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Noi nella natura

di Guido Dalla Casa - 13/12/2018

Noi nella natura

Fonte: Guido Dalla Casa


 Lemuri e Antichità
  Giro turistico abituale: Chiese, Santi e Madonne, con mille spiegazioni di dettaglio. Poi le rovine romane, che sono lì da duemila anni. Tutta materia inerte. Ma poi mi vengono in mente un muso e due occhietti che mi guardano da ottanta milioni di anni: sono quelli di un Lemur catta, in una delle superstiti foreste del Madagascar. Chi mi sta guardando è un essere altamente senziente. Penso anche al tarsio spettro, un antenato che mi osserva da cento milioni di anni e che sopravvive soltanto nel Borneo, le cui foreste sono distrutte ad un ritmo vertiginoso. La sua comparsa sul Pianeta aveva preceduto di poco quella dei Lemuri.
  Se cade da un muro una vecchia pietra, bruciacchiata dal Vesuvio 2000 anni fa,  interviene il ministro della cultura, che deve difendersi. Molti si agitano di più se si rompe qualche vecchio muraglione che se scompare una specie, o 30-40 specie al giorno, o un intero ordine di esseri viventi.
 Se confrontiamo Pompei con qualche intero ordine di esseri senzienti, vediamo che la scala dei tempi è dilatata di 10-100.000 volte: è come confrontare un millimetro con 10-100 metri sull’asse orizzontale di un grafico. La scala dei tempi è anche una scala di importanza, per la Terra, per l’Ecosistema, per noi. Poi, da un lato si tratta di qualche pezzo di materia inerte, dall’altro parliamo della Vita, del diritto a vivere di tutti gli  esseri senzienti. Questo è uno dei guai della nostra civiltà, avere alterato la scala dei valori, avere dato meno importanza al vivente, alla spiritualità che si accompagna alla Vita e a tutta l’Ecosfera rispetto a qualche relitto della nostra cultura.  Le nostre povere “impronte” di pochi anni fa valgono forse più della Vita della Terra e del Complesso dei viventi??
  E nelle nostre scuole cosa si fa? Probabilmente ancora oggi viene considerato un ignorante chi non conosce l’anno di nascita di Dante, ma non importa quasi a nessuno se qualche allievo non distingue un’anatra da una gallina, o dice che il delfino è un pesce, o confonde un abete con una palma… Anche nel mondo universitario, nessuno fa commenti se un accademico di storia, o economia, o letteratura, crede che uno scorpione sia un insetto o pensa che una medusa sia simile a una seppia, mentre sarà difficile (per fortuna) che un professore di matematica o di scienze naturali non sappia qualcosa di Petrarca o di Michelangelo. Il problema è nella nostra formazione scolastica di base, e anche nell’informazione corrente: i giornalisti in generale non fanno certamente eccezione per quanto riguarda l’ignoranza sul mondo naturale.   Qualche volta la filosofia fa da ponte, ma è comunque sorprendente constatare che chi si interessa di Ecologia Profonda proviene spesso da una formazione di tipo filosofico e più raramente da studi a sfondo scientifico, dopo due secoli che conosciamo l’evoluzione biologica e l’Unità della Vita.
  Insomma monumenti, relitti, battaglie, conquiste sarebbero più importanti che conoscere come si è sviluppata la Vita in tre miliardi di anni! Naturalmente ci sono molte lodevoli eccezioni, ma sono quasi sempre dovute a iniziative personali.
Lasciare tracce nella storia?
  Nella cultura occidentale è un valore “lasciare tracce nella storia”. In una tribù di nativi americani  veniva insegnato già ai bambini a “non lasciare orme così profonde che il vento non le possa cancellare”, perché non si doveva alterare il mondo naturale, che era sacro. Quei nativi, dato che non lasciavano tracce nella storia, non erano considerati una “civiltà” dagli occidentali. Oggi solo una minoranza comincia appena a rendersi conto di quale follia sia stata incitare sempre a “fare”, alterare il mondo naturale.
  I démoni dell’avere e del fare stanno divorando l’Occidente, garantendo l’infelicità.
