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Libertà e scienza

di Luca Cerardi - 08/02/2021

Libertà e scienza

Fonte: Luca Cerardi

Libertà e scienza sono due parole spesso in contrasto in questo periodo così confuso dove la logica e il dialogo sono state sostituite da accuse e da dogmi di antico sapore novecentesco.
Le fazioni in lotta sono quelle per cui, da una parte ci sono coloro che ritengono il problema attuale della malattia talmente grave da dover sopprimere in maniera totale ogni diritto costituzionalmente garantito e ogni argomento che possa essere sfavorevole a tale teoria. L’”idolo” di riferimento è l’Uomo, il figlio di Prometeo sicuro della sua Verità davanti all’Universo da sottomettere. L’obiettivo di questa Hybris è sconfiggere il “male” imponendo in maniera acritica le leggi della scienza di alcuni, che viene definita, oramai, inevitabile, esatta e indiscutibile. [1]
La parte opposta, invece, fa pesare l’importanza e l’imprescindibilità della vita dalla libertà di poter scegliere ciò che è giusto per se stessi, risultato di quell’ “idea” che si potrebbe chiamare, in maniera filosofica, “Dio”, cioè quell’inizio sconosciuto e forse creatore di questo Universo/Multiverso in cui all’uomo è stato donato il dramma della libertà, cioè quella libera scelta che è responsabilità personale, ma anche accettazione della finitezza di ognuno. L’obiettivo non è l’impossibile missione di eliminare il “male” ma di “cavalcarlo” attraverso l’Amore per il Mondo, per l’uomo e per Dio stesso, domandolo. [2]
Chi può pensare di aver ragione? La discussione non può esaurirsi in un breve scritto ma è evidente si possa accennare a un metodo per dirimere la questione: dati e proporzionalità degli interventi.
La risoluzione potrà avvenire solo se entrambi convengono che il dialogo, il compromesso, la libera discussione siano basi per raggiungere un risultato comune. In sostanza, bisogna partire dalla convinta credenza nel principio democratico politico, sociale e scientifico dell’approccio.
Auspicando che questa sia la via maestra, si deve considerare ciò che è basilare per ogni scienza che si definisca tale: lo studio delle fonti e dei dati ufficiali. Chi pretende di usare altri metodi o di usare televisioni, giornali e social media, interpretando i dati in base a interessi editoriali, rischia di fare disinformazione.
Va da sé, infatti, che la totale estraniazione da interessi di parte dovrebbe essere un altro punto fondamentale per l‘analisi corretta di ciò che sta accadendo. [3] E’ pertanto inutile e anche ridicolo, da parte di alcuni scienziati, l’autoproclamarsi unici interpreti della “verità” poiché si dimentica sempre che un titolo, le competenze e le esperienze del curriculum non fanno né l’uomo, né la sua credibilità che è data, invece, dall’etica, dalla morale, dalla ricerca costante dell’obiettività, dall’apertura al confronto, dal rispetto e dal dialogo con chiunque possa contribuire alla gestione di problemi di così vasta portata per l’essere umano.
Se si riuscisse ad arrivare all’analisi delle fonti si potrebbe avere una visione della realtà abbastanza precisa e condivisa usando, infine, come insegnano la bioetica e la giurisprudenza, il principio di proporzionalità attraverso azioni atte a contrastare il problema sanitario e socio politico nel modo più equo possibile. Ciò pare essere una possibile soluzione alla confusione imperante, unendo in un unicum le convinzioni delle parti in causa che dovrebbero fondarsi sull’obiettivo comune di mettere la salvaguardia psichica e fisica dell’uomo al centro della discussione.
Inevitabile, arrivati a questo punto, chiedersi non tanto se ci sia una risposta alla domanda iniziale attraverso i dati, ma se questo approccio sia mai stato preso in considerazione da chi ha la competenza e il dovere di farlo, aprendo un vaso di pandora ricco di altri quesiti:
quale metodo sta usando la comunità scientifica e politica del Paese? I dati a disposizione permettono di indicare che il principio di proporzionalità è stato usato nel modo corretto? I dati ufficiali dell’Iss sono stati portati a conoscenza della popolazione intera? Chi si dichiara occupato nella “salvaguardia della salute altrui” si è interessato dei danni provocati dalla totale mancanza di cure per chi è affetto da tutte le altre patologie? Chi pretende di invocare l’obbligo di trattamenti sanitari per la tutela della propria salute e di quella degli altri, ha preso visione e valutato i dati ufficiali della sperimentazione in atto e della totale mancanza di trasparenza su di essi? E’ metodo comune il dialogo e il confronto sui maggiori organi di informazione tra le parti coinvolte? Vige qualche tipo di censura e propaganda? Chi decide a livello sanitario, mediatico e politico, ha dei conflitti di interesse? [4]
Le risposte a tali domande mettono in risalto un approccio democratico ed etico?
Se ciò non avviene in favore della “verità” di una delle due parti, sarà dimostrato il dolo di chi impone la sua idea, poiché salta il doveroso ricorso a principi morali e democratici del confronto ponendosi su un piano dogmatico trasformando la domanda sopra posta non più su chi può avere ragione ma in: chi ha torto? Si potrebbe tentare allora di rispondere in questo modo: tutti coloro che attraverso atti volontari di soppressione della legalità costituzionale, delle normali pratiche civili e sanitarie, opposte alla retorica di facciata, attraverso la propaganda, [5] negano un approccio etico e democratico per la risoluzione del conflitto.
Se ciò fosse, diverrebbe inevitabile porre freno a questa nuova deriva totalitaria, attraverso lo sforzo comune di tutti nel contribuire al ripristino della legalità perché ciò che è costruito su paura, interessi e discriminazione, non salverà l’uomo attraverso “magie chimiche” ma sarà mezzo per fondare un nuovo autoritarismo che potrebbe sfociare nella peggiore dittatura che il genere umano abbia mai visto. [6]
Luca Cerardi

