Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Stiamo allevando i nostri figli al fallimento

Stiamo allevando i nostri figli al fallimento

di Francesco Lamendola - 18/03/2018

Stiamo allevando i nostri figli al fallimento

Fonte: Accademia nuova Italia

 

 

L'uomo moderno va perdendo sempre più la sensibilità, cioè la capacità di sentire le cose in maniera profonda, ma tende a diventare, in compenso, sempre più ipersensibile riguardo a se stesso: tende cioè a diventare permaloso, irritabile, suscettibile, incapace di sopportare il più piccolo smacco, il più lieve rimprovero. Un esercito di mamme frustrate, nevrotiche, rancorose e vendicative, fallite come madri, come mogli e come amanti, si precipita a scuola o all'asilo per fare una scenata alla sventurata maestra che abbia osato riprendere il loro santo e innocente pargoletto, anche (e soprattutto) se si tratta di un bambino isterico, caratteriale, antisociale, violento, che fa vivere nell'ansia o nel terrore tutti i suoi compagni. Questi bambini diventeranno degli adulti sociopatici, pretenziosi, viziati, velleitari, narcisisti, potenzialmente distruttivi per sé e per gli altri: e andranno a infettare, con i loro comportamenti irresponsabili, sgradevoli, paranoici, schizoidi, gli ambienti di lavoro, le professioni, le aziende, i servizi, le università. Provocheranno sofferenze, ansie e morbose insicurezze nei loro compagni e nelle loro compagne, e tireranno su una generazione di bambini infelici ed egocentrici, schiavi e tiranni nello stesso tempo, che riprodurranno sugli altri, a loro danno, i meccanismi infernali che hanno subito e vissuto ad opera delle loro mammine invasive e dei loro padri insignificanti.
Il fenomeno, anzi, è già in atto, e già vediamo numerosi esempi di questa nuova umanità, le sue avanguardie, ormai non più solitarie, ma sempre più numerose, frutto della mutazione antropologica degli ultimi due o tre decenni: quella del telefonino multifunzionale e dei giochi elettronici per l'infanzia. Quella dei ventenni che ora vanno sotto il nome di generazione Erasmsus. Quelli che a diciotto anni vanno a scuola accompagnati dalla mamma se piove, e fatti scendere dalla macchina proprio davanti al portone, a costo di bloccare il traffico, affinché non prendano, poverini, nemmeno una goccia di pioggia; quelli che, se prendono un quattro in chimica o in latino, muovono le solerti mammine a recarsi di filato dal poco comprensivo professore, per spiegargli che il loro ineffabile rampollo studia tanto, ma proprio tanto, sa, professore, bisogna capirlo, ce la mette tutta, si vede che è stanco, ma lui è sempre stato fra i primi, se non il primo, fin dalle elementari, e anche la maestra lo diceva sempre che avrebbe potuto scegliere qualsiasi indirizzo scolastico, si vedeva già allora che aveva una marcia in più, che non era un bambino come tutti gli altri.
Questa deformazione, questa degradazione antropologica è certamente il frutto di un certo stile di vita, quello consumista e beota figlio del '68; ma questo, a sua volta, è figlio di una certa ideologia: quella propria della modernità, specialmente dall'illuminismo in poi; quella di Locke, di Rousseau, di Marx e, da ultimo... del Concilio Vaticano II, cioè del cattolicesimo rivisto e corretto alla luce del progressismo e del modernismo. Le linee guida del pontificato di Bergoglio, ossia l'orizzontalismo e l'umanesimo laico - massima attenzione ai diritti della persona, silenzio assordante sui grandi temi etici, la Chiesa cattolica ridotta alle funzioni di una colossale o.n.g. - non è che il logico punto d'arrivo di questa tendenza, che potremmo anche definire dell'individualismo di massa. L'individualista di massa è uno strano signore, figlio delle madri nevrotiche e frustrate delle quali abbiamo detto, nonché di quei papà inesistenti e poco virili, abituato a considerare tutto come dovuto, però, nello stesso tempo, terribilmente ansioso, insicuro e potenzialmente aggressivo; un signor nessuno che si crede speciale; una nullità che ritiene d'essere un drago, un superman o una superwoman; un edonista e narcisista patologico che si sente in credito con il mondo e con la vita, che vuol riscuotere e vuol vedere riconosciuti i suoi meriti inesistenti e le sue ambizioni velleitarie. Non conosce la modestia, la pazienza, la virtù del sacrificio: figlio ideale, cioè nipote biologico, del '68, vorrebbe tutto e subito, e considera intollerabile qualunque proibizione, qualunque limite gli venga imposto, magari dalla forza stessa delle circostanze. È stato bocciato? Colpa dei professori. Non trova un lavoro? Colpa della società. La sua ragazza lo ha lasciato? Era solo una stronza. Lo hanno licenziato per scarso rendimento? Bastardi sfruttatori che non hanno compreso il suo genio. Ha provocato un incidente, ha investito una vecchietta sulle strisce pedonali? Era