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Netanyahu e Trump vogliono l’Iran in schiavitù ma non ce la faranno

di Norman Finkelstein - 12/07/2025

Netanyahu e Trump vogliono l’Iran in schiavitù ma non ce la faranno

Fonte: Inside Over

Il 13 giugno, poche ore dopo la risposta iraniana ai missili lanciati da Israele nella notte, abbiamo intervistato per InsideOver Norman Finkelstein, intellettuale, politologo ed esperto della questione palestinese, nel suo appartamento di Brooklyn. Durante questa conversazione, abbiamo discusso delle implicazioni dell’escalation tra Israele e Iran, delle conseguenze umanitarie e politiche sulla Striscia di Gaza, del ruolo dell’Occidente e del significato ideologico che secondo Finkelstein guida la strategia israeliana nella regione.
Israele ha condotto un attacco aereo contro diversi obiettivi iraniani. In risposta, l’Iran ha lanciato missili contro le principali città israeliane, inclusa Tel Aviv. Una situazione che ha portato al coinvolgimento degli Stati Uniti a fianco di Israele. Secondo lei, come incide questo conflitto regionale su Gaza, sia in termini di impatto umanitario immediato che di conseguenze politiche a lungo termine, oltre che sulla strategia israeliana?
“Innanzitutto, l’attacco israeliano contro l’Iran era in larga misura prevedibile. Ovviamente se ne parlava da tempo, ma a mio parere, nel contesto del post 7 ottobre, è diventato ancora più probabile. Il 19 aprile 2024 — quindi più di un anno fa — scrissi un articolo sul mio profilo Substack dal titolo Samson and Cassandra in cui spiegavo che è nella natura di Benjamin Netanyahu — ed è molto prevedibile — cercare di sfruttare ogni occasione. Potrà sembrare un’ovvietà, ma con Netanyahu è particolarmente evidente: quando si presenta un’opportunità politica, lui la coglie subito. Il 7 ottobre è stato, all’inizio, una crisi, senza dubbio, ma c’è un detto, ogni crisi è anche un’opportunità. E il 7 ottobre ha ovviamente aperto l’opportunità per risolvere una volta per tutte la questione di Gaza. E gli israeliani sono stati molto espliciti su questo. Non c’era nulla da interpretare: era chiaro che avrebbero attuato una qualche forma di distruzione massiccia a Gaza, per risolvere definitivamente la questione. Questo progetto ha preso tre forme: primo, realizzare una pulizia etnica; secondo, rendere Gaza invivibile, non solo nel futuro prossimo, ma per molto tempo a venire; terzo, attuare un genocidio vero e proprio. Quindi, l’elemento Gaza è andato secondo i piani. Ora Gaza è invivibile. C’è ancora una catastrofe umanitaria in corso, ma anche se fosse risolta — cioè anche se entrassero aiuti in quantità massiccia — non cambierebbe il fatto che Gaza non esiste più. Gaza è scomparsa. Il 90% delle abitazioni è stato distrutto, più della metà degli ospedali non esiste più, oltre metà delle università è scomparsa, le terre coltivabili a Est di Gaza sono state devastate. Non c’è più nulla: i sistemi fognari, l’acqua, tutto distrutto. Hanno quindi raggiunto il loro primo obiettivo. A proposito, penso che l’idea secondo cui l’obiettivo fosse smantellare Hamas sia del tutto ridicola. Non è mai stato questione di Hamas. La questione è sempre stata trovare una “soluzione finale” per Gaza. E siccome, come detto, il 7 Ottobre ha rappresentato una grande opportunità per Netanyahu, c’erano altri due obiettivi da sfruttare: Hezbollah e l’Iran. Con Hezbollah hanno avuto successo: è stato neutralizzato. E poi — lo scrissi il 19 aprile — sarebbero andati contro l’Iran. Tutti parlavano della possibilità di una guerra tra Iran e Israele. Ma c’è stata una congiuntura particolare: gli eventi del 7 ottobre e la reazione del Primo Ministro Netanyahu finalizzata allo sfruttamento di un’opportunità. Scrissi, nell’articolo Samson and Cassandra, che l’Iran non avrebbe avuto scelta, perché non si può ragionare con Israele. È impossibile”.
