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Sulla disgregazione strutturale del mondo

di Vladimir Putin - 04/11/2021

Sulla disgregazione strutturale del mondo

Fonte: Comedonchisciotte

Vladimir Putin ha preso parte ad una sessione plenaria del 18° incontro annuale del Club Internazionale di Discussione a Valdai. Il tema di quest’anno è stato “La Rivoluzione globale nel 21° secolo: l’individuo, i valori e lo Stato”. Il programma di quattro giorni includeva oltre 15 sessioni di persona e online.

Il Presidente della Russia Vladimir Putin:

Signore e signori,

Per cominciare, vorrei ringraziarvi per essere venuti in Russia e per aver preso parte agli eventi del Club Valdai.

Come sempre, durante questi incontri vengono sollevate questioni urgenti e si tengono discussioni approfondite su temi che, senza esagerare, contano per le persone di tutto il mondo. Ancora una volta, il tema chiave del forum è stato posto in modo diretto, direi addirittura a bruciapelo: “La Rivoluzione globale nel 21° secolo: l’individuo, i valori e lo Stato”.

Viviamo infatti in un’epoca di grandi cambiamenti. Se posso, per tradizione, esporrò le mie opinioni in merito all’ordine del giorno che avete elaborato.

In generale, questa frase, “vivere in un’era di grandi cambiamenti”, può sembrare banale dal momento che la usiamo così spesso. Inoltre, questa era di cambiamento è iniziata molto tempo fa e i cambiamenti sono diventati parte della vita quotidiana. Da qui la domanda: vale la pena soffermarsi su di essi? Sono d’accordo con coloro che hanno fatto l’ordine del giorno di questi incontri; ovviamente lo sono.

Negli ultimi decenni, molte persone hanno citato un proverbio cinese. I cinesi sono saggi e hanno molti pensatori e pensieri preziosi che possiamo ancora usare oggi. Uno di loro, come forse saprete, dice: “Dio non voglia che viviamo in un tempo di cambiamento”. Ma ci stiamo già vivendo, che ci piaccia o no e questi cambiamenti stanno diventando più profondi e fondamentali. Ma consideriamo un’altra saggezza cinese: la parola “crisi” è composta da due caratteri – probabilmente tra il pubblico ci sono rappresentanti della Repubblica popolare cinese e mi correggeranno se sbaglio – ma, i caratteri sono due: “pericolo” e “opportunità”. E come diciamo qui in Russia, “combatti le difficoltà con la tua mente e combatti i pericoli con la tua esperienza”.

Naturalmente, dobbiamo essere consapevoli del pericolo ed essere pronti a contrastarlo, e non una sola minaccia, ma molte e diverse minacce che possono sorgere in questa era di cambiamento. Tuttavia, non è meno importante ricordare una seconda componente della crisi – l’opportunità da non perdere, tanto più che la crisi che stiamo affrontando è concettuale e anche di civiltà. Questa è fondamentalmente una crisi di approcci e principi che determinano l’esistenza stessa degli umani sulla Terra, ma dovremo comunque rivederli seriamente. La domanda è dove trasferirsi, a cosa rinunciare, cosa rivedere o aggiustare. Nel dire questo sono convinto che sia necessario lottare per valori veri, sostenendoli in ogni modo.

L’umanità è entrata in una nuova era circa tre decenni fa, quando si sono create le condizioni principali per porre fine al confronto politico-militare e ideologico. Sono sicuro che ne avete parlato molto in questo club di discussione. Ne ha parlato anche il nostro ministro degli Esteri, ma vorrei comunque ripetere diverse cose.

Fu allora avviata la ricerca di un nuovo equilibrio, di relazioni sostenibili in ambito sociale, politico, economico, culturale e militare e di sostegno al sistema mondo. Abbiamo [noi russi] cercato questo supporto ma dobbiamo dire che non l’abbiamo trovato, almeno finora.

