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Puntare su una produzione culturale anti sistema

di Riccardo Paccosi - 13/02/2023

Puntare su una produzione culturale anti sistema

Fonte: Riccardo Paccosi

IL SUCCESSO OTTENUTO DAI DOCU-FILM DI GRECO, SEVERGNINI E CASSINA INDICA LA NECESSITA’ DI PUNTARE SU UNA PRODUZIONE CULTURALE ANTI-SISTEMA.
I. SANREMO SI E’ STAGLIATO SUL DESERTO
Nel momento in cui scrivo, è appena terminata quella vera e propria Liturgia di Regime che è il Festival di Sanremo. Sul piano qualitativo, non è accaduto niente di particolarmente diverso rispetto agli altri anni: anche stavolta, il presunto festival della canzone è stato dispositivo propagandistico per l’ideologia liberal/woke nonché per celebrare il culto individualista della competizione per il successo.
A queste classiche tematiche neoliberali, si è quest’anno aggiunta la propaganda a favore della NATO nonché il sigillo istituzionale della Presidenza della Repubblica apposto per la prima volta sull’intera kermesse.
Dunque, se da una parte sul piano qualitativo si è replicato un copione perlopiù già visto, sul piano quantitativo la potenza onnipervasiva di Sanremo, la sua colonizzazione manu militari dell’immaginario collettivo, sono risultati in questo 2023 accresciute esponenzialmente: chi non possiede un televisore, nei giorni scorsi, veniva investito sui social dal tema del Festival in misura pari a chi ne era stato spettatore. E questa esondazione al di fuori di qualsivoglia argine, si è tradotta in accentuazione degli intenti di propaganda ideologica facendo sì che le forme espressive di quest’ultima risultassero più che mai veementi, spudorate, volgari e in definitiva violente.
Oggi non avrebbe più senso, a proposito del Festival di Sanremo, parlare di cultura nazional-popolare: la dimensione popolare è difatti assente giacché lo spazio narrativo è stipato esclusivamente di produzione dell’industria culturale, senza che più sussista una relazione dialettica col “basso” cioè con una produzione culturale diffusa.
E questo chiama in causa il problema dell’assenza di un’alternativa. Se la produzione culturale sta diventando tutt’uno con la produzione informativa, azzerando parimenti ogni autonomia e sotttomettendosi a una funzione di propaganda in favore dell’ideologia dominante, ciò avviene perché il contesto è quello di una desertificazione culturale. Così come la massa non sembra più capace di esprimere una soggettività politica, parimenti dalla società emergono sempre meno moti distintivi e innovativi nell’ambito dei linguaggi artistici e culturali
II. IL CASO DEI TRE DOCU-FILM INDIPENDENTI
Questo tema della desertificazione culturale, però, è soltanto una parte della verità.
Dopo la fase d’insorgenza sociale del 2021 generata dall’imposizione del green pass, il 2022 è stato un anno all’insegna del riflusso e del disimpegno. Il trovarsi coinvolti in un rischio concreto di guerra mondiale, l’aumento crescente dell’energia e del costo della vita, non hanno impedito che le piazze venissero disertate e che tutto languisse entro uno Zeitgeist contrassegnato da rassegnazione e depressione.
Di fianco alla crisi di politica e movimenti, però, è accaduto un solo fatto rilevante e che ha riguardato l’ambito di quella produzione culturale ch’è afferente alle istanze anti-sistema: il successo dei docu-film indipendenti. Si tratta di tre lungometraggi diversi sotto vari aspetti ma che, negli ultimi mesi del 2022 e nei primi del 2023, hanno messo in luce l’esistenza d’una domanda diffusa di produzione culturale alternativa a quella dominante, nonché la grande forza coalizzante che può esercitare il linguaggio artistico.
1) Il primo film uscito in ordine di tempo è “L’Urlo” di Michelangelo Severgnini, un documentario che rivela come, sotto la superficie della decantata emergenza umanitaria, il traffico di esseri umani gestito in Libia da scafisti e ONG nasconda in realtà un giro d’affari e di sfruttamento di cui pochi sono a conoscenza. Questo film viene proiettato tra mille difficoltà, giacché è stato bloccato dallo stesso produttore per paura di rappresaglie giudiziarie.