NOTE:
1 Cfr., H. Arendt, L’immagine dell’inferno. Scritti sul totalitarismo, a cura di Francesco Fistetti, Editori riuniti, Roma, 2001, p. 77: “ciò che Arendt aveva chiaramente intuito è quella che con Floisneau potremmo chiamare “l’astuzione della ragione tecnologica”, cioè il fatto che la scienza contemporanea, a differenza della scienza e della tecnica classiche, non ha più alcuna certezza nel controllo delle invenzioni e delle innovazioni, poiché nelle sue ricadute ed applicazioni produce degli effetti collaterali strutturalmente impredicibili e potenzialmente catastrofici”.
2 Sia Arendt che Heidegger seguirono Agostino sul concetto di “Inizio” come possibilità di una novità atta a modificare la fatticità seppur in modi diversi. Fu Arendt a spingersi per la massimizzazione dell’idea come azione responsabile all’interno del mondo e inserita in un Universo “spirituale” come presa di coscienza di un proprio fine di cui rendersi, di nuovo, responsabile.
3 Cfr. B. Assy, Etica, responsabilita’ e giudizio in Hannah Arendt, Mimesis, Milano-Udine, 2015, p. 179: “nella misura in cui siamo interessati all’Umanità, continua l’autrice, “abbiamo un concreto interesse al disinteresse (disinteressedness). [..] Attraverso il disinteresse diventiamo membri di questo mondo, degni di vivere in mezzo alle apparenze”.
4 Cfr., Ivi, p. 208: “l’esercizio, la askesis, di liberarsi degli interessi meramente privati può essere descritto come un modo per coltivare un ethos di civiltà”.
5 https://ajk5mf4n5dzcelxszolcfzlkeq-adwhj77lcyoafdy-kaisertv-de.translate.goog/2021/02/03/das-wef-empfiehlt-mit-angst-und-schuld-die-impfbereitschaft-steigern/
6 Cfr., E. Donaggio, D. Scalzo, Il male a partire da Hannah Arendt, Meltemi, Roma, 2003, p. 179: “in un’epoca in cui tutto va a pezzi, l’assenza di pensiero può provocare danni ben maggiori di una costante messa in dubbio di ogni forma di agire. Se la mancanza di riflessione protegge gli individui dai “pericoli” della tempesta del pensiero, il non esercitare questa facoltà può condurre alla banalità del male. La lezione del Terzo Reich che ci ha impartito riguarda la facilità con cui gli individui possono conformarsi a nuove regole, e questo indipendentemente dal fatto che esse prescrivano “devi uccidere”! piuttosto che il suo contrario. Una conclusione sulla quale meditare, per non convivere in modo banale con l’assassino in cui ciascuno di noi potrebbe mutarsi”.