Intanto quelli che si sentivano vincitori dopo la fine della Guerra Fredda (abbiamo parlato tante volte anche di questo) e credevano di aver scalato l’Olimpo, hanno scoperto presto che il terreno stava cedendo anche lì sotto e questa volta è stato il loro turno e nessuno poteva “fermare questo momento fugace”, non importa quanto fosse giusto.

In generale, doveva sembrare che ci fossimo adattati a questa continua incostanza, imprevedibilità e stato di transizione permanente, ma nemmeno questo è accaduto.

Vorrei aggiungere che la trasformazione che stiamo assistendo e di cui facciamo parte è di un calibro diverso rispetto ai cambiamenti che si sono ripetutamente verificati nella storia umana, almeno quelli di cui siamo a conoscenza. Non si tratta semplicemente di un cambiamento nell’equilibrio delle forze o di scoperte scientifiche e tecnologiche, anche se entrambe si stanno verificando.

Oggi siamo di fronte a cambiamenti sistemici in tutte le direzioni: dalla condizione geofisica sempre più complicata del nostro pianeta a un’interpretazione più paradossale di cosa sia un essere umano e quali siano le ragioni della sua esistenza.

Diamo un’occhiata in giro. E lo ripeto: mi permetto di esprimere alcuni pensieri a cui mi associo.

In primo luogo, il cambiamento climatico e il degrado ambientale sono così evidenti che anche le persone più disattente non possono più ignorarli. Si può continuare a impegnarsi in dibattiti scientifici sui meccanismi alla base dei processi in corso, ma è impossibile negare che questi processi stiano peggiorando e che qualcosa debba essere fatto. I disastri naturali come siccità, inondazioni, uragani e tsunami sono quasi diventati la nuova normalità e ci stiamo abituando [ad essi]. Basti ricordare le devastanti e tragiche inondazioni dell’estate scorsa in Europa, gli incendi in Siberia, gli esempi sono tanti. Non solo in Siberia, anche i nostri vicini in Turchia hanno avuto incendi, negli Stati Uniti e in altri luoghi del continente americano. A volte sembra che qualsiasi rivalità geopolitica, scientifica e tecnica o ideologica diventi inutile in questo contesto, se i vincitori non avranno abbastanza aria per respirare o niente da bere.

La pandemia di coronavirus è diventata un altro promemoria di quanto sia fragile la nostra comunità, quanto sia vulnerabile e il nostro compito più importante è garantire all’umanità un’esistenza sicura e la resilienza. Per aumentare le nostre possibilità di sopravvivenza di fronte ai cataclismi, dobbiamo assolutamente ripensare a come conduciamo le nostre vite, come gestiamo le nostre famiglie, come si sviluppano le città o come dovrebbero svilupparsi; dobbiamo riconsiderare le priorità di sviluppo economico di interi Stati. Ripeto, la sicurezza è uno dei nostri principali imperativi, in ogni caso ormai è diventato ovvio e chiunque tenti di negarlo dovrà in seguito spiegare perché si sia sbagliato e perché si sia fatto trovare impreparato alle crisi e agli shock che intere nazioni stanno affrontando.

Secondo. I problemi socioeconomici dell’umanità sono peggiorati al punto che, in passato, avrebbero innescato shock mondiali, come guerre mondiali o sanguinosi cataclismi sociali. Tutti dicono che l’attuale modello di capitalismo, che è alla base della struttura sociale nella stragrande maggioranza dei Paesi, ha fatto il suo corso e non offre più una soluzione a una miriade di differenze sempre più intricate.

Ovunque, anche nei Paesi e nelle regioni più ricche, la distribuzione ineguale della ricchezza materiale ha esacerbato la disuguaglianza, in primo luogo la disuguaglianza delle opportunità sia all’interno delle singole società che a livello internazionale. Ho menzionato questa formidabile sfida nelle mie osservazioni al Forum di Davos all’inizio di quest’anno. Senza dubbio, questi problemi ci minacciano con grandi e profonde divisioni sociali.

