La gaia morte
di Roberto Pecchioli - 09/11/2025

Fonte: EreticaMente
E subito riprende/ il viaggio/ come/ dopo il naufragio/ un superstite/ lupo di mare. La breve lirica di Giuseppe Ungaretti, simbolo della raccolta Allegria di naufragi, è un inno alla vita, all’ottimismo vitale di chi reagisce dopo – e nonostante – il dolore. Lo scrivano non ci riesce più: capace di sopportare i naufragi personali, non sa più reggere all’agonia sconcertante del mondo in cui è nato e cresciuto. Sconforta soprattutto l’indifferenza con cui la nostra civilizzazione, la nostra gente, affronta il naufragio. Sembra attratta irresistibilmente dalla fine, dalla morte per suicidio, dall’odio di sé. La gaia morte tra danze scomposte nella convinzione folle che ciò che inventiamo, il male che ci infliggiamo, sia il coronamento della civiltà. Autodifesa, forse: meglio finire ridendo che ritenersi, come chi scrive, rari nantes in gurgite vasto. Pochi, sparsi nuotatori, reduci dal naufragio nel gorgo in tempesta.
Non basta più l’idea di “passare al bosco”, vivere nascosti come i filosofi stoici greci, làthe biòsas, il motto tratto da Epicuro. Questo tempo ti raggiunge ovunque, ti scova e ti infetta dovunque tu sia. È durissimo essere estranei al proprio tempo, un esilio interiore peggiore che essere cacciati dalla patria. Reagire rischia di essere uno sfogo impotente, il gesto estremo di Enrico Toti, il soldato storpio che lanciò la sua gruccia contro il nemico. Manca la comprensione di ciò che accade, si resta sgomenti di fronte alla tenace volontà di morte che ci pervade. In Belgio una ragazza muore per mano dello Stato in quanto depressa. Il sistema ha rifiutato di sostenerla e le ha negato ogni aiuto, se non l’assistenza di un boia in camice bianco con timbro di autorizzazione e verbale di operazioni compiute.
Un vuoto immenso, l’immersione nel nulla di un mondo che non crede nel trascendente e neppure nell’immanente, se gli è così facile sopprimere vite. È evidente l’approvazione della maggioranza: la gente crede in ciò che le viene fatto credere. Questo è lo spirito del tempo, un tempo senza spirito e senza umanità. La povera Siska – questo è il nome della giovane – è in numerosa compagnia. Il tema dell’eutanasia è troppo profondo, delicato, raggiunge le corde più intime e profonde dell’essere, per risolversi in negazioni assolute o consensi altrettanto radicali. Merita una riflessione che attinga i fondamenti di ciò che vogliamo essere, della società che stiamo edificando e insieme distruggendo.
Viviamo nell’era del mercante che tutto compravende e per il quale è l’utile l’unico criterio di valutazione. Dunque, se una vita diventa costosa – cure, attenzione, denaro – bisogna sopprimerla. Meglio se con il consenso dell’interessato e della società. Il criterio vale anche per il senso comune occidentale sul tema dell’aborto. Non più delitto o scelta difficile ed estrema, ma diritto da esercitare a spese di tutti per liberarsi non di una vita umana nascente ma di un grumo di cellule sgradite. L’occidente contemporaneo è il luogo della gaia morte, a cui vengono dati nomi gentili, eufemistici, politicamente corretti. L’aborto si chiama interruzione volontaria di gravidanza o salute riproduttiva (generare figli è una malattia sociale?), la morte è fine vita. Le pratiche mediche che la circondano sono definite in Canada Aiuto Medico a Morire, Medical Aid in Dying, acronimo MAID, che per ironia significa anche fanciulla o domestica. L’infanticidio è declassato a aborto postnatale. La tentazione estrema di chi non si adegua – gli ultimi giapponesi nella foresta a guerra finita e perduta – è di collaborare al processo degenerativo in atto, un accelerazionismo animato dalla speranza che a una civiltà morta di vecchiaia, suicida per esaurimento, succeda un soffio di vita.
Probabilmente siamo gli ultimi samurai anche nello stupore per le notizie che leggiamo, che andiamo a ricercare per un curioso masochismo che porta a infliggersi nuove ferite. I funzionari canadesi definiscono il programma di eutanasia un “enorme successo” nell’estrazione di organi. Uno studio – moriamo tra statistiche e diagrammi – mostra che gli organi prelevati da persone decedute nell’ambito del programma MAID sono utilizzati per i trapianti, il che è molto più economico ed efficiente. Ecco quel che importa al mercante. Del resto, anche i feti abortiti vengono “smaltiti” come materiali per l’industria cosmetica. La morte ti fa bella, il titolo di un film americano.