lei che doveva stare attenta, lui non ha alcuna colpa; dovevano tenersela in casa, a quell'età non si va in giro da sole. Lo hanno beccato a non pagare le tasse, a chiedere rimborsi per spese inesistenti, a farsi timbrare il cartellino per poter andare a pesca o in palestra, tutto pagato dalla pubblica amministrazione? Macché, ha ragione lui: lo Stato è ladro, bisogna pur difendersi, un po' di furbizia non significa disonestà, e chi lo afferma è solo un moralista ipocrita. Lui non è mai colpevole di nulla, la colpa è sempre degli altri. Egli è ben cosciente dei suoi diritti ed è pronto a querelare chiunque si azzardi ad avanzare il benché minimo dubbio sulla sua correttezza professionale, sulla sua integrità assoluta, sulle sue meravigliose doti di uomo (o di donna) e di cittadino.
E così, in parallelo, il cattolico postconciliare: lui non è peccatore, o, ammesso che lo sia, a che serve la misericordia di Dio, se non a perdonarlo sull'istante? Se Dio non perdona tutti e subito, e se non si astiene dal proibire alcunché a chicchessia, a cosa serve, che funzione svolge? Solo un Dio figlio del '68, solo un Dio figlio del liberalismo, della democrazia e del marxismo, può essere ancora tollerato dai "cattolici" adulti e maturi del terzo millennio; non certo il vecchio Dio, così arcigno ed esigente, che i preti pretendevano di farci adorare prima del Concilio. Ma poi è arrivato quel portento di Karl Rahner a mettere le cose a posto, e adesso quel portento di Bergoglio a trarne le estreme conseguenze. Dio, ai nostri giorni, è diventato un grande distributore di perdono, a chi lo chiede e anche a chi non lo chiede, cioè anche a chi non si pente; esattamente come i padri della generazione attuale sono ridotti al ruolo di distributori di denaro (o di regali), ai figlioletti che lo chiedono e anche a quelli che non lo chiedono, perché un buon padre previene le richieste dei suoi figli, previene perfino i loro desideri. Altro non fa, non svolge alcun'altra funzione. Insegnare qualcosa, poi, o addirittura proibire qualcosa, figuriamoci: non son mica i vecchi tempi, i tempi anteriori al '68, quelli del padre padrone e della famigliola schiavizzata dal tiranno domestico. Ora sono i tempi della consapevolezza, della demistificazione degli inganni; i tempi di Freud, il quale ci ha insegnato a odiare il padre, sì, ma a odiarlo a ragion veduta, perché il padre è odioso in se stesso, è odioso in quanto padre, ce lo dice l'inconscio, è più forte di noi, che possiamo farci, in fondo bisogna assecondare la natura. A meno che il padre scenda dal trono e si faccia compagnone ed amicone dei suoi figli e, soprattutto, che dica loro sempre di sì; e che la madre, in parallelo (vedi il complesso di Edipo) la smetta di stare dalla parte del marito e si metta dalla parte del figlio, lo assecondi, lo giustifichi, lo spalleggi, lo seduca perfino, se necessario (qualcuno ricorda il film La Luna di Bernardo Bertolucci, del 1979, in cui la mammina moderna e amorevole si porta a letto il figlio adolescente per proteggerlo dai pericoli della droga?). Vuoi le chiavi della macchina, figlio mio? Ma certo. Alle due di notte, per correre chissà dove? Ma certo, come no. Vuoi che ti firmi la giustificazione per non andare a scuola domani, bambina mia? Subito: ecco qui. Si vede che sei stanca, hai gli occhi gonfi: hai fatto così tardi stanotte, in discoteca... poverina, devi recuperar le forze; altrimenti il tuo ragazzo ti troverà brutta e finirà per lasciarti. La mamma complice, il padre amicone: e il figlio che non è più un figlio (o una figlia), ma una cosa ibrida, né carne né pesce, con le pretese del maggiorenne ma la pigrizia cronica e l'infingardaggine del bamboccio (o della bamboccia) che non vuol crescere...
Il dramma della mutazione antropologica in atto è che le coppie non si sposano più, che fanno sempre meno figli, e, quei pochi, li crescono come bambolotti di porcellana, guai se pigliano la più leggera corrente d'aria, potrebbero rompersi. Intanto l'Italia si riempie di bambini arabi, africani e indiani cresciuti con ben altri sistemi e divenuti adulti con ben altra grinta. Non occorre possedere le doti astrologiche di Nostradamus per capire come andrà finire, e basterà ormai pochissimo tempo. Siete mai entrati in un ufficio postale e osservato le cose con un po' di attenzione? Vi capiterà facilmente di vedere uno dei nostri ventenni della generazione Erasmus spiegare all'impiegata che lui non sa cosa vuol dire mittente, che non sa come si compila il modulo del telegramma, che non sa che francobollo ci voglia per spedire una raccomandata; oh, ma lui ha fatto l'Erasmus nei Paesi Bassi, o in Spagna, o nella Repubblica Ceca, o magari nel Marocco, è un cittadino del mondo, ha dati gli esami universitari in una lingua che neppure conosceva... non vi pare che sia un prodigio d'intelligenza? Non