Referendum e dittatura delle minoranze
di Roberto Pecchioli - 11/06/2025
Fonte: EreticaMente
Tiriamo un sospiro di sollievo: sono falliti miseramente i referendum falsi come l’oro di Bologna, che si fece rosso per la vergogna. Sette italiani su dieci hanno prudentemente allungato la gita domenicale o sono rimasti a casa, facendo un clamoroso gesto dell’ombrello ai promotori. Hanno votato quasi solamente i “sinistrati” e le avanguardie brufolose dei preti immigrazionisti. Poca cosa, oggettivamente. L’occasione era stata presentata come segnale di sfratto al governo. Strano davvero, giacché quattro dei cinque referenda (il plurale è in omaggio alla lingua latina) miravano all’abolizione di leggi sul lavoro votate dagli stessi soggetti che ora ne invocavano la cancellazione. Un caso di pentitismo politico? No, un regolamento di conti nella galassia progressista (il campo largo che si restringe quando il gioco si fa duro) e un tentativo – goffo e malriuscito – di mascherare l’unico referendum che davvero interessasse un certo mondo, l’ultimo, quello sulla cittadinanza facile agli immigrati.
Doppio flop: il trentacinque per cento delle anime progressiste, fatto un bagno di realtà, hanno votato contro. Sono certamente di più, poiché molti hanno votato a pappagallo: cinque sì senza leggere il lungo, oscuro testo stampigliato sulla scheda e via al mare, in gita o al pranzo festivo. Benvenuti tra noi. E dire che nel merito i quattro quesiti sul lavoro non erano peregrini, poiché miravano a limitare il precariato e a recuperare alcuni diritti sociali perduti dai lavoratori. Peccato che nessuno abbia fiatato, in trent’anni di sconfitte sociali in cui i lavoratori hanno perso reddito, diritti e sicurezza nell’indifferenza dei loro difensori sindacali che mantenevano rendite di posizione, potere e privilegi. Specialmente la Cgil, la grande sconfitta insieme con il PD. Il popolo ha la memoria corta, ma non è così sciocco come pensano a sinistra.
Occorre dire una buona volta una verità sperimentata da milioni di lavoratori: a differenza del passato, in cui l’impegno sindacale era rischioso e richiedeva coraggio, tensione ideale, dedizione, oggi i grandi sindacati – specie il gigante rosso – vivono dei successi dei nonni. Una rendita di posizione parassitaria in cui difendono soprattutto le categorie più forti e protette e, nella quotidianità dei luoghi di lavoro, rappresentano spesso fannulloni e carrieristi. La qualità di delegato sindacale offre opportunità, qualche privilegio e consente di essere spesso assenti dal lavoro, tra assemblee, interminabili discussioni sul nulla, trattative in cui conta soprattutto ciò che si concorda sotto il tavolo. Un gioco delle parti che ha stufato chi tira la vita con fatica, tra bassi salari, insicurezza , precariato e le mille forme dei contratti capestro su cui gli ex compagni, diventati fiancheggiatori oggettivi del padronato, non hanno eccepito per decenni. I nodi sono venuti al pettine.
Sul piano politico, la questione è ancora più triste. I compagnucci della parrocchietta mostrano, oltreché sprezzo del ridicolo, scarsa propensione per l’aritmetica, conteggiando come propri anche i voti di chi ha detto no e quelli non espressi dagli strani tizi che vanno al seggio, prendono le schede, le lasciano in bianco o le annullano con parolacce e altre amenità. Un personaggio del PD- Vincenzo De Luca direbbe “personaggetto”, ma lui può perché è della casa- si è esibito in una spericolata riflessione televisiva in cui ha in sostanza asserito che i referenda erano stati vinti, che la mobilitazione era stata gigantesca e il no al governo tonante. Qui casca l’asino, o meglio il nemico della realtà; qualcuno gli somministri un tranquillante per la pace di tutti. Addirittura straordinaria la prestazione del solito Magi di Più Europa, il partito dal nome minaccioso. Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo: nell’occasione ha affermato che il problema è il quorum, ossia ha enunciato nientemeno che il principio di minoranza! Verrebbe voglia di lasciarlo cuocere nel suo brodo (di giuggiole e di sogni bagnati europoidi) e liquidarlo con l’immortale battuta del vecchio Fortebraccio, scintillante aforista dell’Unità al tempo in cui i comunisti erano gente seria. “L’autista aprì la portiera dell’auto blu e non scese nessuno: era Nicolazzi”. L’antico ministro socialdemocratico era comunque un gigante rispetto al giovanotto di Più Europa.
