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Pasolini amava i sottoproletari

di Massimo Fini - 09/11/2025

Pasolini amava i sottoproletari

Fonte: Massimo Fini

Ho conosciuto Pier Paolo Pasolini per un’intervista, come era normale, in fondo allora facevo ancora il giornalista. Pierpaolo abitava all’EUR, quartiere borghese per eccellenza, in una casa borghese, zeppa di centrini, di comodini, di piccoli vasi di fiori. Eravamo su una bella terrazza. Mi colpì il suo volto, scavato. Un volto da Cristo, non ovviamente il Cristo olografico, ma il ‘Cristo crocefisso’ di Matthias Grünewald che si può vedere a Colmar, nel Museo di Unterlinden (lo trovate subito sulla sinistra e fa una notevole impressione). Pier Paolo, nel suo parlare pacato, non faceva alcuna impressione. Non c’era nulla di sulfureo in lui. Non se la dava, per dirla in termini spicci.
L’atteggiamento di Pasolini cambiò radicalmente quando entrò la madre. Fu tutto un “pissi pissi, bao bao”, infantile. E lì capivi l’omosessualità di Pasolini. Si sa che madri troppo opprimenti nei confronti dei figli maschi ‘partoriscono’ omosessuali o playboy, il che è la stessa cosa (vedi Sgarbi).
Poiché si era creata una certa intesa mi invitò a pranzo. La madre si era ritirata in cucina. Parlammo dei temi che gli erano più cari, la “dittatura del consumo” e la battaglia contro il Potere da lui individuato, secondo me un po’ troppo sbrigativamente, nella Democrazia cristiana. Sul consumo mi disse: <<Io credo, io credo profondamente che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamente chiamato ‘la società dei consumi’. Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. E invece no. Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell’urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa bonaria e grassoccia società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un fascismo bello e buono… Il che significa, in definitiva, che questa ‘società dei consumi’ è una civiltà dittatoriale. Insomma se la parola ‘fascismo’ significa la prepotenza del potere, la ‘società dei consumi’ ha bene realizzato il fascismo… Secondo me, la vera intolleranza è quella della società dei consumi, della permissività fatta cadere dall’alto, voluta dall’alto, che è la vera, la peggiore, la più subdola, fredda e spietata forma di intolleranza. Perché è intolleranza mascherata da tolleranza. Perché non è vera. Perché è revocabile ogni qualvolta il potere ne senta il bisogno. Perché è il vero fascismo da cui viene poi l’antifascismo di maniera: inutile, ipocrita, sostanzialmente gradito al regime.>> (“Antifascismo come genere di consumo”, intervista rilasciatami per L’Europeo nel dicembre 1974).
Nel pomeriggio arrivò Ninetto Davoli, uno dei suoi giovani amanti. E qui si manifestò un altro Pasolini, più aggressivo. La sera mi invitò a cena in un ristorante del Pigneto, allora uno dei quartieri più malfamati di Roma (adesso è diventato trendy). C’erano “ragazzi di vita”, marchette, delinquenza spicciola. Lo conoscevano tutti, però uno non va in un posto del genere a bordo di un’Alfa Romeo se non ha il piacere, il gusto, la voglia del rischio. Del resto, nel 1961, Pasolini aveva tentato una rapina a un benzinaio del Circeo.
Pasolini era morbosamente attratto non dal proletariato, ma piuttosto dal sottoproletariato. Quando nel Sessantotto i sessantottini gettavano, per scherno, le monete ai poliziotti Pier Paolo prese la parte di questi ultimi sostenendo che i primi erano solo dei marci borghesi (e in effetti lo erano) mentre le vere vittime erano i poliziotti.
Non so se Pasolini possa essere bollato come comunista – in realtà, come tutti i geni, Pasolini non è qualificabile in questa o quella categoria politica –. Però ebbe dei seri problemi personali perché il fratello era stato ucciso dai partigiani titini, comunisti.
Al Pigneto Pasolini abbordò una giovane ‘marchetta’, “Pino la rana”, di 17 anni, ma una volta alla Magliana, terreno di questi incontri, fece una richiesta eccessiva, voleva infilargli nel culo un bastone e Pino la rana (in realtà si chiamava Giuseppe Pelosi) si rifiutò. Ne nacque una lite furibonda. Pino la rana ebbe la meglio e, come se non bastasse, passò con la macchina, l’Alfa Romeo, sul corpo ormai esanime di Pier Paolo, uccidendolo. E’ un meccanismo tipico del sadomasochismo, ben conosciuto in psicanalisi, voler umiliare l’oggetto dei propri desideri. Pier Paolo era un uomo robusto che si teneva in allenamento, giocava anche a calcio, di cui era appassionatissimo e ci si chiede quindi come sia stato possibile che Pelosi abbia potuto sopraffarlo. Ci si dimentica che Pasolini aveva allora 53 anni e l’altro 17. E’ capitato anche a me, da ragazzo, di fare lo sbruffone con un uomo di trent’anni più anziano.
Nacque quindi la leggenda che Pasolini non era stato ucciso da Pelosi, ma dai “fascisti”, che allora erano colpevoli di tutto. La leggenda nasce da delle palabras che Oriana Fallaci aveva sentito dal parrucchiere e che si diceva amicissima di Pier Paolo. Bene, ho frequentato per molti anni Oriana e, nelle conversazioni private, non l’ho mai sentita nominare una sola volta Pasolini, per almeno due anni ho avuto una certa frequentazione con Pier Paolo e non l’ho mai sentito nominare una sola volta Oriana Fallaci. Inoltre, in regime di legislazione premiale, se Pelosi, minorenne, avesse avuto dei mandanti avrebbe avuto tutto l’interesse a tirarli in ballo.
Pasolini era un uomo curioso di tutto e si è cimentato in generi diversissimi, dal film, al teatro, alla musica, al romanzo, al disegno. Era un uomo dalla cultura sterminata. Ma, come spesso succede a uomini di questo tipo, si disperdeva troppo (“uno è più di due” Nietzsche). Particolarmente penosi sono i suoi film a cominciare dallo strombazzatissimo “Uccellacci e uccellini”, dove coinvolse un incolpevole Totò, a “Sodoma e Salò, o le 120 giornate di Sodoma” (sono stato sul set) che aveva il solo scopo di esaltare la sua vena sadica. Anche i romanzi non sono granché.
Ho frequentato Pasolini fino alla sua morte. Gli telefonavo e se non aveva niente di meglio da fare ci si vedeva. Non però in locali equivoci, ma del tutto normali, senza la presenza di intellettuali che lui, in fondo, detestava.
Per me la conoscenza di Pasolini, non solo quella personale, ma anche quella della sua opera è stata fondamentale, perché è da lui, anche se non solo da lui, che ho ripreso temi che sarebbero stati di ispirazione per i miei libri, a cominciare da “La ragione aveva torto?”. In particolare fu importante il suo film “I fiori delle mille e una notte” girato in Yemen. Uno Yemen molto diverso da quello attuale dove fanno scorribande gli Uti.
La sua morte ha interrotto questa conoscenza personale, ma non l’influsso che ha avuto sul mio pensiero, per quel tanto che vale.