  Che dire della religione? L’animismo è stata per millenni la visione del mondo prevalente in tante culture umane. Poi sono venute le tre religioni abramitiche: queste sono “calate nella storia”, hanno fondatori, figure umane, profeti, avvenimenti storici, libri, istituzioni. Da un certo punto di vista, sono cominciati i guai. Con esse è arrivato un antropocentrismo mostruoso, solo l’uomo “ha l’anima”, gli altri esseri senzienti sono al suo servizio, non contano niente, perché un Dio esterno al mondo osserva, premia o punisce le azioni di una sola specie. Allora lo spirito dell’albero, del lupo e del torrente sono scomparsi: sarebbero solo “materia”. I guai sono cominciati diecimila anni fa, con l’inizio dell’agricoltura, oppure tremila anni fa, con l’inizio delle religioni abramitiche. Oppure i grossi guai sono iniziati duecento anni orsono, con l’inizio dell’industrializzazione? Quando è cominciata la malattia della Terra? Duecento anni fa esistevano ancora molti popoli non industrializzati, e c’erano ancora culture animiste: infine è arrivata la globalizzazione, l’Occidente li ha fagocitati tutti, o con le lusinghe, o, più spesso, con violenza fisica e psicologica.
La separazione umano-animale
  Nell’immaginario collettivo dell’Occidente, almeno finora, c’è un’insanabile spaccatura nel mondo vivente: gli umani, che avrebbero una spiritualità, e gli altri esseri che sarebbero soltanto materia al servizio dell’uomo, cioè “risorse”. In una visione del mondo ispirata all’ecologia profonda, il problema della contrapposizione uomo-animali non esiste, perché l’uomo è un animale a tutti gli effetti: non c’è alcuna separazione, né alcun confine.
 L’idea di uomo, nel pensiero dell’Occidente, è costruita in contrapposizione all’idea di animale: umanità e animalità vi appaiono come termini antitetici, sia nella concezione biblica che nell’idea scientifica di derivazione baconiana. Ma si tratta di una contrapposizione largamente mitica e scientificamente insostenibile.
  Alcuni anni fa è stato pubblicato in italiano un libro di uno scienziato olandese  (R.Corbey – Metafisiche delle scimmie – Bollati Boringhieri, 2008), in cui, oltre ad altre considerazioni, si ricerca quali possano essere le caratteristiche che dividono l’umano dall’animale. In un recente passato si è sempre dovuto spostare questo confine, man mano che si accumulavano nuove scoperte e nuovi studi, ma infine il tentativo di mantenere comunque una divisione è fallito: il confine non esiste. Gli altri animali giocano, soffrono, amano, hanno emozioni profonde, tengono un comportamento del tutto paragonabile a quello umano.
  Viene comunque spontaneo chiedersi se sia più materialista una visione del mondo in cui tutto è soltanto materia inerte, tranne una sola specie “privilegiata”, o un sottofondo di pensiero in cui qualunque entità naturale evidenzia lo spirito, la mente o l’Anima del mondo.
  Quando si esaminano le differenze fra umani e altri animali, di solito ci si limita a parlare di esseri senzienti a noi molto simili ma tuttora viventi. Anche così, non si trova alcuna spaccatura evidente: nel messaggio genetico, la differenza fra noi e uno scimpanzé bonobo è dell'ordine dell'uno per cento. Se poi consideriamo anche esseri del passato (Australopiteci, Homo habilis, uomo di Neanderthal, ecc.), le assurdità delle concezioni correnti diventano ancora più evidenti.
   Gli altri animali soffrono, amano, sono coscienti. Qual è la facoltà che consente di attribuire dei “diritti soggettivi”? Se fosse qualche forma di coscienza o consapevolezza, non si capisce con quale logica si riconoscono diritti alle persone in coma o agli embrioni umani e non si considera degno di considerazioni morali soggettive un essere consapevole e senziente come un orango, un cane o un delfino.
   E’ evidente poi che la storiella che veniva raccontata ai bambini una cinquantina di anni fa, che cioè la nostra specie “ha l’intelligenza” mentre gli animali hanno soltanto “l’istinto” è qualcosa che fa ridere, anche alla luce di studi recenti sulle emozioni, i sentimenti, il comportamento e la struttura delle società di tanti esseri viventi.
Varietà e Complessità
  La trasformazione di un ecosistema naturale in un’area industrializzata, o in un’area coltivata in modo “moderno”, consiste nel sostituire gruppi di inerti (cemento, metalli, fabbriche, impianti, ecc.) a un complesso di viventi, nel sostituire l’inorganico all’organico, nel diminuire il grado di complessità.  Macchine, impianti, strade, monocolture imbottite di pesticidi, al posto di foreste, paludi, savane.
  Ma c’è da chiedersi quanti si rendono veramente conto che lo sviluppo economico significa in realtà “rifare il mondo”, distruggere la Vita, cioè un Complesso di 30 milioni di specie di esseri senzienti, sostituendola con poche specie degenerate.    
