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Le nostre case e città sono ospitali?

di Giannozzo Pucci - 02/10/2020

Le nostre case e città sono ospitali?

Fonte: Giannozzo Pucci

Ospitare i pellegrini:
siamo tutti viandanti e pellegrini, bisognosi di accoglienza.
Le nostre case e città sono ospitali?
Una città è ospitale quando i bambini sono liberi di andare all’asilo a piedi, quando i vecchi sono circondati da persone di tutte le età, quando i vari livelli sociali sono mescolati, quando ai giovani possono nascere vocazioni perché vedono diversi lavori, quando esistono punti in cui mangiare con poco, bere acqua pura per nulla, godere della bellezza e pregare gratis. Una città è ospitale quando ti ci senti umano, c’è sempre qualcuno da aiutare e che ti aiuta e quando vola nell’aria il profumo della campagna.
I turisti vengono a guardare ma una città deve trasformarli in pellegrini che viaggiano non solo fuori ma dentro di sé nel mondo dei significati delle cose e delle persone nel passato per il futuro, per diventare migliori.
Negli ultimi settant’anni abbiamo costruito appartamenti per individui semplificati, bisognosi quasi solo di riposare e mangiare, appartamenti che costano in manutenzione, energia, ecc. Anche le città sono state divise in zone specializzate, costringendo la gente a svolgere in ogni parte della giornata delle funzioni ridotte e a spostarsi per le altre. La città è diventata meno accogliente, più inquinata, più energivora, più produttrice di rifiuti, meno comunitaria e meno controllabile dagli abitanti, costretti a ricorrere sempre più spesso e precariamente alle forze dell’ordine. Continuano ad aumentare i servizi a pagamento e diminuiscono le zone comuni, i servizi gratuiti o a basso prezzo. Diminuisce la libertà e gioia di vivere, aumentano le regole e le infrazioni.
La clausura da Covid ha fatto capire le povere libertà degli appartamenti moderni e la completezza del modello originario “uscio e bottega” con l’orto retrostante che può comprendere anche un casottino per gli attrezzi e una piccola stanza con letto di fortuna per ospitare un pellegrino. L’abitazione sopra, il lavoro al piano terreno e il verde all’interno dell’isolato umanizza la città e va seguito ove possibile nelle riorganizzazioni urbane.
La città ospitale è circondata dalla campagna, autonoma energeticamente, produce solo rifiuti adatti ad accrescere la fertilità della terra, non inquina (un obbligo ovvio in tutti i secoli che ora pare un’utopia), si nutre dei frutti delle attività agricole provenienti dal territorio che la circonda.
A questo scopo per ogni agglomerato urbano è necessario fissare dei confini definitivi che non possono essere superati per almeno un secolo, entro i quali vigono le regole della città e al di là dei quali vigono le regole della campagna.
La città va organizzata in strade, piazze, isolati all’interno dei quali deve vivere, protetto, il verde utile (orti, frutteti, giardini aromatici ecc.). Gli alberi sollevano lo spirito e puliscono l’aria, devono essere numerosi.
Il traffico di comunità è soprattutto pubblico e semi-pubblico, salvo eccezioni, con molti doppi sensi evitando la cultura dell’autostrada e in ogni rioni zone in cui poter occupare a piedi strade e piazze. Si deve poter vivere bene senza l’auto privata che deve trovare ai confini parcheggi sicuri a basso prezzo dove lasciarla anche per settimane.
La città ospitale è composta di rioni di 10-15mila abitanti, col massimo di servizi, mescolando il lavoro, tutto non inquinante, con la residenza e le altre funzioni. Gli abitanti, i pellegrini e i turisti con gli alberghi necessari siano presenti in ogni parte della città affinché la si renda attraente, socialmente, esteticamente, artisticamente e commercialmente ovunque senza relegare come scarto fisico la moderna bruttezza funzionale in periferia e svuotare, vendendola ai turisti, l’anima della bellezza, della storia e delle radici in centro.
Il bene comune non è l’inevitabile prodotto della democrazia, ma lo scopo condiviso di una società, e supera i sistemi politici, le differenze religiose, sociali, razziali e linguistiche. La sostanza del bene comune è data dalla forma delle città, dei loro edifici, strade e piazze.
La presenza di abitanti storici è l’unica trasmissione del significato della città e del suo uso che promuove la vita civile e l’educazione dei giovani. Quando gli abitanti sono indifesi dal rumore la notte o dai pericoli nei luoghi pubblici, la città muore.
Occorre una grande opera di cambiamento economico che passa dal ricostruire e ripopolare i borghi storici e rurali italiani con i sistemi più avanzati di autonomia energetica, alimentare, idrica e i servizi relativi, un’agricoltura capace di catturare CO2 dall’atmosfera e stoccarlo nella fertilità della terra. Per partecipare a questa ricostruzione del paese nelle sue radici bisogna coinvolgere tutti, dai ragazzi delle scuole, ai giovani in servizio civile, ai pensionati disponibili, a chiunque che abbia qualsiasi contributo da dare, a tale scopo possono essere accolti come studenti lavoratori per gruppi etnici gli immigrati, in fuga per motivi ambientali e di guerra, i quali apprendendo i metodi più ecologici di ricostruzione, produzione alimentare, energetica, sviluppo della fertilità e buon uso del territorio, possano tornare nei loro paesi per diffondere col nostro aiuto la riconversione.