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Bellezza, mezza salvezza

di Marcello Veneziani - 22/10/2025

Bellezza, mezza salvezza

Fonte: Marcello Veneziani

C’è ancora posto per la bellezza nell’era della tecnica, della finanza e del canone woke? Appare obsoleta, inutile, discriminatoria, la bellezza, succube di una visione estetica del mondo. Venticinque anni fa, con Giorgio Albertazzi, scrissi e lanciai il manifesto della bellezza. Amante e lettore di Dante e di d’Annunzio, Albertazzi portava allora in scena Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, che era un monumento alla bellezza; ricordo una sua memorabile interpretazione nella Villa Adriana di Tivoli, e ci parve presente il grande imperatore. Nel manifesto, che scrissi e firmai con lui e pochi altri amici, cercai di definire il bello in dieci punti che qui riassumo.
La bellezza è amica della misura e nemica dello sconfinamento, è amica del mondo reale e nemica del mondo astratto, amica del dono e nemica dell’utile, amica dell’eccellenza e nemica della mediocrità, amica della lievità e nemica della pesantezza, amica della varietà e nemica dell’uniformità, amica della distinzione e nemica della separazione, amica del mito e nemica della ragione calcolante, amica dello spazio e nemica del tempo, amica dell’essere e nemica del niente. Ogni affermazione aveva una succinta spiegazione.
La bellezza è la gloria del mondo cantata dalla luce. Il Bello nel suo senso ultimo è il simbolo del Bene, ovvero la metà visibile della tessera. L’altra metà abita nei cieli. Il bello quaggiù è il riflesso del bello trascendente.
In quella tesi c’era l’eco di Platone e di Plotino, il filosofo del bello; c’era l’amore dei greci per la bellezza e l’amore cristiano del bello. L’ordine è bellezza e la bellezza è ordine, ambedue si fondano sulla misura e sull’armonia. Entrambi danno forma all’informe e s’oppongono al caos che deforma gli elementi e li confonde. I principi fondativi dell’ordine corrispondono ai principi costitutivi della bellezza, descritti da San Tommaso: proportio, integritas e claritas, proporzione, integrità e chiarezza. In cielo e in terra, dalle partiture musicali alle sculture, fino all’ordito e la trama dei tappeti, stretto è il nesso tra ordine e bellezza. L’ordine degrada quando diviene meccanico e non organico; così la bellezza degrada quando non è disegnata dalla luce ma è solo involucro e apparenza, e dunque è solo estrinseca e non intrinseca. L’ordine è maschile e la bellezza è femminile, l’ordine è adulto e la bellezza è giovanile, l’ordine infonde serenità e la bellezza gioia. L’ordine è la finestra e la bellezza è la luce che vi penetra. Ordine e bellezza sono principi metafisici planati nella realtà. L’ordine è il disegno intelligente che organizza il mondo.
Verità è bellezza diceva Keats, anche se altri autori, da Leopardi a Nietzsche, ci insegnano che la bellezza è piuttosto il velo apollineo e illusorio disteso sulla tragedia del mondo. Oltre Apollo, diceva Nietzsche, c’è Dioniso che squarcia il velo della menzogna dorata e ci conduce oltre la bellezza. Verso dove? Verso la tragedia, l’infinito, il delirio. O verso il sublime, come lo figurarono Burke e Kant, che è la bellezza sconcertante, smisurata, che ci turba ma ci affascina.
Anche un autore maledetto come Baudelaire sottolineava il legame tra ordine e bellezza, in quei famosi versi ripresi da Manlio Sgalambro e da Franco Battiato in Invito al viaggio: “Laggiù tutto è ordine e bellezza, calma e voluttà. Il mondo s’addormenta in una calda luce di giacinto e d’oro”.
La bellezza può essere naturale e soprannaturale o suscitata dall’arte e dall’intelligenza. La bellezza emana un’aura, che non è solo di un’opera d’arte, come diceva Walter Benjamin, perché può derivare da un carisma, una grazia, una luce intrinseca a un soggetto e un luogo e non solo frutto dell’artista.
La bellezza ha molto a che fare con la civiltà mediterranea, pagana, cattolica e bizantina, che nel nome della luce, ebbe il culto delle icone e di une religione figurativa, in cui anche la divinità era a immagine e somiglianza umana, anche se per la fede è l’uomo a immagine e somiglianza divina.
La grazia del bello era concepita nel mondo classico come statica, inerte, “a miracol mostrare”. Sicché nella modernità è accaduto che la bellezza, ferma nel suo essere, sia sopraffatta dalla bruttezza, dinamica nel suo divenire e funzionale. Il brutto è mobile, avanza, la bellezza no, dunque è perdente. Provò il futurismo a mettere la bellezza in movimento, a immaginarla dinamica e non più statica, figlia della tecnica e non solo della natura; la bellezza delle macchine, della velocità. La bellezza non era solo nel creato e nell’imitazione del creato, ma era frutto del lavoro creativo e immaginativo, artificio. Che ne sarà al tempo dell’intelligenza artificiale? “La politica della bellezza” s’intitolava un aureo testo di James Hillman, psicanalista junghiano, dedicato alla necessità del bello per animare le città e le comunità, nell’epoca in cui prevale la dittatura del brutto. Certo, la politica della bellezza non è la bellezza della politica: ma oggi in ambo i sensi, il legame tra bellezza e politica è un rapporto di pura fantasia, un delirio. Eppure il tema del bello e la polis dovrebbe toccare in modo speciale noi italiani, per il primato mondiale dell’Italia nella bellezza delle arti, dei centri storici e del paesaggio.
La bellezza salverà il mondo, diceva Dostoevskij e noi continueremo a chiederci: ma chi salverà la bellezza che è un bene delicato e deperibile?