  Duecento anni di civiltà industriale contro tre miliardi di anni della Vita sulla Terra. Ma tutte le autorità promettono “lo sviluppo”: se non lo fanno, perdono il posto dopo pochi giorni. Dove arriva il concetto stesso di sviluppo economico, scompaiono l’equilibrio dell’animo e l’armonia del mondo.
  In quanto poi a “ripristinare”, si tratta di provvedimenti molto utili, ma non illudiamoci: solo come esempio, la “riforestazione” non può ricreare una foresta, anche se è meglio di niente. Se consideriamo anche solo l’aspetto materiale, è evidente che una piantagione di alberi non è una foresta e anche i suoi effetti sull’atmosfera sono ben diversi. Il livello di complessità delle piantagioni è molto più basso e perciò sono più attaccabili e indifese. Infatti la capacità di omeostasi è funzione della complessità.
  Ancora come esempio, la barriera corallina, in gran parte già compromessa, ha un livello di complessità molto elevato ed è alla base di altri sistemi di cui infine facciamo parte anche noi. Ora è in gravissimo pericolo per i cambiamenti climatici e per l’inquinamento marino. E’ comunque un anello essenziale per tutta la Vita.
  Le periferie di tutte le città del mondo stanno diventando uguali, gli aeroporti sono tutti simili, anche il clima interno diventa uguale a causa dell’aria condizionata.   Come le cellule del cancro, che si moltiplicano sempre uguali a sé stesse, divorando la varietà e la vita che sta loro incontro. Ormai un prossimo rapido collasso del sistema economico è divenuta una speranza. Altrimenti, si avrebbero conseguenze ben più gravi e difficilmente immaginabili.
La Vita è Unica
  Noi umani veniamo dall’Africa, dove vivevano gli Australopiteci, nostri antenati. Lucy, la nostra cara bisnonna, ha tre milioni di anni. Poi, dopo molto tempo, secondo idee diffuse alcuni decenni orsono, sono iniziate le migrazioni, una dopo l’altra. Ma recentemente si è dovuto riscrivere tutto, almeno secondo una corrente della scienza. Quelle migrazioni in serie verso l’Europa e l’Asia erano solo un “disperato” tentativo di ribadire l’origine unica dell’umanità, per salvare in qualche modo una tradizione culturale dell’Occidente. Non c’è bisogno di ricorrere a tutte queste strane, ripetute migrazioni che “ripartono” dall’Africa più e più volte. Tutti questi ominidi, Primati, cioè scimmie, si mescolavano e formavano famiglie miste: noi siamo i discendenti di quasi tutti, compresi quelli già arrivati in Asia. Anche oggi, la differenza fra noi e uno scimpanzé bonobo è dell’ordine dell’uno per cento. L’unica cosa reale che avremmo dovuto imparare è che la Vita è unica, non ci sono discontinuità. In tempi recenti, l’Homo Sapiens non ha combattuto il Neanderthal e poi “ha vinto”. I geni del Neanderthal (circa l’8-10%) sono ancora dentro di noi. Sapiens e Neanderthal formavano anche famiglie miste, naturalmente qualche volta litigavano. L’umanità non ha un’origine unica, è una mescolanza come tutti gli altri esseri senzienti. Questo comporta conseguenze anche per l’etica: tutti gli esseri hanno diritto ad una vita dignitosa e autonoma.
  Ricordo benissimo di aver letto, su un giornale serio di 40-50 anni fa, che era stata tentata in un laboratorio una fecondazione “in vitro” fra un gamete umano e uno di scimpanzé: si era sviluppato un embrione, vissuto pochi giorni, o poche ore. Non se ne è saputo più nulla: forse l’Occidente non poteva sopportare una notizia simile, che faceva saltare il suo sottofondo mostruosamente antropocentrico.
  Anche il cane non “deriva” dal lupo in modo lineare, la Vita procede per cespugli e incroci multipli, non per rami lineari. Konrad Lorenz, il famoso scienziato-filosofo che sarebbe ora di riscoprire, nel suo libro “E l’uomo incontrò il cane” afferma che il cane è derivato anche dallo sciacallo dorato e probabilmente anche da qualche altro canide. Conosciamo solo l’Unità della Vita, forse anche l’Anima del Mondo, o, se volete, la Mente Estesa di Rupert Sheldrake. Sappiamo, ma non ne siamo ancora consapevoli, che ci troviamo in un Organismo, anche mentale, che chiamiamo la Natura.
