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Smarrire l'identità è perdere se stessi

di Francesco Lamendola - 30/01/2019

Smarrire l'identità è perdere se stessi

Fonte: Accademia nuova Italia

Da un po' di tempo si torna a parlare di identità; e se ne parla perché, da più parti, si sono levate voci d'allarme circa la minaccia di una perdita dell'identità, sia personale, sia nazionale, sia religiosa (ci eravamo già occupati di questo argomento in Che cos’è l’identità?, pubblicato sul sito della Accademia Nuova Italia il 07/10/2017). Eppure, a meno che si tratti dei soliti complottisti paranoici, che vedono minacce dappertutto, il pericolo doveva esistere da tempo, se, alla fine, in parecchi se ne sono accorti: però nessuno ne parlava. In altre parole, torniamo a parlare di identità perché, a giudizio di alcuni, siamo sul punto di perderla, o, per dir meglio,di vedercela sottratta: stiamo scoprendo che essa merita una riflessione davanti alla concreta prospettiva di non averla più. C'è qualcosa di sbagliato, in questo. È sbagliato parlare del panda solo quando il panda diviene una specie animale a rischio di estinzione; ed è sbagliato parlare dell'identità quando già forse è troppo tardi per difenderla. In ogni caso, vediamo anzitutto di cosa si tratta. Il concetto di identità viene adoperato in diversi ambiti, dalla matematica alla sociologia, dall'antropologia alla psichiatria. In matematica, designa l'uguaglianza di due espressioni, pur in presenza di alcune variabili; nelle scienze sociali, indica la coscienza che l'uomo ha di sé sia individualmente che collettivamente; in psichiatria, la consapevolezza dell'individuo rispetto a se stesso e il suo grado di veridicità: credersi Napoleone non è, evidentemente, la stessa cosa che esserlo. Come sempre, rivolgiamoci alla filosofia per avere una definizione di carattere universale - diceva Platone che fare filosofia è vedere l'intero, e chi non lo sa fare non è filosofo - e diciamo che l'identità è l'uguaglianza di una cosa rispetto a se stessa. L'identità, dunque, è la proprietà per cui A è uguale ad A, ed è diverso da B, C, eccetera. Il principio di identità si lega necessariamente al principio di non contraddizione: A non è uguale a B; le due cose vanno di pari passo. Da questa constatazione elementare possiamo articolare un ragionamento più complesso: è l'identità che rende possibile la diversità. Se A fosse uguale a B, o a C, allora A non sarebbe più uguale ad A, dunque non vi sarebbe più l'identità. 

Questo è il punto decisivo, sul quale bisogna soffermarsi a lungo e apprezzarne tutte le implicazioni e le conseguenze. Oggi è venuto di gran moda dire che bisogna accogliere e includere il diverso, che bisogna dialogare comunque e gettare sempre e solo ponti, abbattendo tutti i muri. Siamo bombardati da simili slogan e stiamo subendo un tentativo di lavaggio del cervello. I bambini e gli adolescenti vi sono particolarmente esposti: si vuol far loro credere che il migliore dei mondi possibili è quello dove non ci sono più muri, né confini, e dove il diverso non è più tale, perché viene integrato gioiosamente, ed entrambi, il diverso e l'uguale, si arricchiscono nel processo. Ciò dà un'idea dell'estremo degrado intellettuale in cui è caduta la cultura odierna. In condizioni normali, cioè in una società sana, chi si mettesse a fare tali discorsi verrebbe preso a pernacchie e tutti gli volterebbero le spalle, per la palese assurdità e l'inestricabile contraddittorietà delle sue affermazioni. Perfino un bambino capirebbe che si tratta di un mucchio di sciocchezze, e il solo dubbio sussistente sarebbe se chi le dice sia semplicemente stupido o se voglia incantare il prossimo per qualche sua ragione nascosta e inconfessabile. Ma se le sentiamo dire e ripetere continuamente, specialmente  dai mass-media, e ribadire dai rappresentanti della vita pubblica, dai politici agli intellettuali; se sono continuamente sulla bocca del presidente della Repubblica o di colui che viene chiamato papa dai cattolici; se si trasformano in risoluzioni e direttive da parte delle Nazioni Unite, le quali vengono a incidere e  modificare il nostro sistema scolastico, la nostra giurisprudenza, e perfino il nostro linguaggio, addirittura configurando come reato l'uso di alcune parole che sono sempre state adoperate senza scandalo, ma che ora, quasi da un giorno all'altro, sono diventate impronunciabili, perché ci viene detto che sottintendono odio e incitamento all'intolleranza, e diffondendo, viceversa, l'uso e l'abuso di altre parole, mielose, zuccherose, molto politicamente corrette, per cui esse diventano il condimento indispensabile di qualsiasi discorso pubblico o privato, allora nella nostra mente dovrebbe risuonare un campanello d'allarme e dovremmo chiederci come mai stia accadendo tutto ciò. In pratica, sta accadendo che i Padroni del Discorso vogliono persuadere la gente che l'identità non è più una virtù, e che forse non lo è mai stata; ma che non lo è soprattutto oggi, nell'era della globalizzazione, cioè in un tempo in cui si devono solo gettare ponti e abbattere muri. Ma siccome sono proprio loro, i Padroni del Discorso, che hanno deciso di proclamare questo nuovo vangelo, fondato sulla costruzione dei ponti verso chiunque e l'abbattimento di ogni muro, è facile capire dove sta l'inganno: nel presentare come giusto e necessario, e soprattutto come altamente desiderabile, per le persone comuni, ciò che è stato pensato e voluto da pochissimi, i quali, però, detengono gli strumenti del linguaggio, dell'informazione e di quasi tutta la comunicazione.