Anche quando alcune voci dissenzienti hanno iniziato a condannare le atrocità di Israele, queste critiche si sono concentrate, almeno in Europa, sul ruolo di Netanyahu. Ma l’oppressione dei palestinesi non è una novità, né è iniziata il 7 ottobre. Un recente sondaggio della Penn State University, pubblicato su Haaretz, mostra che l’82% degli ebrei israeliani è favorevole alla deportazione dei palestinesi da Gaza, e il 47% afferma che l’esercito israeliano dovrebbe agire come gli israeliti nella conquista biblica di Gerico, uccidendone tutti gli abitanti. Come si inseriscono queste realtà nella storia di Israele, come Stato e come nazione? E che ruolo giocano termini come “sionismo” o “antisemitismo” in questa storia?
“Torno un attimo a quello che stavo dicendo, per integrare la seconda domanda. Una volta che Israele ha puntato l’Iran come obiettivo e ha deciso che questa sarebbe stata l’occasione della vita, cioè sfruttare il 7 ottobre non solo per risolvere la questione Gaza o per neutralizzare Hezbollah, ma anche per colpire la loro più grande preoccupazione regionale — che è da sempre l’Iran, sin dalla rivoluzione iraniana — da quel momento in poi non c’era più nulla che l’Iran potesse fare. Israele non è disposto ad ascoltare la diplomazia, a trovare compromessi. Non fa parte del suo DNA. Ecco perché l’articolo si intitola Samson and Cassandra: Israele è pronto a far crollare il tempio pur di colpire il nemico.
Israele non è, secondo me, uno “Stato canaglia”, cioè uno Stato che ignora il diritto internazionale o le norme tra Stati. Israele va oltre: è uno Stato completamente folle. Fuori controllo. Hai citato un sondaggio: circa metà degli ebrei israeliani sostiene l’eliminazione di tutti i gazawi. Un altro sondaggio, la settimana scorsa, ha mostrato che il 63% di tutti gli israeliani, quindi circa il 70% degli ebrei israeliani, crede che a Gaza non ci siano civili. È una formula per il genocidio: se tutti sono combattenti, tutti possono essere uccisi “legalmente”.
Stiamo affrontando una situazione anomala. Pericolosissima. Alcuni dicono che gli israeliani siano impazziti dopo il 7 ottobre. Ma io vivo negli Stati Uniti: non c’è mai stata una simile isteria contro i musulmani. Anzi, persino il Presidente Bush, dopo l’11 settembre, fece di tutto per dire pubblicamente che non era una guerra contro l’Islam. Mi pare che andò in una moschea, fece un gesto pubblico — non ricordo esattamente. Ma Israele non sta reagendo a una minaccia. È uno Stato fanatico di suprematismo ebraico. Per loro, è vero: arabi e musulmani stanno in fondo alla scala dell’essere. Ma in realtà, tutti i non ebrei sono subumani. Ci sono gradi, certo, ma se non sei ebreo, per loro, sei inferiore”.
Quindi, pensi che il sionismo abbia un ruolo solo marginale?
“Il sionismo… guarda, io non amo i cliché. Ma l’idea che Israele sia uno Stato colonialista d’insediamento che ha bisogno di un’ideologia per giustificare l’espulsione e lo sterminio della popolazione indigena — è un elemento, sì. Non lo nego. È come negli Stati Uniti: il modo in cui sono stati trattati i nativi americani fu una modalità volta allo sterminio, su tutta la linea. Anche figure importanti, come Frederick Douglass — un grande abolizionista afroamericano — avevano visioni terribili sui nativi americani. Era una mentalità da Stato colonialista di insediamento.
