Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Psyop, tre guerre psicologiche

Psyop, tre guerre psicologiche

di Roberto Pecchioli - 07/03/2022

Psyop, tre guerre psicologiche

Fonte: Ereticamente

Taca, Zaclèn! Attacca, Zaclèn, anatroccolo – soprannome del musicista Carlo Brighi – è stato per decenni il segnale d’inizio per le orchestre del ballo liscio. Taca Zaclèn, attacca, televisione, stampa, comunicazione, circo mediatico, dà inizio e prosegui sino allo sfinimento la fabbrica della manipolazione a ciclo continuo. Dal febbraio 2020 è in corso una vera e propria “psyop”, un’operazione di guerra psicologica di lungo periodo centrata sulla narrazione ufficiale relativa all’epidemia. Si è costituito per ripetizione coatta un pensiero unico e obbligatorio, sostenuto da un apparato tecnico, scientifico, mediatico, culturale, politico e psicologico mai visto.
E’ stata creata la psicosi del Morbo – Cov Sars 2, nome scientifico dell’essere invisibile che contagia e uccide – poi è stata presentata la soluzione (il vaccino), infine è stato messo nel mirino il nemico da combattere, inizialmente il “negazionista”, quindi il non vaccinato-untore, poi chiunque mostrasse scetticismo rispetto alle versioni ufficiali sull’origine del virus, la sua letalità, le misure per combatterlo. Attraverso il terrore, abbiamo accettato, applaudito l’emergenza continua, lo sconvolgimento della vita, la privazione della libertà, la cessione di sovranità sul nostro corpo fisico.
Un caso da manuale di psyop, le operazioni psicologiche condotte dall’alto, l’insieme di azioni, narrazioni, informazioni che creano, condizionano o rafforzano attitudini, opinioni ed emozioni al fine di indurre credenze o comportamenti. In parole semplici, l’uso della propaganda per la manipolazione di massa.  Vere e proprie guerre condotte con metodi diversi dalla violenza diretta. Il bersaglio siamo noi, tutti e ciascuno.
Nel 2021 ha avuto inizio la seconda psyop, la grancassa del Grande Reset, la rimozione e il trionfale reinizio, la tabula rasa promossa da un’associazione privata, il Forum Economico Mondiale di Davos, espressione delle oligarchie finanziarie e tecnologiche occidentali. Dopo le prove generali del 2020, con Black Lives Matter e il rito di inginocchiarsi per antirazzismo, la censura privatizzata di Big Tech giunta a bandire il presidente Usa, l’offensiva della cancellazione della civiltà europea e occidentale, il posizionamento unanime dei GAFAM nel progressismo liberal, il potere dei miliardari “filantropi”, che controllano ONU, OMS, governi e organizzazioni transnazionali con l’ausilio delle Organizzazioni Non Governative da essi finanziate.
Da lì è partito un attacco contro l’uomo in nome di una nuova ideologia il cui sconcertante slogan è “non avrai nulla e sarai felice”. Nessun neo comunismo, ma feudalesimo di ritorno: tutto, ma proprio tutto proprietà privata di un pugno di “padroni universali” (Giulietto Chiesa), spalleggiati da alcuni ceti privilegiati di servizio ( intellettuali, accademici,   tutori dell’ordine) per dominare tecnologicamente un lumpenproletariat senz’arte ( la distruzione dell’istruzione ) né parte ( nessuna proprietà, vita nomade, precariato sociale ed esistenziale, solitudine annunciata dal distanziamento e dallo “smart working”, lavoro furbo, nella lingua invertita).
Il sottostante è l’ideologia climatica, un cocktail di riscaldamento del pianeta e ecologismo confuso, sullo sfondo di una divinità materiale, Gea, la Madre Terra. C’è una sacerdotessa, la corrucciata Greta, e riti solenni, le riunioni COP. Un’altra psyop con l’obiettivo di diffondere angoscia, la catastrofe climatica. Piromani e pompieri sono gli stessi e la grande ristrutturazione energetica ha costi immensi, da porre a carico dei servi della gleba. Essi devono quindi credere di aderire a una buona causa dalla quale dipende la sopravvivenza dell’umanità.