Inoltre, numerosi Paesi e persino intere regioni, sono regolarmente colpiti da crisi alimentari. Probabilmente ne parleremo più avanti, ma ci sono tutte le ragioni per credere che questa crisi peggiorerà nel prossimo futuro e potrà raggiungere forme estreme. Ci sono anche carenze di acqua ed elettricità (probabilmente ci occuperemo anche di questo oggi), per non parlare della povertà, degli alti tassi di disoccupazione o della mancanza di assistenza sanitaria adeguata.

I Paesi in ritardo ne sono pienamente consapevoli e stanno perdendo fiducia nelle prospettive di raggiungere i leader. La delusione stimola l’aggressività e spinge le persone a unirsi ai ranghi degli estremisti. Le persone in questi Paesi hanno un crescente senso di aspettative disattese e fallite e la mancanza di opportunità non solo per sé stesse, ma anche per i loro figli. Questo è ciò che li spinge a cercare vite migliori e si traduce in una migrazione incontrollata, che a sua volta crea un terreno fertile per il malcontento sociale nei Paesi più prosperi. Non ho bisogno di spiegarvi nulla, poiché potete vedere tutto con i vostri occhi e, probabilmente, siete anche più esperti di me su queste cose.

Come ho notato prima, le potenze leader e prospere hanno altri problemi sociali urgenti, un ampio ventaglio di sfide e rischi e molte di esse non sono più interessate a combattere per l’influenza poiché, come si suol dire, ne hanno già abbastanza nei loro piatti.

Il fatto che la società e i giovani di molti Paesi abbiano reagito in modo eccessivo, duro e persino aggressivo alle misure per combattere il coronavirus ha dimostrato – e lo voglio sottolineare, spero che qualcuno lo abbia già menzionato prima di me in altre sedi – che la pandemia era solo un pretesto: le cause di irritazione e frustrazione sociale sono molto più profonde.

Ho un altro punto importante da fare. La pandemia, che in teoria avrebbe dovuto radunare le persone nella lotta contro questa massiccia minaccia comune, è invece diventata un fattore di divisione più che uno unificante. Ci sono molte ragioni per questo, ma una delle principali è che si è iniziato a cercare soluzioni ai problemi tra i soliti approcci – una varietà di essi, ma [pur sempre] ancora quelli vecchi, che semplicemente non funzionano. O, per essere più precisi, funzionano, ma spesso e stranamente peggiorano lo stato esistente delle cose.

A questo proposito, la Russia ha ripetutamente chiesto, e lo ripeterò, di fermare queste ambizioni inappropriate e di lavorare insieme. Probabilmente ne parleremo più avanti ma è chiaro cosa ho in mente. Parliamo della necessità di contrastare insieme il contagio da coronavirus. Ma nulla cambia: tutto rimane lo stesso nonostante le considerazioni umanitarie. Non mi riferisco alla Russia ora, lasciamo [perdere] le sanzioni contro la Russia per ora. Intendo le sanzioni che restano in vigore contro quegli stati che hanno un disperato bisogno di assistenza internazionale. Dove sono i fondamenti umanitari del pensiero politico occidentale? Sembra che non ci sia niente lì, solo chiacchiere. Capite? Questo è ciò che sembra essere in superficie.

Inoltre, la rivoluzione tecnologica, i risultati impressionanti nell’intelligenza artificiale, nell’elettronica, nelle comunicazioni, nella genetica, nella bioingegneria e nella medicina aprono enormi opportunità, ma allo stesso tempo, in termini pratici, sollevano questioni filosofiche, morali e spirituali che fino a poco tempo fa erano di esclusivo dominio degli scrittori di fantascienza.

Cosa accadrà se le macchine supereranno gli esseri umani nella capacità di pensare? Dov’è il limite di interferenza nel corpo umano oltre il quale una persona cessa di essere sé stessa e si trasforma in qualche altra entità? Quali sono i limiti etici generali nel mondo in cui le potenzialità della scienza e delle macchine stanno diventando quasi sconfinate? Cosa significherà questo per ognuno di noi, per i nostri discendenti, i nostri discendenti più prossimi – i nostri figli e nipoti?

Questi cambiamenti stanno guadagnando slancio e certamente non possono essere fermati perché di regola sono obiettivi. Tutti noi dovremo affrontare le conseguenze indipendentemente dai nostri sistemi politici, condizioni economiche o ideologia prevalente.

