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Questa Ue è un bancomat per la lobby dei giornali

di Ivo Caizzi - 21/09/2025

Questa Ue è un bancomat per la lobby dei giornali

Fonte: Il Fatto Quotidiano

La lobby Fieg degli editori di giornali italiani ha applaudito lo stesso inutile discorso periodico sullo “Stato dell’Unione” della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, criticatissima e simbolo dell’attuale Ue sempre più opaca. Questo entusiasmo è scaturito dal fatto che Von der Leyen ha promesso di “aumentare in modo significativo” i già ingenti e controversi fondi Ue per i media “indipendenti”, che avrebbero il dovere di controllare l’attività delle istituzioni Ue per conto dei cittadini e invece accettano pagamenti dai “controllati”: generando un contesto con dubbi di asservimento, conflitti d’interessi, procedure non trasparenti (a volte segrete), distorsioni della concorrenza e ombre varie, rivelato da un’inchiesta del Fatto.
Il presidente della Fieg, Andrea Riffeser, editore dei quotidiani Resto del Carlino, Nazione e Giorno, ha detto che la sua lobby “plaude” all’annuncio della leader della Commissione, da anni già molto generosa nelle elargizioni a numerosi media italiani restii a realizzare inchieste e scoop scomodi sulle tante magagne delle istituzioni di Bruxelles. Riffeser ha poi esortato il governo Meloni a imitare Von der Leyen nell’incrementare il sostegno statale ai giornali italiani (140 milioni per una annualità) con un “piano quinquennale”, sorvolando sulla necessità di regole per evitare che testate percettrici di aiuti Ue e nazionali possano fornire in cambio “buona stampa” a chi paga.
Emblematico appare il caso del quotidiano Repubblica dei miliardari Elkann-Agnelli (Stellantis e molto altro), che – quando era commissario Ue Paolo Gentiloni del Pd – entrarono addirittura in partnership con Commissione ed Europarlamento per piazzare articoli a pagamento apprezzati dai vertici comunitari. In pratica il giornale “controllore” si è associato con i “controllati” per ottenere più fondi Ue, forse per recuperare sul principale concorrente, l’editore del Corriere della Sera Urbano Cairo, grande incassatore di denaro pubblico da Ue, governo e autorità locali (a volte come fornitore di articoli e servizi promozionali). Gentiloni, concluso il mandato a Bruxelles, è diventato editorialista proprio di Repubblica, spesso benevola con l’allora commissario Ue detto “er moviola” e con il Pd (oltre che con i suoi editori finanzieri e con acquirenti di pubblicità).
Quando il vicepremier e leader di Forza Italia Antonio Tajani era presidente dell’Europarlamento ed ex vicepresidente della Commissione, fondi Ue sono andati alle tv Mediaset del suo capo politico Silvio Berlusconi, che al decesso ha trasferito anche conflitti di interessi in eredità ai figli, spesso criticati per considerare (in quanto finanziatori) il partito paterno e il suo vertice quasi come parte della loro azienda. Ma gli aiuti Ue hanno beneficiato le proprietà di tante altre testate (Sole 24 Ore, Stampa, Rai, Sky, Ansa, Agi, AdnKronos, Citynews, Fanpage, Open, ecc.), anche quando si trattava di ricchi editori anomali con interessi prioritari in altri settori (Confindustria, Eni, Caltagirone, Angelucci, ecc.), che non brillavano nell’informare sul “sistema” di fondi Ue per i media.
Il Fatto ha rivelato che – in vista delle elezioni europee del 2024 – Europarlamento e Commissione, con Consiglio dei 27 governi, Banca Ue degli investimenti e Comitato economico e sociale, destinarono in un sol colpo ben 132 milioni per i media: usando una procedura discutibile, che sottoponeva alle regole Ue di trasparenza – obbligatorie per pagamenti superiori a 15 mila euro – solo l’agenzia intermediaria Havas di Parigi del gruppo Bolloré. Alle testate retribuite tramite Havas è stato garantito il segreto, allargando di molto la “zona d’ombra” dei pagamenti discrezionali e riservati fino a 15 mila euro: probabilmente per evitare imbarazzi a media di Paesi Ue dove potrebbero considerare scandaloso che giornali “controllori” accettino soldi dei contribuenti dai “controllati”.
Aiuti Ue e delle istituzioni nazionali sarebbero tollerabili se sostenessero nella massima trasparenza – e solo nell’avvio e nelle crisi – piccole testate e cooperative di giornalisti davvero indipendenti. Andrebbe invece vietato versare denaro pubblico a editori ricchi, soprattutto se con interessi prioritari in altri settori, se nominano direttori servili e li confermano a lungo dopo maxi-perdite di copie (evidentemente per conseguire obiettivi diversi dal conquistare lettori paganti), se vendono comunicazione promozionale occultata in articoli apparentemente normali, se attuano licenziamenti illegittimi o se non si vergognano di lucrare sfruttando giornalisti con compensi da fame.