Da pochi giorni è in atto la terza psyop, legata allo spettacolo mediatico della guerra. Alla violenza reale della guerra si sovrappone la narrazione e si impone il giudizio, obbligato, ossessivo, binario come la lingua del computer: aperto/chiuso, buoni/cattivi. Nessuna possibilità di ripararsi dalle pallottole mediatiche, che colpiscono in un’unica direzione. Dobbiamo ricorrere, per un giudizio raziocinante, alla categoria di egemonia introdotta da Antonio Gramsci. Nell’Occidente terminale si è pienamente realizzata l’unione di dominio e consenso che il pensatore sardo teorizzava come base della società comunista: egemonia, appunto.
Il dominio oligarchico occidentale è esercitato attraverso un consenso costruito per accumulazione, ripetizione ed espulsione di ogni idea dissonante. Una guerra è lo scenario ideale per i manipolatori dell’opinione pubblica, mentre sul campo si soffre e si muore davvero. Il cinismo del potere non ha mai conosciuto mezze misure, ma in una sola settimana la rappresentazione del conflitto ha raggiunto vette di pensiero unico, censura, violenza verbale, spargimento di odio e perfino di stupidità che non credevamo possibili.
Diego Fusaro, a proposito del virus, ha parlato di capitalismo infettivo, che riorganizza se stesso e insieme neutralizza il dissenso. Infettivo, nel senso del dispiegamento di una potenza virale inusitata, è anche il racconto bellico. Un ‘operazione di guerra psicologica lampo – vittoriosa per assenza di contraddittorio – estesa all’intero Occidente, in cui sconfitta è innanzitutto la ragione. Come altrimenti definire la sospensione di un corso universitario su Dostoevskji, probabilmente il più grande romanziere della storia, colpevole di essere (stato) russo, morto nel 1881, un uomo che fu salvato in extremis da un plotone di esecuzione zarista? E poi il licenziamento di un musicista alla Scala, russo anch’egli, il democratico oscuramento dei siti di informazione russi e – ben oltre il ridicolo – il divieto di partecipazione dei gatti di proprietà russa alle mostre feline internazionali.
Premessa l’evidenza, ovvero che nella guerra ucraina la Russia è l’aggressore, l’ondata di autentico furore e odio antirusso, alimentato dall’alto, spaventa per la sua portata e perché oltrepassa ogni logica. Una guerra psicologica antica, la demonizzazione del nemico. Ascoltiamo dotte dissertazioni sulla pazzia di Putin, uguali peraltro ai giudizi su altri avversari dell’Usa, accomunati tutti dalle tare mentali. Interferire con gli interessi occidentali espone al trattamento sanitario obbligatorio. Non era così anche in era sovietica?
Un’altra reductio ad hitlerum, (Leo Strauss), la condanna e l’espulsione dall’umanità pronunciata da pacifisti che hanno bombardato decine di nazioni, lanciato due bombe atomiche, distrutto le popolazioni stanziate da sempre in Nordamerica, definito “danni collaterali” le distruzioni e le morti di civili provocate da loro, ma “crimini contro l’umanità” se commesse da altri. La Russia non è un collegio di orsoline, ma non lo è neppure l’Ucraina, che bombarda da otto anni i territori del Donbass e nel 2014 depose nel sangue un presidente eletto – guarda caso – alla viglia di negoziati per un’unione doganale con la Russia. Fonti qualificate – che non siamo in grado di controllare – affermano che in territorio ucraino agirebbero tredici laboratori riservati di ingegneria bio-militare americana.
Ce n’è per tutti, insomma, e resta la sgradevole impressione che l’isteria russofoba e il pacifismo a gettone – platealmente contraddetto dalle forniture di armi all’Ucraina affinché combatta al nostro posto – nascondano il terrore massimo delle masse europee, essere coinvolte in una guerra. Legittimo, ma Don Abbondio perde sempre.
Lasciateci in pace, è il grido piagnucoloso di popoli estranei alla storia, di cui si sono disfatti dal 1945. Vendiamo armi e munizioni e che se la sbrighino tra loro: noi andiamo in piazza con un fiore in mano, l’arcobaleno sulle spalle e la coscienza a posto. Comunque la si pensi, c’è molto lavoro per gli psicologi. Esausti per le paure epidemiche, intimoriti dall’olocausto climatico prossimo venturo, siamo governati attraverso la paura, tra emergenze interminabili, proibizioni del pensiero e del movimento. Siamo tutti malati, corpo e anima, o meglio psiche, giacché l’anima è un’invenzione dei preti.