A parole, tutti gli Stati parlano del loro impegno per gli ideali della cooperazione e della volontà di lavorare insieme per risolvere problemi comuni ma, purtroppo, queste sono solo parole. In realtà sta accadendo il contrario e la pandemia è servita ad alimentare i trend negativi emersi tempo fa e che ora stanno solo peggiorando. L’approccio basato sul proverbio, “la tua camicia è più vicina al corpo”, è finalmente diventato comune e ora non è più nemmeno nascosto. Inoltre, spesso si tratta anche di vantarsi e brandire. Gli interessi egoistici prevalgono sulla nozione di bene comune.

Naturalmente, il problema non è solo la cattiva volontà di alcuni Stati e alcune famigerate élite. È più complicato di così, secondo me. In generale, la vita è raramente divisa in bianco e nero. Ogni governo, ogni leader è in primo luogo responsabile nei confronti dei propri compatrioti, ovviamente. L’obiettivo principale è garantire la loro sicurezza, pace e prosperità. Quindi, le questioni internazionali e transnazionali non saranno mai così importanti per una leadership nazionale quanto la stabilità interna. In generale, questo è normale e corretto.

Dobbiamo affrontare il fatto che le istituzioni di governance globale non sono sempre efficaci e le loro capacità non sono sempre all’altezza della sfida posta dalle dinamiche dei processi globali. In questo senso, la pandemia potrebbe aiutare: ha mostrato chiaramente quali istituzioni hanno ciò che serve e quali necessitano di una messa a punto.

Il riallineamento dei rapporti di forza presuppone una ridistribuzione delle quote a favore dei Paesi emergenti e in via di sviluppo che finora si sentivano esclusi. Per dirla senza mezzi termini, il dominio occidentale degli affari internazionali, iniziato diversi secoli fa e, per un breve periodo, quasi assoluto alla fine del XX secolo, sta lasciando il posto a un sistema molto più diversificato.

Questa trasformazione non è un processo meccanico e, a suo modo, si potrebbe anche dire che non ha eguali. Probabilmente, la storia politica non ha esempi di un ordine mondiale stabile, stabilito senza una grande guerra e con suoi risultati come base, come avvenne dopo la Seconda Guerra Mondiale. Quindi, abbiamo la possibilità di creare un precedente estremamente favorevole. Il tentativo di crearlo dopo la fine della Guerra Fredda sulla base del dominio occidentale è fallito, come si vede. L’attuale stato degli affari internazionali è un prodotto di questo stesso fallimento e dobbiamo imparare da ciò.

Qualcuno potrebbe chiedersi, a cosa siamo arrivati? Siamo arrivati in un luogo paradossale. Solo un esempio: per due decenni, la nazione più potente del mondo ha condotto campagne militari in due Paesi a cui non può essere paragonata da alcuno standard. Ma alla fine ha dovuto chiudere le operazioni senza raggiungere uno solo degli obiettivi che si era prefissata 20 anni fa, e ritirarsi da questi Paesi causando notevoli danni agli altri e a se stessa. In effetti, la situazione è drammaticamente peggiorata.

Ma non è questo il punto. In precedenza, una guerra persa da una parte significava vittoria per l’altra parte, che si assumeva la responsabilità di ciò che stava accadendo. Ad esempio, la sconfitta degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam non ha reso il Vietnam un “buco nero”. Al contrario, sorse lì uno Stato in via di sviluppo, con successo, che, certamente, faceva affidamento sul sostegno di un forte alleato. Le cose ora sono diverse: non importa chi prenda il sopravvento, la guerra non si ferma, ma cambia solo forma. Di norma, l’ipotetico vincitore è riluttante o incapace di garantire una pacifica ripresa postbellica, e non fa che peggiorare il caos e il vuoto che rappresentano un pericolo per il mondo.

Colleghi,

quali pensate siano i punti di partenza di questo complesso processo di riallineamento? Provo a riassumere i punti di discussione.

