Ribellarsi alla religione del darwinismo
di Fabrizio Fratus - 19/10/2025
Fonte: Il Talebano
Da oltre un secolo ci raccontano che la vita nasce dal caso, che l’uomo discende da una primate e che tutto ciò che esiste è il frutto di un’evoluzione cieca e meccanica. Guai a dubitarne: la teoria di Darwin è diventata un dogma. Non si può discutere, non si può mettere in dubbio, non si può neanche chiedere prove. Perché? Perché non siamo più nel campo della scienza, ma in quello della fede ideologica. Il darwinismo è diventato la religione laica del pensiero unico, una narrazione imposta per sostituire il senso del mistero, dello scopo, della trascendenza, con un materialismo senz’anima. Non spiega la vita, la svuota. Non apre alla conoscenza, chiude la mente. Non libera l’uomo, lo riduce a un incidente biologico. I suoi difensori, che si presentano come paladini della ragione, in realtà fanno esattamente ciò che rimproveravano alla Chiesa dei secoli bui: impongono un dogma e zittiscono gli eretici. Chi osa dire che l’universo mostra un ordine, che la vita è troppo complessa per essere casuale, che l’informazione contenuta nel DNA presuppone un’intelligenza, viene subito bollato come “antiscientifico”. Ma la verità è un’altra: la teoria dell’evoluzione non è una legge scientifica, è una costruzione ideologica. Si basa su ipotesi non verificabili, su salti logici e su una visione del mondo che rifiuta a priori l’idea di un progetto. Non perché la scienza lo neghi, ma perché riconoscerlo significherebbe ammettere un limite, e magari anche un Creatore. E questo, nell’epoca del narcisismo assoluto e dell’uomo che si crede dio, non è ammissibile. Il problema non è la scienza, che resta uno dei più grandi strumenti di conoscenza mai sviluppati dall’uomo, ma l’uso ideologico che se ne fa. L’evoluzionismo è diventato un cavallo di Troia culturale: serve a giustificare un mondo senza scopo, senza ordine, senza verità. Un mondo dove tutto è relativo, dove l’uomo è solo un prodotto chimico e dove il potere economico, politico, tecnologico e può finalmente modellare la realtà a suo piacimento. Ecco perché questa teoria viene difesa con tanta rabbia: non perché sia vera, ma perché serve. Serve a mantenere una cultura senza radici, a cancellare il concetto di responsabilità e a imporre un modello di società dove l’uomo non risponde più a nulla di superiore. Chi oggi chiede di riaprire il dibattito non è un fanatico religioso, ma un realista. Chiede che la scienza torni a essere scienza, non ideologia, e che l’uomo torni a guardare la vita come un mistero ordinato, non come un caos privo di senso. Perché il vero nemico della conoscenza non è la fede, ma l’arroganza di chi crede di sapere tutto. Forse è arrivato il momento di dirlo chiaramente: il darwinismo non ha liberato l’uomo, lo ha semplicemente incatenato a una nuova superstizione, quella del caso assoluto. E chi difende la libertà del pensiero, oggi, ha il dovere di ribellarsi anche a questo.