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Serra, Nanni Moretti & C spediamoli a Gaza

di Alessio Mannino - 27/05/2025

Serra, Nanni Moretti & C spediamoli a Gaza

Fonte: La Fionda

u Gaza si sta preparando la manifestazione più ipocrita dai tempi del peloso pacifismo sull’Irak (2003) da parte di chi aveva, solo pochi anni prima, fatto bombardare Belgrado e inviare soldati italiani in Afghanistan: a confermarlo è il solito Michele Serra, che dopo la kermesse pro-Ue del 15 marzo scorso deve averci preso gusto, a impersonare il ruolo di banditore di piazze dalla coscienza sporca. Steso sulla sua “Amaca” su Repubblica di oggi (“Quanto ci manca la piazza”), si contorce di malinconia, il nostro Elkann boy: “spostare persone non è come radunare follower, si maneggia l’immateriale molto più agevolmente, e con minore spesa, di come si maneggia la vita materiale. Ma può darsi, anche, che alle nuove leve della politica, tutte social e slogan, delle piazze importi un fico secco, le considerino un residuo novecentesco, un pachiderma in un mondo volatile, tutto fulmini e saette, tutto clic e istantanee. Ma sbagliano. Diano retta a un vecchio arnese come me: sbagliano”. Il vecchio arnese ce l’avrà con Pd, M5S e Avs, che stanno armeggiando per un raduno da intestare alla questione palestinese per la prima settimana di giugno. Giusto in tempo, cioè, per guadagnarsi un po’ di visibilità mediatica alla vigilia dei referendum Cgil.
Si percepisce non tanto la stizza per non averci messo pure stavolta il cappello, ma la malafede per non poter farlo. È un dispiacere, il suo, che sa molto di gran bella castagna tolta dal fuoco: evitare di impicciarsi direttamente in un corteo che sarà visto come fumo negli occhi da Israele, dalla comunità ebraica italiana, e naturalmente dal suo editore. E che perciò non riuscirà a contare sul generoso finanziamento del Comune di turno, come avvenne due mesi fa a Roma dove il sindaco piddino Gualtieri, scucendo fondi municipali, fu ben contento di agevolare e rendere materiale l’immateriale appello di Serra per l’Europa. Questo giro, saranno i partiti del “campo largo” a pensare alla logistica, e così l’Émile Zola dei poveri può ora comodamente fare il piangina sui tempi incresciosamente lunghi della solidarietà ai martiri di Palestina.
Ma al di là del caso Serra, è tutta la batteria del sinistrume intellettualoide d’alto bordo a palesare una tempistica dell’indignazione che fa quasi venir voglia di apprezzare il cinismo della controparte di destra, schierata con i terroristi di Tel Aviv in nome dello squallido ricatto morale dell’antisemitismo (Netanyahu: “chi dice Free Palestine dice Heil Hitler”). Nanni Moretti, su Instagram, si straccia le vesti contro Bibi: come se i massacri, la presa per fame, l’oppressione di un’intera popolazione siano fatti imputabili esclusivamente all’attuale capo del governo israeliano. Ed è in buona compagnia, il più sopravvalutato dei registi italiani: da Cannes si è levata la voce di ben 350 fra suoi colleghi e attori, contro il “silenzio” sul “genocidio” in corso a Gaza. Dov’erano stati, in questo anno e mezzo? Forse erano bloccati dalla tremarella per le possibili conseguenze sulla propria immagine e carriera.
Fior di intellettuali di origine ebraica, e pertanto al di sopra di ogni sospetto, potrebbero testimoniare a cosa si va incontro se si critica, diciamo, un po’ troppo il sacro totem dell’“unica democrazia del Medioriente”: il linguista e filosofo Noam Chomsky già da un pezzo non può rimetter piede su suolo israeliano, e ormai si porta addosso il marchio d’infamia di antisemita; Gideon Levy, uno dei pochi giornalisti d’Israele ad affermare da anni che le “operazioni” di rappresaglia sono uccisioni di massa, vive sotto scorta; il giurista sudafricano Richard Goldstone, incaricato dall’Onu nel 2009 di indagare i crimini umanitari commessi allora, è stato bollato come “ebreo che odia sé stesso”; lo storico Ilan Pappé, che firmò un libro dall’inequivocabile titolo “La pulizia etnica della Palestina”, è dovuto emigrare in Inghilterra perché in patria non lo facevano più lavorare; un altro, Norman Filkenstein, che ha scritto “Industria dell’Olocausto”, è stato ormai da tempo espulso da Israele; il nostro Moni Ovadia, costretto a uscire dalla comunità milanese, viene chiamato offensivamente goy Ovadia (“goy” sta per non-ebreo, rinnegato). Chi denuncia la politica sterministica e di apartheid dello Stato di Israele – che non è di oggi o di ieri ma è di decenni – finisce additato come nemico dell’Occidente, filo-Hamas e, ghigliottina delle ghigliottine, colpevole di antisemitismo.
Basterà una bandiera israeliana bruciata e la piazza si ritorcerà contro i suoi promotori, avvertono gli scribacchini di regime. I partiti di centrosinistra possono anche permettersi di correre il rischio, pur di inscenare una mobilitazione che serve a rendere visibile un’opposizione appaltata in questa fase al sindacato referendario, più che a una genuina sollevazione per la causa palestinese. Mentre, dal canto suo, la ridotta dei cosiddetti uomini di cultura con posto fisso nell’establishment no, non se lo può permettere. O molto meno, comunque. Di qui le indignazioni tardive, i contorcimenti da falsa coscienza o, al massimo, i risvegli sincronizzati sulle adunate organizzate in fretta e furia dalle forze politiche di riferimento. “La politica, senza le piazze, muore di inedia e di inespressività, alla fin fine muore di noia”, conclude il suo fervorino Michele Serra. I 50 mila palestinesi falciati dalla vendetta degli israeliani non sono morti di noia, invece. Sono morti anche perché i Serra e tutti quelli come Serra non riescono, non possono, e dunque non vogliono condannare Israele per aver sempre trattato il popolo palestinese come carne da macello. Oggi con Netanyahu, e in passato anche con primi ministri laburisti – quindi “amici”, nevvero? – da Shimon Peres (“Grappoli d’ira”) a Ehud Barak (“Piombo fuso”).  Magari nascondendosi dietro l’Onu e la risoluzione “due popoli, due Stati”, alibi perfetto per lasciare che un solo popolo e un solo Stato continuino a fare i propri porci comodi calpestando il più elementare senso di umanità. Peggio dei cinici a destra ci sono solo gli ipocriti a sinistra. Tutti in ogni caso da spedire, se si potesse, nell’inferno di Gaza.