In primo luogo, la pandemia di coronavirus ha mostrato chiaramente che l’ordine internazionale è strutturato attorno agli Stati nazionali. A proposito, i recenti sviluppi hanno dimostrato che le piattaforme digitali globali – con tutte le loro forze, che abbiamo potuto vedere dai processi politici interni negli Stati Uniti – non sono riuscite a usurpare funzioni politiche o statali. Questi tentativi si sono rivelati effimeri. Le autorità statunitensi, come ho detto, hanno immediatamente rimesso in riga i proprietari di queste piattaforme, che è esattamente quello che si sta facendo in Europa, se si guarda solo all’entità delle multe loro imposte e alle misure anti-monopolio adottate. Ne siete consapevoli.

Negli ultimi decenni, molti hanno lanciato concetti fantasiosi sostenendo che il ruolo dello Stato fosse obsoleto ed estroverso. La globalizzazione avrebbe reso i confini nazionali un anacronismo e la sovranità un ostacolo alla prosperità. Sapete, l’ho detto prima e lo dirò di nuovo. Così è stato detto anche da chi ha tentato di aprire i confini di altri Paesi a vantaggio dei propri interessi competitivi. Questo è ciò che è realmente accaduto. E non appena è emerso che qualcuno, da qualche parte, stava ottenendo grandi risultati, sono subito tornati a chiudere le frontiere in generale e, prima di tutto, le proprie frontiere doganali e quant’altro ed hanno iniziato a costruire muri. Beh, dovevamo non notarlo, o cosa? Tutti vedono tutto e tutti capiscono perfettamente tutto. Certo, che lo fanno.

Non ha più senso contestarlo. È ovvio. Ma gli eventi, quando si è parlato della necessità di aprire le frontiere, gli eventi, come ho detto, sono andati nella direzione opposta. Solo gli Stati sovrani possono rispondere efficacemente alle sfide dei tempi e alle esigenze dei cittadini. Di conseguenza, qualsiasi ordine internazionale efficace dovrebbe tenere conto degli interessi e delle capacità dello Stato e procedere su tale base, senza cercare di dimostrare che non dovrebbe esistere. Inoltre, è impossibile imporre qualcosa a chiunque, siano essi i principi alla base della struttura sociopolitica o i valori che qualcuno, per ragioni proprie, ha definito universali. Dopotutto, è chiaro che quando si verifica una vera crisi, rimane un solo valore universale ed è la vita umana, che ogni Stato decide da solo come tutelare al meglio in base alle proprie capacità, cultura e tradizioni.

A questo proposito, farò nuovamente notare quanto sia diventata grave e pericolosa la pandemia di coronavirus. Come sappiamo, ne sono morti più di 4,9 milioni. Queste cifre terrificanti sono paragonabili e superano persino le perdite militari dei principali partecipanti alla Prima Guerra Mondiale.

Il secondo punto su cui vorrei attirare la vostra attenzione è la portata del cambiamento che ci costringe ad agire con estrema cautela, anche solo per motivi di autoconservazione. Lo stato e la società non devono rispondere radicalmente ai cambiamenti qualitativi nella tecnologia, ai drammatici cambiamenti ambientali o alla distruzione dei sistemi tradizionali. È più facile distruggere che creare, come tutti sappiamo. Noi in Russia lo sappiamo molto bene, purtroppo, per la nostra esperienza che abbiamo avuto diverse volte.

Poco più di un secolo fa, la Russia ha affrontato oggettivamente seri problemi, anche a causa della Prima Guerra Mondiale in corso, ma i suoi problemi non erano più grandi e forse anche più piccoli o non così acuti come i problemi affrontati dagli altri Paesi e la Russia avrebbe potuto affrontare i suoi problemi in modo graduale e civile. Ma gli shock rivoluzionari hanno portato al crollo e alla disintegrazione di una grande potenza. La seconda volta è successo 30 anni fa, quando una nazione potenzialmente molto potente non è riuscita a intraprendere al momento giusto la strada delle riforme urgenti, flessibili ma completamente motivate e di conseguenza è stata vittima di tutti i tipi di dogmatici, sia reazionari che i cosiddetti progressisti: tutti hanno fatto la loro parte, tutte le parti lo hanno fatto.