Inoltre, quei soggetti si sono guardati bene dal presentare una simile visione come una fra le visioni possibili del nostro futuro: al contrario, l'hanno presentata come la sola valida, la sola sensata, la sola possibile. Non c'è stato alcun dibattito, alcuna discussione, perciò non c'è stata alcuna scelta, alcuna decisione da parte della gente. Sono cadute dall'alto una serie di direttive, e la gente viene esortata ad adeguarvisi. Strano: ci dicono che viviamo in un sistema democratico basato sulla libertà d'informazione e la sovranità popolare: ma né questa, né quella, sembrano essere state rispettate. Per fare un esempio, sentiamo dire dal presidente della Repubblica, che dovrebbe essere il presidente di tutti gli italiani, che l'adesione dell'Italia all'Unione Europea, e alla relativa moneta unica, è un fatto definitivo e irrevocabile, è il nostro destino manifesto, è il bene per definizione, mentre ogni idea di tornare alla sovranità nazionale e monetaria è sbagliata, assurda, folle, se non criminale, in quanto adombra rigurgiti d’isolazionismo, populismo, sovranismo (che è diventato una parolaccia). Tuttavia non c'è stato alcun dibattito, alcun referendum; ha deciso tutto il governo, un singolo governo, con la piena adesione delle opposizioni: l'Italia è entrata nell'UE e anche nell'euro (le due cose non formavano un unico pacchetto: potevano essere scisse; ma chi ce l’ha spiegato?) e da quel momento sessanta milioni di cittadini italiani si sono trovati presi nel meccanismo, hanno scoperto di aver perso la sovranità finanziaria e aspettano ancora di vedere, accanto ai costi, i promessi benefici; nondimeno, si chiede loro di continuare a credere, ad avere fiducia nella bontà dell'euro e della UE, a fidarsi della BCE e di Mario Draghi, il quale dopotutto è un italiano (come se ciò avesse la minima importanza effettiva), di credere fino alla morte (per debito pubblico), credo quia absurdum, come diceva Tertulliano. È sensato, è ragionevole, è democratico tutto questo? Ciascuno dovrebbe giudicare con la propria testa: checché ne dicano i giornali, la televisione, i politici, il presidente, il clero e il papa (che fa sentire la sua voce anche lui, eccome se la fa sentire, benché si tratta di un ambito in cui dovrebbe invece tacere, proprio lui che non se la sente di giudicare il comportamento, in questioni squisitamente morali, neppure di un singolo essere umano). E tutto questo, bisogna ammetterlo, non è proprio perfettamente normale; a meno di avere un'idea molto personale e soggettiva di ciò che è normale e di ciò che non lo è.

Le cose sono arrivate a un tale punto di mistificazione che molti, sentendo parlare dei movimenti “identitari” in termini negativi, o fortemente critici, così come di quelli “populisti” e “sovranisti”, o magari di atteggiamenti “maschilisti” ,“omofobi”, e “fondamentalisti”, dubitano ormai che l’identità sia un valore; pensano anzi che sia un grave difetto, del quale è doveroso emendarsi: perché rappresenta un ostacolo sulla via della pace, del dialogo e dell’inclusione, tanto che si tratti dell’ambito nazionale e internazionale, quanto dell’ambito sessuale e perfino dell’ambito religioso. In questa (delirante) prospettiva, suggerita e occultamente imposta dai Padroni del Discorso, dirsi “italiani” è male, perché esclude i non italiani, e in particolare tutti quei migranti che vogliono venire in Italia, con qualsiasi mezzo, pur non avendone alcun diritto e pur non essendo pressati da alcuna impellente e grave necessità; dirsi maschi, o femmine (e non parliamo, poi, di “padre” e “madre”!) è male perché esclude i transessuali, i bisessuali e tutti coloro i quali amano una sessualità liquida, mutevole a piacimento, secondo gli umori e gli stati d’animo; e dirsi cattolici è peggio di tutto, perché implica un rifiuto e una discriminazione verso i non cattolici. Ed ecco le sollecite maestre progressiste che fanno sparire crocifissi, presepi e canzoni di Natale; ecco i preti ecumenisti ed inclusivi abolire la croce sulla facciata della chiesa, eliminare il Credo, o sopprimere senz’altro la Messa, per rispetto verso i poveri migranti e per protesta contro il governo razzista; ed ecco il signore vestito da papa, ma che non fa il papa, bensì l’antipapa, viaggiare all’estero senza mai nominare Gesù Cristo, negare la benedizione ai cattolici che gliela chiedono, e definire l’apostolato una sciocchezza: tutto per non escludere e per non offendere quelli che cattolici non sono, ma che sono pure loro creature del Signore, e dunque perché discriminarle? Meglio lasciare le loro anime nelle tenebre, meglio negare loro la possibilità di conoscere la Verità e convertirsi, piuttosto che mancar loro di rispetto in senso puramente umano. Se poi, per caso, un prete o un catechista si permette di ricordare ai ragazzi che il peccato impuro contro natura è un disordine che dispiace gravemente a Dio, quel prete o quel catechista si ritengano avvisati: qualora un ragazzino con tendenze omosessuali dovesse decider di farla finita (magari per ragioni tutte sue e del tutto estranee al suo orientamento sessuale) e gettarsi dall’attico d’un condominio, sappiano che la responsabilità morale è tutta loro; sono loro che lo hanno spinto al suicidio. Ma di che meravigliarsi, del resto, in un Paese dove, unico al mondo, un magistrato si permette di porre sotto inchiesta un ministro dell’Intermo, reo di aver fatto valere i confini nazionali e la sovranità territoriale, proibendo l’approdo all’ennesima nave carica di clandestini trasbordati dall’Africa ad opera dei mercanti di carne umana? E dove tre o quattro sindaci si offrono di aprire i porti delle rispettive città, dopo che il suddetto ministro ha deciso la chiusura di tutti i porti? E dove il capo del governo dice che, se i clandestini non possono sbarcare, lui li andrà a prende in aereo?