Il punto è un altro, ed è il tentativo- un altro- di instaurare surrettiziamente la dittatura delle minoranze. Un’operazione a cui, nella circostanza, si è unita la Conferenza Episcopale Italiana, per bocca del cardinale Zuppi – forse scosso dalla mancata elezione a papa – del vescovo Perego, che se l’è presa con gli italiani tutti per l’insuccesso della spallata immigrazioni sta, e di altri chierici nemici del popolo cui appartengono. Colpevole tra l’altro di non offrire l’otto per mille delle tasse, a cui tengono tanto. Perdonate la battuta, ma che bella la sconfitta del Reverendum!
Tutti insieme vogliono vincere anche quando perdono, questa è la verità. E se ne fregano dell’opinione popolare. “Il Comitato Centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un altro popolo”. Sarcasmo non di un bieco reazionario, ma di un comunista a ventiquattro carati, Bertolt Brecht, a proposito di una rivolta popolare scoppiata nella Germania Orientale, detta Repubblica Democratica Tedesca. Se il popolo non è d’accordo, ci sono due strade: sostituirlo – l’ ingegneria sociale dell’immigrazione con gentile offerta della cittadinanza – e ignorarne la voce. Questo è il messaggio del Magi di turno, sincero quanto incauto; questa è la tendenza di cui vediamo gli effetti a livello di Unione Europea, di oligarchie non elettive diventate guerrafondaie, di blocco per via giudiziaria della volontà popolare quando diverge dall’agenda predisposta dall’alto, di governi privati del potere, impossibilitati a rispettare programmi e promesse perché gli Stati sono amministrati dal pilota automatico. Anche quando il popolo parla chiaro e forte. Viene in mente il referendum greco del 2015 ignorato dagli strozzini internazionali che condannò a morte per soffocamento finanziario la nazione ellenica.
Se i signori dalle mille sfumature cromatiche, dal fucsia al rosso antico, vogliono davvero recuperare una relazione con il popolo – e con il lavoro – la smettano di fare i camerieri dell’oligarchia (professione che svolgono con profitto, anche meglio della destra) e ascoltino la gente. La quale ha capito che il sindacato è oggi soprattutto una macchina di potere, e si è resa conto che l’immigrazione incontrollata, oltre agli immensi problemi di identità, ordine pubblico e tenuta della società, è una benedizione per chi vuole un esercito di riserva da sfruttare (Marx dice qualcosa?), un parco buoi elettorale ( avrebbero brutte sorprese …) e un affarone a cui partecipare (vero, reverendi padri?). Minoranze, segmenti di società, uniti solo nel rancore contro il popolo che ostinatamente volta loro le spalle. Attenti alla collera dei buoni e dei pazienti.
Qui occorre dire qualcosa a chi esce vincitore dai referenda, cioè il governo e il centrodestra. State in campana anche voi, perché milioni di persone – tra le quali un gran numero di elettori vostri – non chiedono politiche sociali liberiste, non vogliono avventure belliche, esigono sicurezza, controllo del territorio, tasse accettabili e buona amministrazione. Proprio quella che spesso non sapete offrire, prigionieri di una classe dirigente intermedia di qualità imbarazzante, incapace di costruire reti di consenso – , associazioni, cultura, presenza sul territorio. Infatti spesso perdete le elezioni amministrative, gestite da improvvisati comitati elettorali di vertice e vi affidate alla buona volontà dei pochi che ci mettono la faccia, scuotono l’albero e poi vedono i frutti raccolti da affaristi usciti dall’ombra. Per vincere la lotteria, bisogna almeno comprare il biglietto. Non sempre è facile come nel referendum, in cui è sufficiente restare in silenzio e lasciar fare all’avversario-Tafazzi.
Pericolo scampato, stavolta, ma è merito della saggezza popolare e dell’imperizia degli avversari. La maggioranza silenziosa vince solo se si alza in piedi e si rivolta contro la dittatura di varie minoranze organizzate. E’ la storia di questi anni pericolosi e decisivi. Se non lo fa, vince la legge ferrea delle oligarchie : si impone la minoranza più organizzata. E ‘ la lezione di Roberto Michels e Gaetano Mosca, che i destri dovrebbero conoscere. Ma no, preferiscono le tre I, Internet, Inglese, Impresa. E la quarta: Ignoranza.