Questi esempi della nostra storia ci permettono di dire che le rivoluzioni non sono un modo per risolvere una crisi ma un modo per aggravarla. Nessuna rivoluzione valeva il danno che ha fatto al potenziale umano.

Terzo. L’importanza di un solido sostegno nella sfera della morale, dell’etica e dei valori sta aumentando drammaticamente nel fragile mondo moderno. In effetti, i valori sono un prodotto, un prodotto unico dello sviluppo culturale e storico di qualsiasi nazione. L’intreccio reciproco delle nazioni li arricchisce sicuramente, l’apertura allarga i loro orizzonti e permette loro di dare uno sguardo nuovo alle proprie tradizioni. Ma il processo deve essere organico e non può mai essere rapido. Eventuali elementi estranei verranno comunque respinti, possibilmente senza mezzi termini. Qualsiasi tentativo di imporre agli altri i propri valori con esito incerto e imprevedibile può solo complicare ulteriormente una situazione drammatica e produrre solitamente la reazione opposta e un risultato opposto rispetto a quello previsto.

Guardiamo con stupore ai processi in atto nei Paesi che tradizionalmente sono stati considerati gli alfieri del progresso. Naturalmente, gli shock sociali e culturali che stanno avvenendo negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale non sono affari nostri; ci teniamo fuori da questo. Alcune persone in Occidente credono che un’eliminazione aggressiva di intere pagine dalla propria Storia, una “discriminazione al contrario” contro la maggioranza nell’interesse di una minoranza e la richiesta di rinunciare alle nozioni tradizionali di madre, padre, famiglia e persino di genere, ritengono che tutte queste siano le pietre miliari del cammino verso il rinnovamento sociale.

Ascoltate, vorrei sottolineare ancora una volta che hanno il diritto di farlo, noi ne stiamo fuori. Ma vorremmo chiedere loro di tenersi anche fuori dai nostri affari. Abbiamo un punto di vista diverso, almeno la stragrande maggioranza della società russa – sarebbe più corretto dire così – ha un’opinione diversa su questo argomento. Crediamo di dover fare affidamento sui nostri valori spirituali, sulla nostra tradizione storica e sulla cultura della nostra nazione multietnica.

I sostenitori del cosiddetto “progresso sociale” credono di introdurre l’umanità a una sorta di nuova e migliore coscienza. Godspeed, issate le bandiere come diciamo, andate avanti. L’unica cosa che voglio dire ora è che le loro prescrizioni non sono affatto nuove.

Potrebbe essere una sorpresa per alcune persone, ma la Russia è già stata lì. Dopo la rivoluzione del 1917, i bolscevichi, facendo affidamento sui dogmi di Marx ed Engels, dissero anche che avrebbero cambiato modi e costumi esistenti e non solo quelli politici ed economici, ma la stessa nozione di moralità umana e i fondamenti di una società sana.

La distruzione di valori secolari, religione e relazioni tra le persone, fino al rifiuto totale della famiglia (abbiamo avuto anche quello), incoraggiamento a informare sui propri cari: tutto questo è stato proclamato progresso e, tra l’altro, è stato ampiamente supportato in tutto il mondo di allora ed era piuttosto di moda, come oggi. A proposito, i bolscevichi erano assolutamente intolleranti verso opinioni diverse dalle loro.

Questo, credo, dovrebbe richiamare alla mente parte di ciò a cui stiamo assistendo ora. Guardando ciò che sta accadendo in alcuni Paesi occidentali, siamo stupiti di [ri]vedere pratiche domestiche che, fortunatamente, abbiamo lasciato, spero, nel lontano passato. La lotta per l’uguaglianza e contro la discriminazione si è trasformata in dogmatismo aggressivo al limite dell’assurdo, quando le opere dei grandi autori del passato – come Shakespeare – non vengono più insegnate nelle scuole o nelle università, perché le loro idee sono ritenute arretrate. I classici sono dichiarati arretrati e ignoranti dell’importanza del genere o della razza. A Hollywood vengono distribuiti promemoria sulla corretta narrazione e su quanti personaggi di che colore o genere dovrebbero essere in un film.