La rivista medica Hepatology ha pubblicato uno studio che confronta i trapianti di fegato da donatori dopo l’arresto della circolazione (un metodo problematico) e da “donatori” sottoposti a eutanasia. Il Canada, insieme ad Australia, Belgio, Spagna e Paesi Bassi, autorizza il prelievo di organi post eutanasia. Come del maiale, dell’essere umano morto non si butta via niente, se alimenta un mercato. L’interesse è aumentato dopo che il cuore sano di un canadese sottoposto a eutanasia è stato prelevato con successo e trapiantato a un cardiopatico. Il Canada è diventato leader mondiale nel prelievo di organi da persone assoggettate a eutanasia. Secondo le stime, il cuore vale un milione di dollari negli USA. Il fegato è al secondo posto, 557 mila dollari, un rene 262 mila. Senza contare la pelle umana (10 dollari al pollice), lo stomaco (500 dollari) e i bulbi oculari (1500 dollari ciascuno). L’allarme di chi non ha smarrito un barlume di umanità riguarda il prelievo da soggetti ancora vivi per ottenere organi “freschi” per il trapianto. Nei paesi in cui l’espianto post eutanasia è legalizzato, si discute la possibilità di prelevare gli organi prima che le persone (persone, non magazzini di pezzi di ricambio) sottoposte a eutanasia siano dichiarate morte, per preservarne la vitalità.
L’aumento dell’eutanasia è costante e riguarda anche minori e bambini. Si fa strada l’ipotesi di traffico di organi e di omicidi a scopo di vendita. Chi apre una porta spalanca un portone: nel caso canadese si è passati da una legge basata sul concetto di “morte naturale ragionevolmente prevedibile” per malati terminali all’eutanasia libera. Il quotidiano Daily Mail riferisce che “l’aiuto medico a morire” è offerto a chi soffre di dolori cronici, malattie autoimmuni e depressione, condizioni che potrebbero essere gestite con cure adeguate. Troppo costose per il servizio sanitario e le tasse dei cittadini buoni, liberali, progrediti. Sempre più spesso le morti assistite finiscono con la rapida rimozione degli organi, trasformando persone disperate in empori di parti del corpo.
I canadesi senzatetto ottengono l’approvazione per l’eutanasia per il fallimento dei sistemi sociali. Una donna sfrattata si è trovata di fronte a una scelta disperata: porre fine alla sua vita o trovare una casa. Per fortuna una sottoscrizione privata ha impedito il peggio. A una giovane costretta in sedia a rotelle la soppressione per mano statale è stata prospettata come soluzione dopo che il comune di residenza aveva rifiutato di rimuovere alcuni ostacoli che le impedivano di uscire di casa in autonomia. I medici canadesi coinvolti sembrano soddisfatti di essere passati da dispensatori di cure per la vita a boia seriali, pardon fornitori di morte assistita. Il dibattito riguarda ora la soppressione legale dei piccoli sino a un anno di età con disabilità. Torna il monte Taigeto da cui gli Spartani gettavano i neonati malati o disabili. La città greca considerava positiva l’omosessualità poiché contribuiva all’ethos del valore militare. Sparta decadde e si ridusse a un modesto villaggio a causa del crollo demografico. In forme culturalizzate e medicalmente assistite, l’occidente imbelle e mercantile sta regredendo alla medesima barbarie genocida.
O forse lo scrivano arretrato non sa capire l’altissimo progresso da cui è circondato. Tuttavia, come quelli antichi, gli spartani postmoderni non sanno creare arte, bellezza o qualcosa che resista nel tempo. In compenso sono bravissimi nella produzione di armi sempre più potenti, ai cui costi sacrificano volentieri le spese sociali. Chi dispensa morte chiamandola civiltà o diritti spegne la vita e nega il futuro. La gaia morte è l’atto finale della distruzione programmata di ogni principio, valore, anelito; il suicidio è la vittoria dell’odio di sé. L’ultimo giapponese resta nel profondo della giungla, irta di pericoli ma assai meno feroce della sedicente civiltà.

