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Pervicacia

di Enrico Tomaselli - 24/01/2024

Pervicacia

Fonte: Enrico Tomaselli

Pensare che i capi politici e militari di un paese agiscano sempre e soltanto in base a scelte razionali (che peraltro possono essere, allo stesso tempo, anche fallaci o completamente sbagliate), e che non siano in alcun modo influenzati da elementi psicologici ed emotivi, significa evidentemente ignorare la Storia, e in fin dei conti anche negare la natura umana.
Ovviamente, e tanto più negli stati moderni, queste decisioni non sono mai prese da una sola persona, e sulla base delle sue sole opinioni, ma c'è sempre un insieme di persone, con diversi gradi di responsabilità, che vi contribuiscono.
Anzi, nel caso delle scelte militari, il peso dei 'consiglieri' è ancora maggiore, poiché quasi sempre il decisore politico ultimo è digiuno di tali questioni, e quindi in genere si limita ad opzionare tra quelle che gli vengono proposte.
Il caso israeliano fa parzialmente eccezione, poiché per la storia specifica del paese è accaduto assai spesso che una carriera politica iniziasse nelle fila delle forze armate.
Il che, però, rende per certi versi ancora più incomprensibile il motivo per cui abbiano scelto, così improvvidamente, di fare all-in.
E - per altro - non è nemmeno chiaro se siano consapevoli di giocarsi il tutto per tutto.
Se, nell'immediatezza del 7 ottobre, si poteva ritenere che l'emotività - la rabbia, la frustrazione, l'indignazione, ed anche l'odio, diciamolo... - avessero avuto il sopravvento, è chiaro che ad un certo punto sarebbe dovuta prevalere la freddezza, la razionalità, e proprio in virtù della assoluta eccezionalità della situazione. Ma quello che osserviamo è una pervicace insistenza sulla stessa via, come se rifiutassero di arrendersi all'evidenza.
È chiaro che, dalle crociate alla jihad, ben sappiamo che quando la politica si mescola alla fede religiosa (in questo assai più pericolosa di qualsiasi ideologia), le cose si complicano. E nello specifico, non si tratta nemmeno di spostare il piano dalla relazione/scontro tra interessi umani a quello della relazione uomo/dio, ma a quello ancora più pregnante del (presunto) rapporto privilegiato tra 'un' popolo ed il 'suo' dio. Ed anche se questa componente messianica ha sempre fatto parte, costituzionalmente, del sionismo, e quindi della costruzione dello 'stato ebraico', è evidente che la scelta di evocare ed accentuare questi 'temi' è stata comunque politica.
La domanda, pertanto, rimane: perché fare all-in?
Le risposte (razionali, però) sembrano ridursi essenzialmente a due.
O i vertici israeliani hanno visto nella situazione creatasi il 7 ottobre una straordinaria opportunità, per risolvere definitivamente almeno gran parte di quelli che loro considerano problemi e minacce, e soprattutto per realizzare, alfine, il sogno del Grande Israele. E di tale convinzione sono talmente sicuri da non considerare l'enormità degli ostacoli che la loro stessa azione sta erigendo.
Oppure, all'opposto, vi hanno visto una minaccia esistenziale, capace di mettere in discussione - ed in tempi relativamente brevi - la sopravvivenza stessa di Israele, che pertanto non poteva prevedere altra reazione che quella spropositata che stiamo vedendo, la sola capace di allontanare il più possibile la minaccia. Ed a ritenere, quindi, che qualsiasi prezzo - attuale e futuro - valesse la pena di essere affrontato e pagato.
Ma queste, appunto, sono ipotesi razionali. Quali siano le vere ragioni di una follia di tale portata, che resterà molto a lungo come un marchio d'infamia assai difficile da cancellare, lo potremo capire forse tra 10-15 anni. Quali che ne siano state le ragioni, però, gli esiti cominceremo a vederli molto prima. E se fossi un gambler, non credo che scommetterei su Israele.