Questo è anche peggio del dipartimento agitprop del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.

Contrastare gli atti di razzismo è una causa necessaria e nobile, ma la nuova “cancel culture” l’ha trasformata in “discriminazione al contrario”, cioè razzismo al contrario. L’enfasi ossessiva sulla razza sta ulteriormente dividendo le persone, quando i veri combattenti per i diritti civili sognavano proprio di cancellare le differenze e rifiutarsi di dividere le persone per colore della pelle. Ho chiesto specificamente ai miei colleghi di trovare la seguente citazione di Martin Luther King: “Sogno che i miei quattro figli piccoli un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della loro pelle ma per il loro carattere”. Questo è il vero valore. Tuttavia, lì le cose stanno andando diversamente. A proposito, la maggioranza assoluta dei russi non pensa che il colore della pelle di una persona o il suo genere sia una questione importante. Ognuno di noi è un essere umano. Questo è ciò che conta.

In diversi Paesi occidentali, il dibattito sui diritti di uomini e donne si è trasformato in una perfetta fantasmagoria. Guardate, state attenti a non andare dove una volta i bolscevichi avevano pianificato di andare, non solo per mettere in comune i polli, ma anche per mettere in comune le donne. Un altro passo e ci sarete.

I fanatici di questi nuovi approcci arrivano persino a voler abolire del tutto questi concetti. Chiunque osi dire che gli uomini e le donne esistono davvero, il che è un fatto biologico, rischia di essere ostracizzato. “Genitore numero uno” e “Genitore numero due”, “Genitore alla nascita” invece di “madre” e “latte umano” che sostituisce “latte materno” perché potrebbe turbare le persone che non sono sicure del proprio genere. Ripeto, questa non è una novità; negli anni ’20, anche i cosiddetti Kulturtraeger sovietici hanno inventato un nuovo linguaggio credendo di creare una nuova coscienza e di cambiare i valori in quel modo. E, come ho già detto, hanno fatto un tale casino che a volte fa ancora rabbrividire.

Per non parlare di alcune cose davvero mostruose quando ai bambini viene insegnato fin da piccoli che un maschio può facilmente diventare una femmina e viceversa. Cioè, gli insegnanti in realtà impongono loro una scelta che tutti presumibilmente abbiamo. Lo fanno escludendo i genitori dal processo e costringendo il bambino a prendere decisioni che possono sconvolgere la sua intera vita. Non si preoccupano nemmeno di consultarsi con gli psicologi infantili: un bambino di questa età è in grado di prendere una decisione di questo tipo? Chiamando le cose col loro nome, questo rasenta un crimine contro l’umanità e viene fatto in nome e sotto la bandiera del progresso.

Bene, se questo piace a qualcuno, lasciatelo fare. Ho già detto che, nel plasmare i nostri approcci, saremo guidati da un sano conservatorismo. Era qualche anno fa, quando le passioni sulla scena internazionale non erano ancora così alte come ora, anche se, ovviamente, possiamo dire che le nuvole si stavano addensando anche allora. Ora, quando il mondo sta attraversando una disgregazione strutturale, l’importanza di un ragionevole conservatorismo come fondamento di un corso politico è salita alle stelle, proprio a causa dei rischi e dei pericoli che si moltiplicano e della fragilità della realtà che ci circonda.

Questo approccio conservatore non riguarda un tradizionalismo ignorante, una paura del cambiamento o un gioco restrittivo, tanto meno un ritiro nel nostro guscio. Si tratta principalmente di fare affidamento su una tradizione collaudata nel tempo, la conservazione e la crescita della popolazione, una valutazione realistica di sé e degli altri, un preciso allineamento delle priorità, una correlazione tra necessità e possibilità, una formulazione prudente degli obiettivi e un fondamentale rifiuto dell’estremismo come metodo. E, francamente, nell’imminente periodo di ricostruzione globale, che potrebbe richiedere molto tempo, con il suo progetto finale incerto, il conservatorismo moderato è la linea di condotta più ragionevole, per come la vedo io.

