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Non lo conosco, ci sono solo andata a letto

di Roberto Pecchioli - 09/10/2020

Non lo conosco, ci sono solo andata a letto

Fonte: Accademia nuova Italia

Sino a ieri ci era sconosciuta l’esistenza di Ted Talks, una piattaforma informatica per conferenze, dialoghi, lezioni e riflessioni in video gestita da un’organizzazione no profit americana, veicolata attraverso Youtube. Incuriositi dalla notizia che la video confessione di una studentessa universitaria spagnola aveva raggiunto lo sbalorditivo numero di un milione e mezzo di visualizzazioni, suscitando l’interesse generale, abbiamo trascorso un’istruttiva mezz’ora ascoltando le esternazioni sulla sua vita e sull’universo giovanile di Chipi Lozano, studentessa di medicina a Cadice, la splendida città bianca dalla luce abbagliante.  

E’ stata un’autentica lezione, una scossa che ci ha fatto misurare l’incolmabile distanza non solo generazionale, ma meta culturale che rende incomunicabili mondi e valori tanto diversi. Chipi, in fondo, un po’ assomiglia chi scrive: più riflessiva di molti coetanei, racconta un’esperienza che, con tutte le distanze temporali del caso, ci ricorda la sensazione di estraneità che provammo, al tempo del liceo, la prima e unica volta in cui varcammo le porte di una discoteca.  Spiega la giovane gaditana che, circondata da una marea umana che si dimenava in pista al suono (o baccano?) della musica, improvvisamente scoppiò in lacrime. Un amico, non indifferente come la massa informe, le chiese la ragione. Che ti succede? Stai bene? si allarmò il samaritano, conoscendo l’abuso di alcool e sostanze stupefacenti tanto comune tra i giovani nel tempio irreligioso della discoteca.

Chipi non riusciva a rispondere: provava repulsione per quell’umanità- i suoi coetanei- per i quali nulla aveva più importanza, scatenati – o incatenati- in un gioco in cui non conta più nulla, se non l’attimo, lo sballo, le pulsioni. La prima domanda che si fece, dopo essersi ripresa, ci ha colpito quanto l’intero racconto: qual è il ruolo della vulnerabilità nelle relazioni tra i giovani della mia età? La risposta ci è parso di rintracciarla nell’inizio delle riflessioni della ragazza, uno spaccato dei dialoghi e delle confidenze tra coetanee. Parlando delle relazioni di coppia, dice una: “ha tardato quattro ore a rispondermi su whattsapp. Fino a domani non lo richiamo. Del resto, non lo conosco, ci sono solo andata a letto.“ La perplessità di Chipi è grande. L’ amore? Che cosa è amore se la normalità sono le relazioni momentanee, il “carpe diem” e il principio che se ti innamori, sei perdente? Il problema non poteva essere meglio sintetizzato. Abbiamo insegnato ai nostri figli a vivere senza porsi domande, a mordere la vita, accumulare emozioni, consumare tutto in fretta, oggi, subito.

Consumare significa esaurire, corrodere, usurare, in qualche modo negare il domani in nome di un tremendo “Grande Adesso”.  Ragazzi vulnerabili per un sacco di motivi, ma uno sta esattamente nell’ansia indotta di provare tutto, correre in un permanente usa e getta, cose e persone. Spaventa, nella generazione descritta da Chipi, l’assoluta mancanza di domande di senso, cause per cui vivere, motivazioni, così tipiche della giovinezza, l’indifferenza spirituale, coperta da un materialismo greve ma in fondo disperato, bisognoso di alzare ogni volta l’asticella, andare più in là, oltre limiti e barriere. L’indifferenza etica preoccupa più della trasgressione autentica, che almeno conosce un sistema di valori e li viola coscientemente, per sfida, spesso riconoscendo poi la vanità di atti e condotte che sono da sempre espressioni dell’età giovanile.

