Malati di modernità, pazienti in aumento
di Massimo Fini - 28/09/2025
Fonte: Massimo Fini
Secondo l’Oms, al 2021, più di un miliardo di persone conviveva con un disagio mentale. L’Oms non specifica quali aree del mondo siano le più colpite, afferma però che nei paesi occidentali si spende di più per le cure. Cosa che ha un significato bifido, perché vuol dire anche che ci sono più soggetti affetti da disagio mentale. E qui, all’interno di questo disagio, bisogna fare una distinzione fra chi è affetto da depressione, ansia e altri disturbi del sistema nervoso ed il malato psichiatrico propriamente detto. Che ansia, depressione, nevrosi siano in straordinario aumento nel mondo che chiamiamo occidentale non c’è bisogno dell’Oms per chiarirlo. Noi viviamo in un “modello paranoico” dove non si può mai avere un momento di equilibrio e di serenità, perché raggiunto un obiettivo bisogna immediatamente inseguirne un altro.
In Italia una persona su otto soffre di disturbi mentali. Dove sono finite allora le speranze suscitate dalla “Legge 180”, dall’anno in cui fu promulgata, il 1980 appunto, detta anche “Legge Basaglia” dal nome del suo ideatore e promulgatore? Basaglia sosteneva che quella mentale è una patologia come un’altra e che andava curata non in un universo concentrazionario, come il manicomio, cioè in sostanza abolito il manicomio si sarebbe abolita anche la malattia mentale. Ci si dovette però accorgere assi presto che il malato mentale, ricoverato in un ospedale generale, non era proprio un malato come un altro: quando era in ‘acuzie’, cioè in uno stato di particolare eccitabilità, strappava il catetere o la flebo agli altri malati. Basaglia si illuse che poteva essere sedato con gli psicofarmaci. Ma a parte che gli psicofarmaci non sono mai innocenti, in questo modo non si risolveva la questione. Furono quindi create, all’interno degli Ospedali generali, delle sezioni particolari, i famigerati “repartini”, dove non c’era nulla, nemmeno un calcio balilla perché il malato e la malattia non dovevano “essere istituzionalizzati”.
E’ ovvio che una legge, qualsiasi legge, non solo la 180 è valida erga omnes. Però prima di smantellare tutto si sarebbe dovuto tener conto della diversità dei manicomi. Una cosa era essere ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto, altra a Mombello, in Lombardia, il più grande manicomio d’Italia diretto da un mio caro amico, il professor Madeddu, sardo d’origine, un socialista, una specie di santo laico. A Mombello c’erano i campi di calcio, si faceva ergoterapia, musicoterapia, c’era una bottega artigiana dove i malati imparavano un mestiere che avrebbero potuto utilizzare una volta usciti di lì e anche mentre erano ancora in manicomio perché quelli più affidabili potevano uscire fino a sera, salvo rientrare a fine giornata. Non era un “capolarato” mascherato e sottopagato, perché Madeddu li affidava a dei suoi amici, piccoli e medi imprenditori, anch’essi, in genere, socialisti e comunque umanisti (diciamo degli Adriano Olivetti in miniatura). Era comunque un universo concentrazionario perché, come ovvio, è più facile controllare mille persone concentrate in un solo luogo che sparse per il territorio. Mi ricordo che incontrando Madeddu, molti anni dopo, mi disse, immalinconito: “Ci hanno portato via tutto, è rimasto solo il cimitero”. Perché, questo lo aggiungo io, almeno i morti sono tutti uguali.
Che fine facevano i malati lasciati a se stessi? Molti rientravano in famiglia e questa era la soluzione peggiore, perché la famiglia è iatrogena, cioè è proprio in famiglia che si sono ammalti. Altri finivano sotto un tram. Altri ancora, avendola combinata grossa, cioè ucciso una persona, spesso un membro della loro famiglia, di quella famiglia che li aveva allontanati non perché malati, ma perché con la loro eccentricità suscitavano scandalo, finivano al manicomio criminale di Castiglione delle Stiviere, che è qualcosa di peggio del manicomio ‘normale’, chiamiamolo così. Quando feci un’inchiesta per Il Giorno ad un anno dalla promulgazione della legge Basaglia risultò un aumento, mi pare del 75 percento, di ricoveri a Castiglione delle Stiviere.
Per molto tempo la malattia mentale è stata considerata una macchia, un disonore, una ‘lettera scarlatta’ e le famiglie più rispettabili, chiamiamole così, borghesi, preferivano nasconderla. Così è stato per Giorgio Agnelli.
Probabilmente la proposta di Basaglia sarebbe stata realizzabile in piccole comunità, dove tutti si conoscono e il malato non resta mai solo, non nelle grandi città che sono luoghi di solitudine anche per chi è sano di mente.
Oggi, finita l’orgia ideologica di Basaglia che, come tutte le ideologie, non tiene conto della realtà sono state create delle strutture intermedie: ambulatori locali, Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) in ospedali, Rsa, case di cura residenziali riabilitative soprattutto per anziani. Restano comunque i cps, centri psichiatrici sociali, che sono stati fondamentali nella difficile fase di transizione dalla chiusura dei manicomi ad oggi. Nei cps si curano soprattutto depressione, ansia, nevrosi, le “malattie della modernità” (prima della Rivoluzione industriale non esistevano, esisteva il malato psichiatrico, ovviamente, ma non questo tipo di malattie).
Il malato propriamente psichiatrico, in genere, non si rivolge al cps perché pensa che i malati di mente siano gli altri e lui il solo ad essere normale. E, forse, c’è del vero: in epoca medievale si riteneva che il matto e anche il mendico avessero dei rapporti privilegiati con Dio.
Quando facevo quel reportage per Il Giorno, di cui ho parlato, intervistai al Gaetano Pini due giovani psichiatri basagliani che, come tutti gli allievi, erano ancora più radicali del loro maestro. Assisteva un infermiere che disse: “Io non discuto le vostri teorie, ma penso che questo tipo di malati abbia bisogno soprattutto di un po’ di umanità”. Come al solito si possono costruire le più fantastiche cosmogonie, ma poi tutto dipende dalla persona.
Gli infermieri, e devo dire anche le brave suorine che operano negli ospedali, sono delle figure determinanti. In Italia c’è stato un calo di richieste per la posizione di infermiere eppure è un mestiere molto stimolante dato che, a differenza di una cassiera che lavora in un grande supermarket, ti mette a contatto con le persone e, come si ricava dall’episodio che ho citato prima, vuole umanità e interesse per agli altri. Perché questo calo? Elementare Watson: in Italia gli infermieri sono sottopagati, anche rispetto a Stati a noi abbastanza vicini, come l’Albania. E quindi questo personale specializzato, del resto come in tanti altri settori, preferisce andare all’estero.
L’Italia ha sperperato 4,3 miliardi di euro per sostenere l’Ucraina in una guerra che “non si poteva vincere”, come ha sostenuto un alto esponente del Pentagono, oggi in pensione. Del resto non si può pensare che un Paese di 37,5 milioni di abitanti possa sconfiggerne uno di 143,5 milioni, con un territorio immenso e riserve di energie altrettanto immense.