  Neppure con la religione si può stabilire un stacco uomo-animale, che è solo un dualismo di origini culturali. Da Jane Goodall, la nota primatologa inglese, che ha trascorso quasi 50 anni fra gli scimpanzé, riporto:
  Nel profondo della foresta di Gombe c’è una spettacolare cascata. Talvolta, mentre gli scimpanzé si avvicinano e il rombo dell’acqua che cade si fa più intenso, il loro passo si affretta, i peli si rizzano dall’eccitazione. Quando raggiungono il corso d’acqua mettono in atto scene magnifiche, alzandosi in piedi, ondeggiando ritmicamente da un piede all’altro, sbattendo le zampe nell’acqua bassa e in corsa, raccogliendo e lanciando grosse pietre. A volte salgono sulle liane che penzolano dall’alto e fanno l’altalena fra gli spruzzi dell’acqua che cade. Questa “danza della cascata” può durare dieci o quindici minuti, dopodiché può accadere che uno scimpanzé si sieda su una roccia, con gli occhi che seguono il percorso dell’acqua. Che cos’è, quest’acqua? Continua ad arrivare, continua ad allontanarsi, eppure c’è sempre.
  Probabilmente gli scimpanzé provano un’emozione simile a una meraviglia o ad un riverente rispetto. Se hanno un linguaggio parlato, se possono discutere delle emozioni che innescano queste magnifiche scene, ciò significa che hanno una religione animistica “primitiva”.
  La cascata è sempre stato il luogo più spirituale di Gombe, e ora sappiamo che era considerata un luogo sacro dal popolo che vi viveva un tempo, un luogo in cui gli uomini-medicina eseguivano cerimonie una volta all’anno. Mi chiedo se non abbiano mai osservato, come rapiti, le danze selvagge degli scimpanzé.”                                                
Ancora dualismi
  L’idea che il mondo è la nostra casa da tenere pulita e conservare, tanto cara all’ecologia di superficie, è completamente fuorviante, come l’idea di prendersi cura dell’Ambiente. Ma l’ambiente di chi? Della nostra privilegiata specie?? Perfino la concezione della Madre Terra (PachaMama), che sembra tanto “ecologica”, ha creato un dualismo: la Madre è distinta dai figli, dobbiamo rispettarla ma è un’altra persona da noi. Invece oggi sappiamo che noi siamo Natura, siamo cellule, o gruppi di cellule, o tessuti,  partecipiamo della stessa Vita, mente compresa. In realtà siamo inseriti in un Organismo, ne facciamo parte, ma facciamo finta di non saperlo.
  Fra gli animisti-panteisti, qualcuno percepiva il Grande Inconscio, che oggi possiamo chiamare anche Inconscio Ecologico, oppure Mente Estesa. Forse era quello che molti dei nativi americani chiamavano il Grande Spirito, o il Grande Mistero. Tutto è collegato.
Conclusioni
  La conclusione “olistica” che si può trarre è questa:
  La civiltà industriale è fallita, perché è incompatibile con la vita della Terra, è un fenomeno impossibile, se non per tempi brevissimi, che sono quasi scaduti. Il concetto di sviluppo sostenibile, la green economy, l’economia circolare, la semplice sostituzione delle fonti energetiche e simili servono solo a prolungare un po’ i tempi e ad alimentare illusioni.
Dal Manifesto per la Terra di Mosquin e Rowe (www.ecospherics.net):
L’esperimento dell’umanità, vecchio di diecimila anni, di adottare un modo di vita a spese della Natura e che ha il suo culmine nella globalizzazione economica, è fallito. La ragione prima di questo fallimento è che abbiamo messo l’importanza della nostra specie al di sopra di tutto il resto. Abbiamo erroneamente considerato la Terra, i suoi ecosistemi e la miriade delle sue parti organiche/inorganiche soltanto come nostre risorse, che hanno valore solo quando servono i nostri bisogni e i nostri desideri. E’ urgente un coraggioso cambiamento di attitudini e attività. Ci sono legioni di diagnosi e prescrizioni per rimettere in salute il rapporto fra l’umanità e la Terra, e qui noi vogliamo enfatizzare quella, forse visionaria, che sembra essenziale per il successo di tutte le altre. Una nuova visione del mondo basata sull’Ecosfera planetaria ci indica la via.
  Speriamo di avere ancora almeno il tempo di invertire la rotta.
Dicembre 2018