L’identità, lo hanno sempre saputo i nostri nonni, anche se non usavano questa parola per il semplice fatto che non c’è bisogno di nominare le cose ovvie, non è una qualità o un valore, ma ciò che rende possibili qualità e valori. Senza l’identità non c’è nulla di nulla: se A non è uguale ad A, allora A è come se non esistesse. In questo senso, l’identità è bene, l’assenza di identità è male. Ora, è evidente che la globalizzazione sta minacciando e cancellando, come un rullo compressore, tutte le identità nazionali, culturali, religiose; così come l’ideologia gender vorrebbe far sparire persino la coscienza del maschile e del femminile. Ora vediamo dei transessuali che spendono la loro celebrità per tenere dei programmi televisivi nei quali spiegano a bambini di 10-12 ani com’è bello, per un maschietto scontento d’essere tale, fare un’operazione e diventare femminuccia: il tutto pagato coi nostri soldi. Che sarà di noi, quando avremo cessato di essere italiani, o francesi, o tedeschi; quando avremo iniziato a vergognarci di essere cristiani e cattolici; quando avremo imparato a dubitare, grazie a programmi come quello su accennato, di essere maschi o femmine? Non saremo più nulla. Ciò che resterà di noi saranno solo le qualità neutre: il consumatore e il contribuente. Saremo buoni solo ad acquistare merci e a pagare tasse; per il resto, non avremo bisogno di essere qualcosa o qualcuno; ci basterà essere dei tubi digerenti. Che ce ne faremo di una storia, di una tradizione, di avere delle radici? Muri, tutti muri da abbattere in nome dell’apertura e dell’inclusione del diverso. C’è solo un particolare che non ci vien detto, finché avremo ancora un po’ di cervello per ragionare; tuttavia ce lo diranno presto, o almeno non si cureranno più di nasconderlo, entro breve tempo, perché a forza di subire lavaggi e risciacquature, il nostro cervello sta andando in pappa. Si tratta di questo: che, se, non saremo più nulla, diverremo superflui. Non solo non serviremo a noi stessi, nel senso che non saremo più capaci di capire e di scegliere quel che è bene per noi, e di evitare quel che è male; ma non serviremo neppure ai Padroni del Discorso, che sono anche i Padroni del Mondo. Ci spieghiamo: i Padroni del Mondo possiedono già una quantità di denaro, teorico, beninteso, che si stima essere una sessantina di volte superiore al PIL mondiale. Grazie al possesso di questa cifra mostruosa di denaro, che in realtà non esiste, non è mai esistito e non esisterà mai, neppure sotto forma di valuta nominale cartacea, essi tengono sotto ricatto l’intera umanità e i governi degli Stati, col meccanismo del debito; però, sapendo benissimo che mai potranno riscuoterlo, appunto perché non esiste, è una creazione delle loro menti perverse, a loro non servono sette miliardi e mezzo di schiavi, per giunta in continuo aumento. Gliene bastano molti, ma molti meno: ne resteranno sempre abbastanza. Sarà più facile controllare e sfruttare l’umanità se, invece di sette miliardi, saranno cinque, quattro, tre, forse meno. Perciò prepariamoci: siamo in soprannumero. Le guerre, le carestie, le malattie del futuro avranno lo scopo di ridurre la popolazione mondiale: verranno pianificate e scatenate da una regia precisa. Di che si deve preoccupare, chi è Padrone del Discorso?