Ma credo che nel caso israeliano si sommino vari fattori: l’ideologia della “scelta divina”, il colonialismo, il successo secolare degli ebrei. Gli ebrei amano dire che il 20% dei premi Nobel è andato a ebrei, che Marx, Freud, Einstein erano ebrei. Questo successo mondano, terreno, dà alla testa. E quando si sommano tutti questi aspetti — e ce ne sono altri — il risultato è uno Stato totalmente squilibrato. Personalmente, non credo che, a livello popolare, la Germania nazista fosse così. Ci penso spesso. I nazisti vivevano in uno Stato totalitario: la dissidenza era impossibile, si finiva in carcere o peggio. Ma in Israele, oggi, tutto avviene alla luce del sole. I soldati postano i video delle atrocità che commettono. Israele ha il più alto uso pro capite di internet al mondo. Non possono dire di non sapere”.
E la paura di essere attaccati?
“La paura può spiegare qualcosa. Ma non può giustificare la celebrazione dell’omicidio di massa. Quella non è paura. È sadismo. Euforia per la tortura, per la distruzione. Le torture sessuali, le umiliazioni sessuali documentate nei rapporti sui diritti umani non nascono dalla paura”.
Due settimane fa, nella sua intervista con Piers Morgan, ha detto che era prevedibile che gli aiuti organizzati da Israele e dagli Stati Uniti si sarebbero rivelati una trappola. Lo cito ora perché penso si inserisca in un’idea che va oltre la guerra e oltre le atrocità. E volevo chiederle: perché era così prevedibile?
“Tutto ciò che bisogna sapere è che Israele…lo ha già fatto l’anno scorso. È stato chiamato “il massacro della farina”. Tutti i palestinesi erano disperatamente affamati — non è la prima volta che a Gaza c’è una carestia — e quando si sono precipitati su un camion con degli aiuti, Israele ha semplicemente aperto il fuoco, uccidendoli. Era quindi ovvio cosa sarebbe successo. Bisogna ricordare che i medici stranieri che stanno operando ora a Gaza — 63, credo — medici, infermieri, personale sanitario, hanno firmato una dichiarazione in cui affermano che Israele prende deliberatamente di mira i bambini, sparando loro al cranio e al petto. Abbiamo visto qualcosa di simile già durante la Marcia del Ritorno nel marzo 2018: prendevano di mira persone alle quali mancavano entrambe le gambe. Ora, questo può essere spiegato con la paura? No. Dobbiamo essere onesti su queste cose. È un luogo profondamente malato. Ed è proprio questo che lo rende estremamente pericoloso. Ecco perché siamo in una situazione davvero difficile adesso. L’Iran non può tirarsi indietro. Non può. A meno di non capitolare completamente, cosa che non accadrà. Non succederà”.
Nel suo libro del 2018, Gaza: un’inchiesta sul suo martirio, ha documentato con cura gli attacchi militari israeliani e le azioni illegali che si trascinavano da anni. Ma perché ha scelto di descrivere la sofferenza di Gaza come un “martirio”?
“Perché sento che oggi questa definizione è ancora più vera. Guardi, io leggo molto. Ho grande rispetto per la vita dei santi. Ma alla fine dei conti, sono figlio dei miei genitori Ho vissuto con il loro orrore, con il loro trauma. Per tutta la vita, fino all’ultimo giorno della loro esistenza, la guerra — la Seconda guerra mondiale — era presente, ogni giorno. Mia madre si riferiva alla sua sofferenza durante la guerra come a un martirio. Era questo il termine che usava. Mia madre parlava fluentemente inglese. Conosceva il latino, il francese, l’inglese. La sua scelta di parole non era casuale. Non era arbitraria. E lei la definiva un martirio. A mio parere, se si conosce tutta la storia di Gaza dal 1948 in poi, allora sì, si tratta di un martirio. Di un popolo che è stato — stavo per dire crocifisso, ma non lo farò — che è stato distrutto, annientato, più e più volte. Per niente. Solo per il rifiuto di andarsene. E alla fine, probabilmente, molti di loro, se potessero, se ne andrebbero, ma non possono. Sono intrappolati in quello che molti, anche israeliani, hanno chiamato un campo di concentramento. Sono intrappolati. Per me questo è un martirio. E non si può apprezzare davvero la dimensione di questo martirio se non se ne conoscono i dettagli. Non si può comprenderlo.