è forse vero che sa tante cose che i suoi genitori, alla sua età, non si sognavano neppure? E intanto, in quello stesso ufficio postale, ecco il figlio di una famiglia d'immigrati, non di venti, ma di tredici anni, che compila il modulo del telegramma, che inoltra la raccomandata senza bisogno di chiedere nulla. La differenza fra i due è che il rampollo italiano d.o.c., quando aveva sei anni e tornava con la bua al dito mignolo, aveva la mamma che correva dalle maestre, minacciava di denunciarle tutte quante, faceva fare le radiografie al ditino infortunato e pretendeva il rimborso dall'asilo o dalla scuola; mentre il secondo, se tornava a casa con un bernoccolo in testa grosso così, non dava luogo né a proteste, né a corse affannose in ospedale: al massimo, sua mamma gli metteva una bistecca sulla zucca, e il gonfiore passava così, da solo. Esattamente come facevano le nostre mamme, cinquant’anni fa, con noi, se ci capitava un piccolo infortunio scolastico. E, guarda caso, anche noi sapevamo spedire un telegramma a tredici anni, e andavamo a far la spesa senza che c'imbrogliassero nemmeno di una lira.
Perciò, i casi sono due: o le mamme e i papà d'oggi rinsaviscono dalla pazzia iperprotettiva che li ha contagiati e travolti, e la smettono di tirar su dei futuri zimbelli di qualunque avversità, delle vittime predestinate di qualunque mutamento economico e sociale, oppure sarà la fine: la fine della nostra civiltà, la fine dei nostri valori, della nostra visione del mondo, del nostro modo di vivere, di amare, di lavorare, di sognare, di pregare. E ce la saremo ampiamente meritata. Perché la vita non fa sconti ai presuntuosi e agli imbecilli; meno ancora ne fa agli imbecilli che si permettono anche il lusso d'essere presuntuosi. E se un popolo, una razza, una civiltà, non credono più in se stessi, allora meritano di scomparire, e di lasciare il posto a gente più forte, più tenace, più sicura di sé, o anche, semplicemente, più abile. Noi occidentali, e soprattutto noi europei, avevamo, ed avremmo, un immenso serbatoio di energie morali, spirituali, intellettuali, perfino artistiche e musicali: quello che per duemila anni è stato il centro della nostra vita, sia individuale che familiare e collettiva, il cristianesimo. Ogni paese, anche il più sperduto villaggio di montagna, aveva la sua chiesa, la sua cappella, la sua edicola sacra: la croce ha svettato dappertutto, ha improntato di sé la storia dell’Europa, il suo destino, ha ispirato i suoi uomini e le sue donne, la scienza, il pensiero, la politica, tutto. Quando noi eravamo bambini, la gente doveva recarsi in chiesa con molto anticipo per ascoltare la parola di qualche famoso predicatore domenicano, in tempo di Pasqua, o per partecipare all’adorazione eucaristica durante le Quarant’ore: non c’erano abbastanza banchi per accogliere tutti. Adesso i predicatori non ci sono più, e, se ci sono, non salgono più sul pulpito: pare quasi che domandino scusa d’essere preti, d’essere cattolici; e i fedeli sono appena una manciata di anziani, soprattutto di vecchiette. Vuoti i seminari, vuote le chiese, tre matrimoni all’anno e una dozzina di prime Comunioni per parrocchia, anche nelle più popolose, quelle dei centri urbani; in compenso, molti funerali, perché la popolazione è terribilmente invecchiata. Quella che è stata una grande idea, un grande sentimento, una grande visione del mondo e dell’anima umana, sta andando velocemente in rovina; e una città di oltre due milioni e mezzo di abitanti, come Bruxelles, la capitale dell’Unione Europea, può “vantare” quattro seminaristi in tutto. Quattro! (Per fare un confronto: sapete quanti ne ha Guadalajara, nel Messico, su tre milioni e mezzo di abitanti? Milleduecento. Ripetiamo: milleduecento seminaristi).
Da dove dobbiamo ripartite? Da questa grande idea, da questa fede sublime che ha ispirato san Paolo, sant’Agostino, san Francesco, san Tommaso d’Aquino, Dante, Giotto, santa Caterina da Siena, Beato Angelico, santa Rita da Cascia, Michelangelo, Bernini, Vico, Rosmini, Manzoni, per citare solo alcuni e nell’ambito italiano. Dobbiamo tornare ad abbeverarci a quella sacra fonte che ha dissetato milioni di persone e migliaia di religiosi, che ha ispirato i costruttori delle cattedrali e i soldati di Lepanto, che ha mosso per le corti europee Marco d’Aviano e ha dato agli uomini e alle donne di Otranto, davanti alla scimitarre ottomane, il coraggio di affrontare il martirio piuttosto che rinnegare Cristo. Forse ci siamo scordati che il battesimo è anche un rito d’esorcismo e quando l’abbiamo ricevuto i nostri genitori, per noi, hanno detto a voce alta: Rinuncio a Satana, alle sue opere, alle sue lusinghe e al suo culto. Ecco, è da lì che si deve ricominciare: da quella promessa, da quella rinuncia e da quell’impegno solenne per il bene e per la vita, e contro il male e la morte…