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Per un aggiornamento della teoria Ricardiana dei costi comparati

di Roberto Imperiali - 18/04/2018

Per un aggiornamento della teoria Ricardiana dei costi comparati

Fonte: Roberto Imperiali

 

Se vogliamo parlare di globalizzazione economica dobbiamo forse partire analizzando la teoria di Ricardo sui costi comparati che si può considerare la base storica e teorica del suo concetto e della sua spinta.

Essa infatti,promuovendo la specializzazione del lavoro,sostiene il vantaggio degli scambi e dell’esportazione,che è appunto la teoria fatta propria dalla moderna globalizzazione liberista.

In sintesi Ricardo sostiene che,se abbiamo due paesi che producono entrambi la stessa gamma di prodotti ma con differente efficienza (costi),è più vantaggioso per entrambi specializzarsi nella produzione che riescono a fare con minor costo comprando dall’altro paese gli altri beni.

Il che,da un punto di vista strettamente economico,è probabilmente corretto,ma non tiene conto di certe conseguenze che non sono irrilevanti per la vita degli individui dei paesi presi in considerazione.

Primo:vengono considerati i vantaggi del “paese”,ma non viene preso in considerazione come questi vantaggi vengano distribuiti all’interno del paese:possiamo chiamare questo giustizia sociale o redistribuzione del reddito.
Questa parte della teoria era probabilmente l’espressione di un pensiero che derivava da ragioni storiche e politiche del tempo,ma la spinta ad enfatizzare l’obiettivo della ricchezza del paese,come se questa ricchezza fosse di tutti,oggi può essere considerata senz’altro limitativa. Già all’epoca,avendo avuto sotto gli occhi i risultati disumani della rivoluzione industriale inglese ed oggi la miseria e le disuguaglianze crescenti dimostra,allora come ora,il perpetrarsi di una certa insensibilità per questo lato del problema,verso il quale oggi,più di allora,abbiamo gli strumenti concettuali per rivolgere la critica,qualora si volesse usarli. Per esempio l’attuale critica all’Indice del Prodotto Nazionale Lordo,indice che,generalizzando il livello di benessere in modo puramente statistico,non tiene conto di chi di questo benessere non ha modo di fruire.
Secondo:quando un paese si specializza in una data produzione,rinunciando a produrre i beni la cui produzione è più costosa,qualora i beni che non intende produrre fossero essenziali per la propria esistenza,si pone in una situazione di dipendenza da fonti di approvvigionamento esterne che può essere molto rischiosa per la sua sopravvivenza (perde la sua autosufficienza).
In Terzo luogo:La teoria di Ricardo parte dall’ipotesi che il vantaggio che deriva dalla specializzazione della produzione sia espresso monetariamente.
In verità i vantaggi monetari non sono l’unico aspetto della produzione. Essa coinvolge tanti altri fattori:le relazioni emotive,culturali,sociali,il rapporto con l’ambiente,la soddisfazione personale,l’abilità personale,i valori estetici,etici,ecc…,che vengono generalmente chiamati “valori qualitativi”.
Nell’equazione ricardiana si valuta solo il risultato,non si valuta il processo che include appunto questi valori.
Quindi oltre al vantaggio che deriva dal trasferimento ad altri di una produzione (miglior prezzo o minori costi) si dovrebbe anche tenere conto della perdita dei valori che derivano dalla perdita del processo,cioè dalla perdita delle sue ricadute locali all’interno del paese o della comunità durante la fase produttiva.
E’ chiaro che ogni economista,man mano che identificherà tali valori,cercherà di dar loro una valutazione economica,che è senz’altro utile e che consente di aggiungere gli elementi mancanti all’equazione ricardiana con l’evidente vantaggio di poter preservare tali valori che in questo modo diventano espliciti.
Tuttavia la valutazione economica dei valori ha due limitazioni:da una parte consente la loro preservazione solo finchè un altro valore,anch’esso economico,non viene messo a confronto. Cioè l’omogeneità del metro di misura (l’economia) fa si che un “valore” sia sempre “relativo” dato che può essere soppiantato da un altro più economico,quindi non esisteranno più valori “assoluti”.
Dall’altra parte la mera valutazione economica,che come dicevamo può consentire entro certi limiti la protezione di un “valore”,non consente la creazione di valori non economici dato che questi non sono prodotti dal calcolo dell’utile,ma sono prodotti dall’emozione e dai sentimenti,che fanno parte di un’altra categoria dell’animo umano. Per cui un po’ alla volta i valori qualitativi spariranno dalla faccia della Terra. Si pone quindi il problema dei limiti dell’economia.