Cosa vede nel futuro di Gaza e di Israele?
“Non credo che a Gaza sia rimasto nulla. Israele ha raggiunto il suo obiettivo. Quando sento certi commentatori dire “Israele non ha ancora raggiunto i suoi obiettivi”, io rispondo: certo che li ha raggiunti. Ma bisogna capire quali erano. L’obiettivo non era sconfiggere Hamas. L’obiettivo era risolvere la questione di Gaza. E ci sono riusciti. E adesso, cosa faranno le persone a Gaza? Quando le telecamere si spegneranno, pensi davvero che Israele permetterà l’ingresso di cibo? Che accetterà di far entrare gli aiuti? Che consentirà la ricostruzione? Hanno passato 20 mesi a trasformare Gaza in un parcheggio, e ora pensi che faranno marcia indietro e diranno: “Ok, portiamo il cemento, ricostruiamo tutto”? È serio questo? È un’assurdità. Quindi, Gaza è finita. Credo che, in un modo o nell’altro, le persone cominceranno ad andarsene. Troveranno il modo. I gazawi sono molto ingegnosi, come puoi immaginare. Troveranno una via d’uscita”.
E per esempio, l’Unione Europea — prima dell’attacco all’Iran — ha cominciato a prendere posizione, dopo 20 mesi di silenzio. Perché?
“Perché ha capito che siamo all’ultima fase e che Netanyahu cercherà di realizzare una espulsione di massa. E forse, se scoppierà una guerra su larga scala con l’Iran, svuoterà anche la Cisgiordania. E l’Europa non voleva sporcarsi le mani. Quindi adesso possono dire, retroattivamente: “Noi l’abbiamo condannata”. Dimentichiamoci pure dei 20 mesi precedenti, ma “l’abbiamo condannata il mese scorso”. Tutto qui. Sanno benissimo cosa sta per succedere, ma sperano che i 20 mesi precedenti vengano dimenticati. E quindi Starmer, Macron, il premier canadese diranno: “Abbiamo condannato l’espulsione”. E tutti lo ripeteranno. È come durante la guerra in Vietnam. Voi siete troppo giovani per ricordarlo. Ma nel 1968, si capì che la guerra era persa. E molti che l’avevano sostenuta fino a quel momento fecero marcia indietro. E poi, quando la guerra finì, vennero lodati come “pacifisti”. Ma non erano contro la guerra. Si opposero alla guerra solo quando capirono che era persa. Prima del Sessantotto, quando gli Stati Uniti sganciavano ogni mese l’equivalente di due bombe atomiche sul Vietnam, nessuno era contro. Ma quando la guerra era ormai persa, allora sì, tutti presero posizione “contro” la guerra. È un’ipocrisia”.
Perché l’Europa ha sempre seguito Israele così fedelmente? Quali sono gli interessi europei in gioco?
“Ci sono fondamentalmente due ragioni. Una è la codardia, la codardia morale: la paura degli Stati Uniti. Patetica, pietosa. E l’altra è che odiano i musulmani. Gli italiani odiano i musulmani. Hanno lo stesso disprezzo verso i musulmani che hanno gli israeliani. Forse non così estremo, ma c’è. È presente. E non bisogna negare i fatti. Sì, c’è un problema di assimilazione dei musulmani in Europa. Lo riconosco. E sono sempre questioni difficili. Gli Stati Uniti — come si dice — sono una “nazione di immigrati”. E per qualche ragione, non so bene perché, non ho studiato la questione, gli Stati Uniti sembrano avere molte meno difficoltà rispetto all’Europa nell’assimilare gli stranieri”.
Una cosa che mi viene da chiedere è questa: c’è una differenza tra la popolazione europea — ad esempio studenti — e ciò che fanno i governi?