La ragazza parla con calma, fotografa senza apparente amarezza la realtà di cui è parte. Riferisce di dialoghi tra ragazzi di questo tipo: non ricordo l’ultima volta che ho scopato con qualcuna da sobrio. Un’amica chiedeva consiglio preoccupata: non so che cosa fare, il mio ragazzo vuole portarmi a casa dai suoi genitori. Che cosa si è messo in testa? Forse crede che questo (la relazione N.d.R.) sia più serio di quanto dovrebbe “. Di quanto dovrebbe: l’istantanea di un mondo che fa ammutolire. La libertà, trasformata in liberazione da ogni vincolo, è totale, si può avere una relazione, due, o una “aperta”; il sesso compulsivo in ognuna delle sue varianti è non solo permesso, ma banalizzato, applaudito, una sorta di obbligo sociale, con primati da battere come nel gioco del flipper. L’amore diventa un tabù nel momento in cui cessa di esserlo il sesso. Non solo l’amore, ma anche l’amicizia e la sincerità dei rapporti.

La domanda successiva della ragazza è più profonda di quanto appaia: da quando fare qualcosa di tanto normale come prendere un caffè in compagnia, parlare, discutere, aprirsi sinceramente ha cominciato a essere più intimo, difficile e impegnativo che andare a letto con qualcuno?  Abbiamo noi un’altra domanda, più impegnativa, che rivolgiamo a noi stessi, la generazione “liquida” che ha permesso la sconfitta esistenziale dei figli. Da dove viene, se non da noi, questa specie di orticaria, la fuga di massa dei più giovani all’idea di impegnarsi, tenuto conto che la prima giovinezza oggi dura ben oltre i trent’anni, quando in tutte le generazioni precedenti uomini e donne erano da tempo genitori, lavoratori, membri adulti della società?  Il divertimento di una notte, l’uso reciproco di sé, una botta e via. “Conosco la tua posizione preferita del Kamasutra e la voglia che hai all’inguine, ma come hai detto di chiamarti? Ciao, bello, forse domani ti richiamo” conclude Chipi.  Non é – ovviamente- solo questione di banalizzazione del sesso, ma piuttosto di una paura dei sentimenti, dell’impegno, che è timore di se stessi, del domani, di tutto ciò che è solido, quindi sconosciuto.

Non hanno colpa se appartengono a una generazione i cui padri, per l’ansia di non far mancare loro nulla – e il malcelato desiderio di non assumere, a loro volta, responsabilità educative e pronunciare qualche no- hanno finito per trasformare i figli nella generazione dell’immediatezza. Vuoi qualcosa? Ecco i soldi, vai, tutt’ al con la grottesca invocazione “mi raccomando “. Vogliono tutto e lo vogliono subito. Perché stupirsi, se nessuno ha trasmesso il valore della costanza, dell’impegno per conquistare qualcosa, della perseveranza. Abbiamo forse, noi, dato l’esempio?  Recentissimo, nella tenace volontà di non prendere impegni, di non pensare mai a lungo termine e non mettere in gioco i sentimenti, è un fenomeno inedito, il timore di perdersi qualcosa, di non vivere intensamente. Gli psicologi americani l’hanno chiamato “sindrome FOMO”. Fear of missing out, la paura di rimanere esclusi, di non partecipare al gioco pericoloso del consumo – anche di sé- delle esperienze emotive, meglio se estreme, delle novità, le uniche cose per le quali valga la pena vivere.

Meglio non fare scelte, non prendere partito se non per seguire moda e corrente; non sia mai che sfugga qualcosa di “forte”, senza comprendere – ma nessuno lo spiega– che, paradossalmente, quell’ansia di volere tutto, provare tutto, è ciò che impedisce di liberare i sentimenti e provare gioie di lungo periodo. Lo rivela con un certo candore la stessa Chipi, riconoscendo di essersi resa conto all’improvviso che cresceva, entro una relazione – di amore o di amicizia – solo quando cominciava a sentirsi vulnerabile, priva di protezione, in altre parole quando iniziava a credere e a impegnarsi nei sentimenti.