Oggi il capitalismo liberista sostenendo che la produzione di denaro è il valore più importante dell’attività umana e affermando che la produzione di denaro permette di risolvere ogni altro bisogno “qualitativo”,in quanto ogni bisogno può essere espresso (e ottenuto) monetariamente,sostiene una posizione che è difficile da condividere,sia perché possiamo sentire e godere di “cose” della vita che non necessitano di essere comprate,sia perché può succedere (molto spesso) di comprare cose che non ci danno né gioia,né soddisfazione e che anzi ci fanno perdere la possibilità di sentire per loro un’emozione o una gioia proprio perché vengono valutate monetariamente.
Un altro assunto del capitalismo liberista e implicito nella sua teoria è che il denaro,proprio perché ci consente di soddisfare qualunque bisogno,va considerato come un “mezzo” ed in quanto tale più se ne ha e meglio è.
Cioè il denaro non è considerato un “bene” che obbedisce alla legge della utilità marginale decrescente,per la quale,la soddisfazione derivante dall’uso dell’ultima (marginale) quantità dà all’individuo meno soddisfazione di quanto non gli procuri la prima,nel qual caso oltre un certo limite noi ci sazieremmo (anche del denaro),invece finché esso è considerato un mezzo non c’è motivo di saziarcene. Dobbiamo invece riconoscere che il denaro è un bene,soddisfa un bisogno materiale o immateriale,anche se differito nel tempo e,come ogni altro bene,continuare nel suo accumulo oltre un certo limite è un errore sia sul piano teorico che sul piano pratico proprio perchè decresce la sua importanza per il soggetto.
La conseguenza della definizione liberista è che tutto quello che serve e concorre alla produzione di denaro (l’efficienza,la velocità,la competizione,l’individualismo,la tecnologia,l’energia,ecc…) diventa qualcosa che bisogna acquisire indefinitamente e tutti questi elementi concorrono a costituire l’idea di “progresso” dandone una connotazione meramente quantitativa e spingendo ognuno di noi a fare ed agire molto oltre al modo in cui desidereremmo vivere.
Considerando il danaro come un mezzo con il quale si può acquisire qualunque altro bene,esso diventa un valore superiore a tutti gli altri e l’acquisizione di denaro diventa un’etica:l’etica del capitalismo,che in quanto etica impone di eliminare tutto quello che può in qualche modo rappresentarne un freno.
Ed è per questo che il capitalismo liberista vuole un libero mercato (globalizzazione economica) libero da ogni impedimento (umano,culturale,ambientale,…) e quindi libero da ogni protezionismo.
Ma se l’obiettivo di produrre denaro è quello di procurarsi i mezzi per ottenere gli altri valori,non è chiaro perché gli altri valori debbano essere eliminati per ottenere il denaro.
L’etica del capitalismo è evidentemente l’etica del più forte,cioè l’etica che consente al più forte di procurarsi quello che vuole,senza limitazioni.
In verità possiamo anche capire,per certi versi e in certe situazioni,la logica di chi vuole agire soltanto per il proprio beneficio economico,ma quello che a questo punto non è logico è il perché egli abbia bisogno di un etica e di una teoria per giustificare il suo operato.
Se egli ha bisogno di un’etica,egli apre automaticamente la porta alla discussione su cosa è l’etica e su quelli che sono i valori che fanno parte dell’etica e sulla loro priorità,e dovrà riconoscere che alla base di qualunque etica,anche economica,ci sono i valori qualitativi e non quantitativi e che applicando la pura e semplice etica del capitalismo,egli provoca la perdita di valori che sono anche suoi.
Oggi la priorità nei valori viene data purtroppo e illogicamente,anche a livello internazionale,all’etica del capitalismo ed infatti la struttura dominante è l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e gli Enti collegati come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale,mentre le strutture che rappresentano gli altri valori:Diritti Umani,Ambiente,Salute,Cultura,…,sono ad essa subordinate.
Questo problema delle priorità dei valori,come dicevamo,non è stato preso in considerazione nella teoria di Ricardo e nella sua assunzione semplicistica da parte del moderno capitalismo liberista,per cui un’analisi più approfondita e l’inserimento dei valori qualitativi nell’equazione ricardiana e nelle scelte politiche,potrebbe forse portare ad una migliore definizione di progresso con un vantaggio per la vita di tutti,dando a tutti un’idea più chiara su quelli che sono i veri obiettivi a cui mirare.