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Per una rivoluzione conservatrice

di Marcello Veneziani - 04/01/2019

Per una rivoluzione conservatrice

Fonte: Marcello Veneziani

Signori della Grande Stampa e della Tv, venditori di almanacchi e di oroscopi politicamente corretti, l’annuncio che avete dato a reti unificate è una bufala: il sovranismo non è finito dopo l’euro-accordo con Bruxelles sulla Manovra. Semplicemente non è ancora cominciato. Lo dico anche ai suoi fautori; il compito per l’anno neonato è far nascere un vero, maturo, duraturo, sovranismo. Ossia un governo che governi nel nome del popolo sovrano e dell’amor patrio, che decida come sa decidere un governo davvero sovrano, che sappia anteporre gli interessi generali e nazionali a quelli settoriali e particolari e stabilisca il primato della politica e della comunità nazionale sulla finanza e sulla tecnocrazia globali.

Ieri Mattarella è apparso prudente più del solito e rispettoso di tutti, non ha attaccato sovranisti e populisti, si è appellato in modo ecumenico alla comunità. È stato il Papa a far la predica più politica, parlando contro ignoti e rivolgendosi alla cristianità che per lui si riduce alla comunità di Sant’Egidio e paraggi. Ma il problema che hanno eluso entrambi è che i valori condivisi non ci sono più, tocca rifondarli. Non solo i “valori” delle opposizioni divergono dai “valori” della maggioranza ma il discorso delle istituzioni e il racconto dei media divergono paurosamente dal modo di vedere e di sentire della gente. C’è un abisso in mezzo. È da lì che deve ripartire la ricucitura di cui parlava Mattarella, ossia la rifondazione d’Italia e il dialogo con l’Europa: rigenerare il senso della comunità. E può farlo solo una grande, ambiziosa rivoluzione conservatrice.

Se vuole salvarsi questo Paese deve avviare quest’anno una grande rivoluzione conservatrice. Non solo un cambiamento né solo un ritorno alla sua tradizione, ma una vera e propria rivoluzione conservatrice. Da una parte ha bisogno di una svolta radicale, un rinnovamento vero nei metodi, nello stile, nei contenuti, negli assetti e nelle strutture pubbliche. È un paese vecchio, stitico, asfittico, che ha paura del nuovo e del futuro, non fa figli e non fonda più nulla; è vecchio dentro, oltre che nelle strutture e negli organismi. Un paese ingessato nella burocrazia, soffocato dalla pressione fiscale, scoraggiato da ogni tentativo di rischiare. Se non cambia, se non osa, l’Italia non si salva. Non viene cacciata dall’Europa ma vomita se stessa.

Rivoluzionare l’Italia per rivoluzionare l’Europa, dice bene Salvini. Ma farlo a partire dalle classi dirigenti, dai migliori e da chi fa, non dalle plebi e da chi non fa, come invece pensano i grillini. Di Maio ha come suo manifesto ideologico la poesia A’ livella di Totò: ma si ricordi che A’ livella si riferiva ai morti, mica ai vivi. Un paese vivo deve saper ripartire dalle sue migliori energie, deve saper partire dai meriti e dalle capacità.

Dall’altra parte un Paese non si salva se rinnega se stesso, la sua identità, la sua storia, la sua cultura, la sua tradizione, le bellezze che ha ricevuto in dono dal passato, l’esperienza delle generazioni precedenti. Per questo è necessario che la rivoluzione sia anche conservatrice. Un paese dove i morti superano i nati, i vecchi superano i giovani, tra chiese chiuse, edicole chiuse, librerie chiuse, paesi chiusi, non va da nessuna parte. L’Italia deve riscoprire il gusto e la passione di conservarsi, di avere memoria storica e sensibilità civile. Non basta sorvegliare i confini, come giustamente enuncia Salvini e non basta frenare i flussi migratori come altrettanto giustamente cerca di fare; bisogna poi che ci sia vita dentro quei confini, vi sia una comunità viva, un paese che non è spaventato, non ha paura del nuovo, dell’estraneo e del futuro, ma sa difendere il suo passato, il suo presente e il suo avvenire. Insieme. A viso aperto.

Ci sono molte cose, poi, in cui la rivoluzione coincide con la conservazione. Fare una rivoluzione demografica, rimettersi a far figli, rilanciare e tutelare le famiglie, ripopolare il sud e ogni provincia, sarebbe insieme un investimento sul domani e un ritorno a casa. Insomma non basta rivoluzionare né basta conservare, si deve tentare l’ardita via di ripartire da entrambi.

Per il 2019, Di Maio e Di Battista hanno promesso ieri il taglio agli stipendi dei parlamentari. Non si tratta di dimezzare lo stipendio, semmai dimezzare il numero dei parlamentari e raddoppiare la loro qualità, davvero scadente. Ma per l’anno nuovo non vogliamo demagogici palliativi contro qualcuno ma grandi riforme per l’Italia.

Da troppo tempo noi italiani, noi osservatori, siamo seduti a vedere i fuochi d’artificio, limitandoci solo a mettere e togliere i like e le faccine. E “loro” che fanno e dicono solo per conquistare quei like, quelle faccine. È tempo di fare un passo avanti, sporgerci di più, rimetterci in gioco, esigere e orientare una rivoluzione conservatrice. Altrimenti non fallisce solo un governo, e una formula, ma si spegne una comunità, anzi una civiltà. Mi piacerebbe che questo compito fosse la nostra verità. Qui comincia l’avventura…