente sta morendo. Gli aiuti che arrivano provengono dai paesi arabi come Egitto, Iran, Algeria… L’Occidente sta di nuovo perdendo il treno”. A dichiararlo al Sir è il custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, parlando del terremoto che alle 4.17 del 6 febbraio scorso ha colpito la Turchia e la Siria, in particolare le zone del Nord Ovest, dove la Custodia è presente con le comunità della Valle dell’Oronte, Aleppo e Latachia.
“I frati stanno tutti bene – dice il francescano – ma i danni sono ingenti sia nei villaggi di Knaye e Yakoubie, sia ad Aleppo e Latachia. I nostri confratelli stanno facendo un lavoro straordinario di accoglienza nelle nostre strutture più solide, tanto che nella sola Aleppo stiamo accogliendo e assistendo più di 2500 persone”. Ma è “solo una goccia nell’oceano”, avverte padre Patton che evidenzia come “gli aiuti internazionali sembra stiano andando tutti in Turchia e che la Siria sia tagliata fuori dal circuito internazionale proprio a causa delle sanzioni in vigore da parte di Usa e Ue”. A riguardo aggiunge il custode: “Ho ascoltato le dichiarazioni del Segretario di Stato Usa, Blinken che, parlando col suo omologo austriaco, diceva che gli Stati Uniti stanno lavorando con i suoi partner per fornire soccorsi per il terremoto in Siria, ma sono fermi contro la collaborazione con il governo di Damasco. Qui, in questo momento, serve avere uno sguardo umanitario, che non c’è. Mi chiedo dove sia l’Europa”. La Custodia di Terra Santa non è l’unica a chiedere la rimozione delle sanzioni così da permettere l’arrivo di aiuti umanitari ai terremotati siriani. Molte ong, in testa l’italiana Avsi, e altre chiese del Medio Oriente hanno elevato la medesima richiesta. La Cina stessa, per bocca della portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, oggi ha affermato che gli Usa “dovrebbero mettere da parte l’ossessione geopolitica, revocare immediatamente le sanzioni unilaterali alla Siria e aprire la porta all’assistenza umanitaria di fronte alla catastrofe”. Da parte nostra, conclude Patton, “abbiamo avviato una campagna di raccolta fondi con ‘Pro Terra Sancta’. Preghiamo per tutti coloro che sono stati colpiti dal sisma e mobilitiamoci tutti per sensibilizzare su questa nuova sofferenza che ha colpito i nostri fratelli dopo 12 anni di guerra”.
(Sir – Agenzia d’Informazione, 8 febbraio 2023)

TERREMOTO. PADRE BAHJAT KARAKACH: “ALMENO ORA TOGLIETE LE SANZIONI ALLA SIRIA”
di Giorgio Paolucci
Il parroco della chiesa latina di Aleppo: “La ricostruzione post-bellica non è mai iniziata”, chiese e moschee sono diventate rifugi. L’embargo ha colpito la povera gente, che oggi muore senza aiuti.
Negli occhi di Jamila c’è il terrore e la disperazione di chi non trova un posto dove posare il cuore. L’anno scorso, a 92 anni suonati, era sfollata a Latakia con la famiglia dopo essere scappata da Idlib, dove dettano legge i ribelli di al-Nusra, uno dei gruppi armati jihadisti che combattono contro Assad, responsabili di violenze e vessazioni nei confronti dei cristiani che abitano quella regione.
La notte del terremoto si è precipitata in strada con la famiglia, ma visto che la casa dove vivevano aveva retto alle scosse erano rientrati. Ieri hanno dovuto lasciarla perché è stata dichiarata pericolante e così Jamila ha trovato rifugio nel convento francescano insieme ad altre 200 persone.
È lì che l’ha incontrata Giacomo Pizzi, volontario dell’associazione Pro Terra Sancta che in questi giorni è all’opera nei luoghi dove i francescani sono presenti, ad Aleppo e a Latakia, e dove hanno trovato rifugio 4.000 persone.
“Oltre agli edifici crollati, molti sono stati evacuati perché dichiarati inagibili”, racconta. “Abbiamo conosciuto situazioni drammatiche come quella di Jamila e di altre persone, che per la seconda volta in poco tempo hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni. Sfollati a causa della guerra e ora nuovamente sfollati”. Come è accaduto a un gruppo di famiglie palestinesi discendenti dei profughi post-1948 che vivevano in un insediamento alla periferia meridionale di Latakia, dove il terremoto ha colpito duramente. Esistenze già precarie, che ora si misurano con nuove fragilità.
“I bisogni sono tanti: cibo, coperte, materassi, farmaci, gli aiuti faticano ad arrivare e le comunicazioni sono spesso interrotte. In alcuni quartieri le tubature sono saltate, esce acqua torbida e imbevibile. Tra le macerie i bambini cercano di recuperare metalli e oggetti che possano essere venduti. E sono evidenti le conseguenze delle sanzioni imposte da anni, che colpiscono il popolo e hanno reso sempre più difficile l’opera di ricostruzione dopo le devastazioni portate da 12 anni di guerra”.
Padre Bahjat Karakach, francescano e parroco della chiesa latina di Aleppo, conferma: “La ricostruzione post-bellica non è mai iniziata: tutto è frenato dall’embargo che ci isola dal resto del mondo. Non ci sono investimenti, c’è molta corruzione, la gente continua a emigrare. La politica delle sanzioni non porta a nessuna soluzione”.
Ad Aleppo chiese e moschee sono diventate rifugio per migliaia di senzatetto. “Da noi accogliamo cristiani e musulmani, serviamo tre pasti al giorno”, racconta il frate. “Nessuno vuole rientrare a casa nel timore di altre scosse e a causa della situazione di pericolo di molte abitazioni”.
Ad Aleppo Est l’associazione Pro Terra Sancta gestisce tre centri di accoglienza per orfani o bambini figli di madri stuprate quando la zona era occupata dai ribelli, ci sono vittime che non hanno neppure un nome. “In questi luoghi avevamo un migliaio di bambini che non riescono a ottenere un riconoscimento e non sono mai stati regolarizzati”, spiega Bahjat. “Sono nati sotto i bombardamenti e ora alcuni di loro sono morti sotto il terremoto”.
Alla denuncia di padre Bahjat sui danni provocati dalle sanzioni si unisce quella dell’italiana suor Marta dal monastero trappista di Azer, ai confini con il Libano.
“Le parole di conforto di tanti che sono vicini alla nostra gente, i gesti di aiuto fanno bene al cuore”, dice suor Marta. “Riscaldano, nel freddo che domina in mezzo alle macerie. Ma le parole di cordoglio di tante istituzioni fanno reagire: dove eravate in questi anni, voi che avreste potuto fare una grande differenza, quando giorno dopo giorno la nostra gente è arrivata letteralmente a morire di fame? Certo, non solo le sanzioni hanno portato a questo. Ma anche le sanzioni, e pesantemente”.
“Se le condizioni generali della gente non fossero state così disperate, oggi ci sarebbero più mezzi per scavare nelle macerie, e salvare ancora qualcuno. Ci sarebbero ospedali più attrezzati, farmacie fornite del fabbisogno, più case capaci di accogliere i rifugiati, più persone con lavoro e risorse per aiutare i propri fratelli”, racconta la religiosa. “Ci voleva tutto questo per far aprire gli occhi sulla tragedia siriana, di cui nessuno parlava più da tempo? I morti li affidiamo a Dio e alla sua Misericordia. Ma i vivi hanno bisogno di una speranza tangibile e concreta che la vita si possa ricostruire. Per favore, alzate la vostra voce perché si tolgano subito le sanzioni. Che almeno la tragedia e la sofferenza di tanti morti che ancora sono sotto le macerie serva ad aiutare la speranza dei vivi”.
(Avvenire, 10 febbraio 2023)

GLI STATI UNITI HANNO RIMOSSO (BONTÀ LORO…) UNA DELLE SANZIONI ALLA SIRIA
Per facilitare l’invio di aiuti umanitari al paese colpito dal terremoto, gli Stati Uniti hanno sospeso per sei mesi una misura di controllo delle transazioni.
Giovedì 9 febbraio il dipartimento del Tesoro statunitense ha deciso di sospendere per sei mesi una delle numerose sanzioni internazionali imposte da anni alla Siria per spingere il presidente autoritario Bashar al Assad a risolvere pacificamente la guerra civile, in corso da oltre un decennio. Lo scopo della sospensione è facilitare l’arrivo di aiuti alla popolazione colpita dal gravissimo terremoto avvenuto nella notte tra domenica e lunedì: ha causato la morte di almeno 25mila persone, di cui 3.500 in Siria, ma è una stima provvisoria, perché sono crollati interi edifici e ci sono ancora migliaia di dispersi sotto le macerie.
Le sanzioni americane prevedevano già delle eccezioni per gli aiuti umanitari, ma ora sarà più facile organizzarli. Infatti il dipartimento del Tesoro ha deciso di consentire che tutte le transazioni economiche legate alle iniziative umanitarie non debbano essere approvate da uno specifico ufficio, l’Office of Foreign Assets Control (OFAC), prima di essere eseguite: eventualmente devono essere giustificate solo in seguito in caso di richiesta dell’OFAC.
In pratica significa che le organizzazioni che si stanno occupando degli aiuti e gli enti e le società interessati a donare denaro alle zone colpite non dovranno dimostrare all’OFAC di non stare violando le sanzioni prima di inviare il proprio sostegno.
I problemi legati al terremoto sono particolarmente complicati in Siria, già devastata dalla lunga guerra civile. Il sisma ha colpito in particolare il nordovest del paese, nella regione controllata dai ribelli che si oppongono al regime di Assad. Ora questa parte della Siria, dove centinaia di migliaia di persone sono rimaste senza casa, è difficilmente raggiungibile dato che i percorsi usati negli ultimi anni per aggirare i controlli del governo centrale passavano dal sud della Turchia, attualmente molto danneggiato dal terremoto.
Assad aveva chiesto di poter gestire tutti gli aiuti umanitari diretti in Siria, compresi quelli per il nordovest occupato dai ribelli, e si temeva che avrebbe potuto usarli come arma di ricatto. Venerdì sera i media di stato siriani hanno detto che il governo ha dato il via libera per fare arrivare gli aiuti da tutte le parti del paese. La decisione potrebbe facilitare l’arrivo di aiuti, ma secondo Martin Griffiths, capo dell’ufficio per gli aiuti umanitari e per le emergenze dell’ONU, la notizia va presa con cautela perché per il momento non è stata data l’autorizzazione al trasporto di aiuti nei territori dei ribelli da oltre frontiera, ma solo dal resto del paese.
Attualmente l’unica via di accesso autorizzata dall’estero alla regione di Idlib, controllata dai ribelli, passa dal valico Bab al Hawa tra Siria e Turchia. Gli aiuti dell’ONU arrivano attraverso quel passaggio oppure da Damasco, la capitale siriana. Le Nazioni Unite hanno chiesto alla Siria e ai suoi alleati (tra cui la Russia) di permettere il passaggio anche attraverso un altro punto del confine turco, la frontiera di Bab al Salameh, e attraverso l’Iraq verso le zone controllate dai curdi.
Per quanto riguarda la sospensione di una delle sanzioni da parte degli Stati Uniti, per ora non è chiaro quanto sarà efficace perché le società che gestiscono le transazioni potrebbero comunque rallentarle per paura di violare le altre, che restano in vigore e che né il governo americano né i paesi dell’Unione Europea sembrano al momento intenzionati a rimuovere.
(Il Post, 11 febbraio 2023)