“Molti Paesi europei stanno eleggendo, o già hanno eletto, partiti di destra xenofobi molto forti. Quindi questa distinzione — tra Stato e popolo — a volte ha senso, ma a volte no. Come in Israele: molti dicono “sei di sinistra, dovresti distinguere tra Stato e popolo”. Sì, a volte è valido. Ma in una democrazia? A volte no. Durante la guerra del Vietnam, l’opposizione popolare era più forte di quella istituzionale. Capisco che in certi momenti ci sia un divario tra governo e opinione pubblica. Ma oggi, l’Europa sta rapidamente virando a destra. E ciò riflette l’opinione popolare. Questo è chiarissimo in Italia. È chiarissimo in Francia. Probabilmente presto anche nel Regno Unito. E negli Stati Uniti è già così: con Trump”.
Trump è stato molto repressivo verso le proteste studentesche, ma anche Biden lo era stato.
“Penso che la repressione sia cominciata con Biden”.
Esatto, è proprio questo che intendevo dire: tutti si concentrano su Trump, ma la repressione è iniziata prima. Quindi non si tratta di destra o sinistra, quando si parla della Palestina.
“Tutti gli “encampments” universitari (le proteste) sono stati sgomberati sotto Biden, l’isteria fasulla sull’antisemitismo nei campus, tutto questo, è iniziato con Biden. La rimozione di rettori e rettrici delle Università è avvenuta sotto Biden. È stata l’amministrazione Biden. È l’amministrazione Biden che ha presieduto al genocidio a Gaza. Trump non ha fatto molto. Ma solo perché ormai non c’era più niente da fare. Gaza era stata già distrutta”.
Quello che intendo dire è che Biden, che per molti rappresenta la sinistra, ha in realtà finanziato e sostenuto tutto questo. Il genocidio è cominciato sotto un governo democratico.
“Abbiamo visto cosa Israele è in grado di fare senza il sostegno degli Stati Uniti. Trump ha detto di voler firmare un cessate il fuoco, di voler liberare il primo ostaggio come gesto simbolico. Israele non voleva. Indovini cosa è successo ? È bastato che gli Stati Uniti facessero un gesto minimo, e tutto è finito”.
Che tipo di presa ha Israele sugli Stati Uniti, secondo lei?
“Quando diciamo che Israele ha “presa” sugli Stati Uniti, dobbiamo essere precisi. Quando gli Stati Uniti decidono che Israele sta danneggiando i loro interessi, Israele si ferma. Potrebbe essere proprio Trump a deciderlo adesso, e allora la questione Iran finirà. Tutti ridicolizzano Trump, e ci vuole zero coraggio per farlo. È così primitivo nei suoi istinti. Appena ho visto cosa è successo ieri (ndr. l’attacco di Israele all’Iran) mi è subito venuta in mente un’espressione: “gunboat diplomacy” (diplomazia delle cannoniere). È un’espressione della storia americana. Quando un paese diventava troppo ribelle, gli Stati Uniti mandavano le loro cannoniere e bombardavano. Diplomazia delle cannoniere. Poi è diventata la CIA a rovesciare i governi. Ma prima c’erano le navi da guerra. Ed è ovvio cosa è successo ieri. Trump vuole piegare l’Iran. Quindi dà luce verde a Israele per lanciare un attacco su larga scala — ma non totale. E ci si aspetta che, come accadeva con le cannoniere, si colpisce il porto, si bombarda la capitale, e il paese si inginocchia. Ecco, questo è il pensiero di Trump: “Fateli inginocchiare, uccidete tre scienziati, tre comandanti militari, fate saltare un reattore — forse non il principale — e poi l’Iran cederà.” È così che pensano. Ora, io non credo che l’Iran abbia questa possibilità di cedere. Non può. E quindi Trump cercherà di costringerli a firmare l’accordo che lui vuole. Dopo la “diplomazia delle cannoniere”, l’idea è: “Adesso firmate. Firmate questo accordo.” Ma è un accordo che equivale alla schiavitù. Vogliono ridurre l’Iran in schiavitù”.

a cura di Eleonora Piergallini