2) Il secondo film è “Invisibili” di Paolo Cassina, ovvero un documentario ove le persone che hanno subito reazioni avverse al v*****o raccontano le proprie vicissitudini. Quest’opera sta girando l’Italia, pur incontrando atti di censura ad hoc da parte delle amministrazioni locali.
3) Il terzo film s’intitola “C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando” ed è diretto da Federico Greco e Mirko Melchiorre. Quest'opera racconta la progressiva demolizione della sanità pubblica in Italia e, focalizzandosi su quanto suddetta demolizione abbia pesato sugli esiti della pandemia, ha il merito di rivolgersi anche a quella “zona grigia” dell’opinione pubblica che oscilla tra dissenso e consenso nei confronti della narrazione dominante sull’emergenza pandemica. Il lavoro di Greco, inoltre, ha messo a fuoco una potente contraddizione del settore cinematografico: laddove “C’era una volta in Italia” è stato proiettato nelle multisale, infatti, gli operatori di queste ultime hanno dovuto assistere all’affluenza di centinaia di persone per un film indipendente mentre i blockbuster, nelle sale attigue, raccoglievano mediamente poche decine di spettatori a proiezione.  
III. L’OPPOSIZIONE DI MASSA ANCORA ESISTE E IL LINGUAGGIO ARTISTICO-CULTURALE PUO’ FARLA EMERGERE
La vicenda dei tre docu-film ha insomma mostrato che, malgrado lo svuotamento delle piazze, un’opposizione di massa ancora esiste. Questo impone dunque di riflettere attentamente sul fatto che, nell’area del dissenso, sia oggi necessario impegnarsi maggiormente al fine di generare processi di mobilitazione e coalizione intorno alla produzione culturale anti-sistema.
Le motivazioni strategiche che indicano di puntare prioritariamente sulle forme artistico-culturali sono sostanzialmente tre:
a) La politica anti-sistema, per ora, non riesce a generare contro-narrazione, arranca sul piano mitopoietico. La produzione culturale, in questo senso, può facilitare il formarsi di un embrione di narrazione alternativa in quanto il suo linguaggio parla contemporaneamente all’intelletto e all’affettività.
b) Essendo la comunicazione artistica meno identitaria e meno rigida di quella politica, la produzione culturale è maggiormente in grado di raggiungere la già citata “zona grigia” dell’opinione pubblica ampliando così il perimetro sociale del dissenso.
c) La fruizione collettiva di produzione artistico-culturale, è sempre collegata a una dimensione di socialità e questo significa che si possono creare dinamiche quotidiane e comunitarie molto più di quanto non riesca a fare la mobilitazione politica in senso stretto.
L’ultimo tema sopra esposto – la necessità che l’opposizione generi una dimensione di socialità e di comunità - chiama in causa un tema non risolvibile nell’immediato ma che, in ogni caso, dovrà prima o poi essere affrontato, ovvero quello degli spazi.
Perché vi sia opposizione e comunità di opposizione, sono necessari degli spazi sociali e culturali che oggi – a fronte di una produzione culturale sempre più uniforme e sempre più sottomessa all’ideologia – corrisponderebbero a una necessità reale e sentita di una parte importante della società. Agire come si sta facendo oggi affittando gli spazi pubblici e privati esistenti e facendo slalom con la censura, non può essere una soluzione permanente.
Per tutti questi motivi, con la presente invoco tutti gli esponenti dell’area antisistema interessati – artisti e organizzatori -  a un tavolo di confronto della durata di non meno di due giorni, ove si analizzi cosa sia possibile fare, a partire da ora, per implementare e valorizzare la produzione culturale alternativa, come iniziare a creare meccanismi distributivi e promozionali comuni.
Tutto questo, naturalmente, non implica l’idea che arti e cultura possano bypassare l’organizzazione e l’azione della politica. Ma di fronte a un nemico che utilizza l’egemonia culturale tanto quanto la forza militare, è evidente che il contropotere o saprà generare una contro-narrazione e una cultura o semplicemente non sarà.