A scuola, se un ragazzo manifesta insoddisfazione per una vita priva di scopo, si interroga sul senso dell’esistenza, rischia seriamente di essere avviato dallo psicologo. E’ un immaturo, forse un rompiscatole. Che c’è di meglio di “produci, consuma, crepa”, di una vita sostanzialmente animale? Dopo due anni di Covid – ora messo da parte per la guerra – lo Stato patrigno ha accordato il bonus psicologo: troppe paure, troppi cambiamenti tutti insieme per il fragile uomo “fiocco di neve”. Meglio ricette di psicofarmaci, per la gioia di Big Pharma e dei suoi servi. Narcotizzare, sedare, il corrispettivo postmoderno di “troncare, sopire” del Don Ferrante manzoniano alle prese con la rivolta del pane.
E tacere, naturalmente, poiché il baccano degli altoparlanti ufficiali sovrasta ogni voce. L’ autoproclamata società aperta si chiude ai suoi nemici, cioè tutti, se si permettono di porre domande o semplicemente dire il vero. Il corrispondente della Rai da Mosca è sotto attacco per aver osato dire che la Nato si è allargata a est. E’ la verità, ma come disse Wittgenstein, maestro del positivismo logico, ciò di cui non si può parlare, si deve tacere. Una lezione, peraltro, sconosciuta ai tuttologi a cottimo che impazzano su schermi e giornali. Dilaga l’ossessione di mille paure, dai no-vax al loro opposto pacifista, i no-rux. Chi esprime tesi non allineate alle tre psyop in corso – Covid, Reset, guerra – è isolato e presto dovrà portare un campanello come i lebbrosi di ieri.
Il vero dramma, la colpa imperdonabile del potere, è di alimentare un clima di angoscia che fa vivere male. Medicalizzazione della vita, patologizzazione del dissenso, vorremmo scrivere bombardamenti mediatici, se non fosse dovuto rispetto alla sofferenza di chi subisce bombardamenti veri, e poi divieti, blocchi, chiusura della mente, degli spazi, restringimento della vita. Non bastano tutti gli psicoterapeuti; servirebbero educatori, maestri. Viviamo nella dissonanza cognitiva tra ciò che vediamo, ciò che vogliamo e quello che ci viene detto da una grancassa a cui non si sfugge. Eravamo preda di innumerevoli nevrosi, stiamo precipitando nelle psicosi.
Ci ha fatto male il pianto di bimbi impauriti davanti a vaccinatori vestiti come palombari. Mi fa male il mio paese, scrisse Robert Brasillach negli anni terribili della guerra. Fa male l’obbedienza a ogni restrizione del governo, milioni di mani che accolgono le catene, l’incapacità di comprendere che l’Homo digitalis, ridotto a cifra, è un’altra specie rispetto all’ homo sapiens, più misera, meno intelligente, senza scintille, senza il male e senza il bene.
Da oltre Atlantico importiamo il peggio: la cultura della cancellazione, l’ideologia woke, i “risvegliati” che hanno capito tutto, dopo millenni di storia umana e immani sforzi delle generazioni. In Europa abbiamo superato i cattivi maestri. Cancellare Dostoevskji non è solo stupido e ridicolo. Se avviene, come è accaduto, in un’istituzione universitaria, è il segno della fine. Lasciateci in pace, al nostro “dolce commercio” (Frédéric Bastiat), agli acquisti compulsivi, alle mode, ai distanziamenti, alle mille paure che si riducono a una: il terrore della morte, perduta la speranza trascendente.
Il gigante russo mise in bocca all’ Idiota, il Principe Myshkin, l’esclamazione: la bellezza salverà il mondo. Capovolta, significa che la bruttezza lo rovinerà, anzi che c’è già riuscita. Disse anche, riferendosi alle false libertà, che la tolleranza un giorno sarebbe arrivata a un livello tale da vietare qualsiasi riflessione per non offendere gli imbecilli. Siamo al punto di inflessione: la tolleranza è trasformata nel suo opposto e il ragionamento è fortemente sconsigliato per evitare guai peggiori. Ci siamo messi dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati…