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Lenin, Putin, l'Ucraina e il prof. La Grassa

di Gennaro Scala - 24/02/2022

Lenin, Putin, l'Ucraina e il prof. La Grassa

Fonte: Gennaro Scala

Gli avvenimenti in corso pongono alcune importanti questioni teoriche su cui è bene riflettere anche a caldo, ma avremo sicuramente modo di ritornarci. “Senza teoria nessuna rivoluzione” diceva Lenin. Non solo, aggiungerei, chi non ha una teoria in  genere va dietro al carro di chi sa dove andare. La teoria senza la pratica è cieca, tanto quanto la pratica senza la teoria è vuota. Altra famosa massima.
Il discorso di Putin del 21 febbraio di quest'anno solleva delle fondamentali questioni sulla storia dell'Urss e che non possono non interessare chi come il sottoscritto, a suo modo, viene dal comunismo (vissuto nella sua fase finale, quando era proprio agli sgoccioli). Il prof. Gianfranco La Grassa fa bene a ricordare il ruolo di Lenin e dei comunisti nella nascita della Russia moderna, e coglie certo un punto debole dell'argomentazione di Putin, poiché in effetti l'obiettivo dei comunisti non era solo quello di conservare il potere. Con tale tesi semplicistica Putin vorrebbe spiegare gli enormi errori commessi da comunisti nella gestione delle diverse nazionalità di cui era composta la Russia, poi diventata Unione Sovietica. Tuttavia questi errori ci furono, ed in questo Putin ha indubbiamente ragione. Soprattutto, l'incredibile leggerezza con cui fu messa su l'Ucraina che nella sua forma attuale, ricorda Putin, è una creazione del potere sovietico. Probabilmente, si tratta di un aneddoto quello secondo cui Krusciov abbia dato la Crimea all'Ucraina un giorno in cui era completamente ubriaco, ma che rispecchia la leggerezza con cui il potere sovietico trattò la questione delle nazionalità. Leggerezza e approssimazione sottolineati nel discorso di Putin, il quale raggiunge la massima incisività quando osserva come il “ringraziamento” ricevuto da Lenin per aver creato l'Ucraina attuale è stato l'abbattimento delle sue statue in Ucraina.  
È chiara la finalità del discorso di Putin. Così come l'Ucraina è stata creazione pasticciata e  arbitraria del potere sovietico così ora noi la smantelliamo, in vista di una divisione in due della stessa: una filo-occidentale ad  occidente del fiume Dnipro ed una incorporata nella Russia ad oriente dello stesso (mi azzardo in  una previsione). E sarà questa la soluzione a lungo termine della minaccia esistenziale per la Russia di una Ucraina anti-russa.
Putin non è teorico, fa un discorso politico. Ma ha assolutamente ragione sulla questione della nazionalità. Da cosa derivava la “leggerezza” dei comunisti sovietici sulla questione delle nazionalità? Lenin assunse tale questione come corollario necessario della lotta contro “l'imperialismo” in un famoso testo sull'”autodeterminazione delle nazioni”. Ma l'assunzione della questione delle nazionalità era puramente tattica, la dice anche nel corso della lunga polemica in merito con Rosa Luxemburg. L'obiettivo di fondo restava quello della rivoluzione comunista mondiale, scomparsa degli stati nazionali ecc. ecc. è questo lo dimostra pure il fatto che non vi fu da parte di Lenin nessuno sforzo per fondare teoricamente la questione della “autodeterminazione delle nazioni”. Era una pura tattica.
La questione nazionale si è dimostrata la principale tara del comunismo storico, che non fu colmata da Lenin che su tale piano si mosse sul piano puramente tattico, anche se con grande intuizione. È una tara che derivava dallo stesso Marx, il quale da nessuna parte ci fornisce delle categorie per affrontare la questione nazionale, essendo l'intera teoria di Marx, quanto l'intero movimento comunista, fondata sull'individualismo-universalismo, quel salto dall'individuo al genere, obliterando le “comunità intermedie”. Ovvero, la “furia del dileguare”, secondo la terminologia hegeliana, un concetto che Preve applicava all'intero movimento comunista. L'unico che sul piano teorico sulla questione teorica si mosse in una direzione diversa fu Stalin, quando affermò che “la nazione è, innanzitutto, una comunità, una determinata comunità di persone”. Ma fu un contributo teoricamente troppo esiguo perché si potesse fondare nell'ambito del comunismo una pratica diversa, in quanto era necessario mettere in discussione le categorie di fondo. Il che cercò di fare Costanzo Preve con un'analisi filosofica di ampio raggio. Il suo “comunitarismo”, tanto equivocato, mirava appunto a fornire le categorie con cui pensare la questione nazionale, come ho già detto in diverse altre occasioni.