Vulnerabilità, ansia di protezione: nulla di diverso dalla condizione giovanile di ogni tempo. Li abbiamo lasciati a se stessi, per un malinteso senso di libertà, per aderire alle mode e allo spirito del tempo, per non prenderci responsabilità. Sono davvero i nostri figli. Correre a perdifiato con il trolley in mano, da nomadi postmoderni low cost, è così diventata la coperta di Linus, l’oggetto che dà sicurezza e di cui non ci si può privare, la protezione magica ed irrinunciabile della generazione Erasmus. Paul Virilio parlò di potere della velocità, negli atti, nei valori “liquidi”, nelle esigenze, ma finì con il riconoscere che, vissuta nel mito della fretta, del bruciare la vita, cresce in realtà una massa di “dissuasi”, ossia persone per le quali non vale la pena di impegnarsi in nulla, che finiscono in un conformismo plumbeo vestito da trasgressione, le abitudini estreme che diventano routine. Diminuisce pericolosamente l’età in cui si affrontano certe esperienze, ma il giovane adulto conquista in ritardo la maturità. Da adolescenti, si desidera essere “come tutti gli altri”, è fondamentale far parte di un gruppo, la fratria dei coetanei. Più tardi, sorge la consapevolezza e si forma la personalità.

A Chipi è accaduto piangendo nel caos della discoteca, quando si è riconosciuta diversa. Con sofferenza, ha scoperto se stessa, un percorso che la postmodernità procrastina e scoraggia. Bisogna essere per sempre “come tutti gli altri”, cioè consumatori compulsivi, macchine desideranti preda di istinti da soddisfare in fretta per correre verso nuove avventure. Secondo antropologi come Arnold Gehlen e filosofi come Edmund Husserl, caratteristica centrale dell’essere umano è la capacità di “rinviare”, ovvero di non essere prigioniero dell’istante, della pulsione, del puro istinto. Troppi cattivi maestri, al servizio di un potere malvagio, lavorano per ricondurre l’uomo a una animalità senza innocenza, per raggiungere la quale è essenziale cancellare le domande di fondo.

Heidegger parlava di “gettatezza” dell’essere umano nel mondo. Gettato, scaraventato sin dall’infanzia nel vortice della vita, privato di principi trasmessi, ciascuno “sta solo sul cuor della terra “e finisce per lasciarsi vivere, preda degli istinti e delle luci più abbaglianti. Chipi ha avuto orrore della sua vulnerabilità; poi, sembra averla accettata come elemento naturale della condizione di essere umano. Non c’è che l’impegno per vincere la dromocrazia e non vivere “dissuasi” dalle lotte, dai principi, dal giudicare il bene e il male. Telemaco, figlio di Ulisse, padre lontano, si accorge di essere diventato adulto esclamando: “il bene e il male giudico”.

Fatta di atomi solitari, senza padri e senza futuro, la generazione dei figli vive di istinti, sensazioni e dubbie “emozioni” nell’eterno presente, un tempo che non esiste poiché nel momento in cui lo si pensa è già passato. Per questo, finisce per non conoscere nemmeno coloro “con cui va a letto” in un atto meccanico da cui sembra espulso l’amore, sostituito dal feeling e dalla semplice attrazione, scarica elettrica intensa ma fuggente, in cui si usa e si è usati. La confessione umanissima e onesta di Chipi Lozano ci racconta, in fondo, quello che sapevamo e non abbiamo voluto trasmettere, tradendo i nostri stessi figli.

Qualcuno scopre da solo la verità, e rigetta le chimere del consumo e rifiuta di finire come il cane di Pavlov, che sbavava non davanti al cibo – ovvero alla realtà- ma al suono del campanello che lo annunciava. Vivere alla giornata, cogliere l’attimo, bere la vita fino all’ultima goccia affascina, ma alla fine ogni cosa ha il valore che noi vogliamo dargli e si ama soltanto ciò che si conosce davvero, di cui si è fatta esperienza. Il Piccolo Principe di Saint Exupéry, che sapeva di amore e cultura, disse così: gli uomini del tuo pianeta coltivano mille rose nello stesso giardino, ma non sanno quello che cercano. E’ il tempo che hai passato con la tua rosa che l’ha resa unica.