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La trappola di Kirk

di Enrico Tomaselli - 15/09/2025

La trappola di Kirk

Fonte: Giubbe rosse

Siamo davvero tutti ridotti alo stato di cani di Pavlov? A giudicare dall'eco che sta avendo l'omicidio del giovane leader conservatore statunitense, Charlie Kirk, soprattutto da questa parte dell'Atlantico, verrebbe da rispondere si. Tanto per cominciare, si dovrebbe calare questo episodio nel contesto, storico e sociologico, oltre che politico, degli Stati Uniti. Un paese in cui la violenza armata è estremamente diffusa (21.500 omicidi nel 2020, il 77% dei quali con armi da fuoco), in cui l'omicidio politico non è una novità, in cui da anni gruppi dell'ultra-destra si armano e si addestrano - e, più di recente, altrettanto fanno alcuni gruppi antifa. Ma soprattutto un paese in cui la polarizzazione politica, attraverso discorsi estremamente violenti - quelli che gli anglosassoni chiamano hate speach - si sono diffusi sempre più, anche da parte di esponenti politici di primo piano, ed assolutamente da entrambe le parti. Del resto, la logica del divide et impera è sempre stata uno strumento del potere, e dal momento che gli Stati Uniti stanno da tempo attraversando una crisi epocale, non c'è assolutamente da meravigliarsi che le oligarchie dominanti lo utilizzino anche all'interno.
Conservatori e progressisti, radicali dell'alt-right e antifa, si confrontano in uno scontro verticale, che divide il paese secondo una linea di frattura che va dall'alto in basso, dalle leadership politiche ai cittadini. Il che è ovviamente molto comodo per chi, invece, teme come la peste uno scontro orizzontale, il basso contro l'alto.
E, sia detto per inciso, questo scontro non oppone due diversi progetti di futuro, non mette in discussione la pretesa egemonica statunitense sul mondo, ma al più si accapiglia sul come debba esercitarsi - e soprattutto su 'chi' debba assumerne la guida. Ma ancor più rilevante, la polarizzazione della società nord-americana non è soltanto funzionale al potere, ed alla lotta interna tra le élite dominanti, ma cresce e si acuisce anche in misura del fatto che i due campi sostanzialmente si equivalgono - come forza, come radicamento, come consenso. E questo rende l'equilibrio instabile, e spinge i soggetti coinvolti a cercare di acquisire un vantaggio decisivo sull'avversario, proprio al fine di 'stabilizzare' il proprio predominio. Insomma, una eventuale seconda guerra civile americana, niente affatto da escludere in un prossimo futuro (soprattutto se non la si immagina con eserciti contrapposti, ma come una epidemia di eruzioni violente), non sarà semplicisticamente uno scontro tra destra e sinistra, ma una resa dei conti tra settori diversi dell'élite oligarchica, condotta anche attraverso strumenti violenti e 'di strada', proprio perché la parità delle forze richiede il ricorso a strumenti di lotta 'extraistituzionali'.
Tanto più patetico appare il confronto tra partigianerie europee, che platealmente traspongono una rappresentazione fittizia dello scontro statunitense come se fosse agito dalle medesime logiche (storiche) europee. Il che dimostra come, quanto meno in questa disastrata Italia, sia le destre che le sinistre siano totalmente soggette all'egemonia culturale ed informativa degli Stati Uniti, da cui si fanno costantemente dettare l'agenda. Entrambe, sono sempre più caratterizzate da un posizionamento politico meramente reattivo, che - appunto - si 'rivitalizza' solo quando stimolato dall'esterno, esattamente come i cani di Pavlov. L'incapacità di costruire un'agenda politica propria, autonoma, è un qualcosa ormai definitivamente scomparso dall'orizzonte.