A un certo punto si cambierà inevitabilmente, ma finora non nuocere – il principio guida in medicina – sembra essere il più razionale. Noli nocere, come si dice.

Di nuovo, per noi in Russia, questi non sono alcuni postulati speculativi, ma lezioni dalla nostra Storia, difficile e talvolta tragica. Il costo di esperimenti sociali mal concepiti a volte è oltre ogni stima. Tali azioni possono distruggere non solo quelle materialo, ma anche le fondamenta spirituali dell’esistenza umana, lasciando dietro di sé un relitto morale in cui per molto tempo nulla può essere costruito per sostituirlo.

Infine, c’è un altro punto che voglio osservare. Comprendiamo fin troppo bene che risolvere molti problemi urgenti che il mondo ha dovuto affrontare sarebbe impossibile senza una stretta cooperazione internazionale. Tuttavia, dobbiamo essere realistici: la maggior parte dei bei slogan sull’elaborazione di soluzioni globali ai problemi globali che abbiamo sentito dalla fine del XX secolo non diventeranno mai realtà. Per raggiungere una soluzione globale, gli Stati e le persone devono trasferire i loro diritti sovrani a strutture sovranazionali in una misura che pochi, se del caso, accetterebbero. Ciò è principalmente attribuibile al fatto che devi rispondere dei risultati di tali politiche non a un pubblico globale, ma ai tuoi cittadini ed elettori.

Tuttavia, ciò non significa che sia impossibile esercitare un po’ di moderazione per trovare soluzioni alle sfide globali. Dopotutto, una sfida globale è una sfida per tutti noi insieme, e per ciascuno di noi in particolare. Se tutti vedessero un modo per trarre vantaggio dalla cooperazione per superare queste sfide, questo ci lascerebbe sicuramente meglio equipaggiati per lavorare insieme.

Uno dei modi per promuovere questi sforzi potrebbe essere, ad esempio, redigere, a livello di Nazioni Unite, un elenco di sfide e minacce che specifici Paesi devono affrontare, con dettagli su come potrebbero influenzare altri Paesi. Questo sforzo potrebbe coinvolgere esperti di vari Paesi e campi accademici, compresi voi, miei colleghi. Riteniamo che lo sviluppo di una tabella di marcia di questo tipo possa ispirare molti Paesi a vedere le questioni globali sotto una nuova luce e comprendere come la cooperazione possa essere vantaggiosa per loro.

Ho già menzionato le sfide che le istituzioni internazionali stanno affrontando. Purtroppo questo è un fatto ovvio: ora si tratta di riformare o chiuderne alcune di essi. Tuttavia, le Nazioni Unite come istituzione internazionale centrale conservano il loro valore duraturo, almeno per ora. Credo che nel nostro mondo turbolento siano le Nazioni Unite a portare un tocco di ragionevole conservatorismo nelle relazioni internazionali, qualcosa di così importante per normalizzare la situazione.

Molti criticano le Nazioni Unite per non essere riuscite ad adattarsi ad un mondo in rapida evoluzione. In parte, questo è vero, ma non è l’ONU, ma principalmente i suoi membri che ne hanno la colpa. Inoltre, questo organismo internazionale promuove non solo le norme internazionali, ma anche lo spirito normativo, che si basa sui principi di uguaglianza e massima considerazione delle opinioni di tutti. La nostra missione è preservare questo patrimonio riformando l’organizzazione. Tuttavia, nel fare ciò, dobbiamo assicurarci di non gettare il bambino con l’acqua sporca, come dice il proverbio.

Non è la prima volta che uso una tribuna alta per lanciare questo appello all’azione collettiva per far fronte ai problemi che continuano ad accumularsi e ad acuirsi. È grazie a voi, amici e colleghi, che il Club Valdai sta nascendo o si è già affermato come forum di alto profilo. È per questo motivo che mi rivolgo a questa piattaforma per riaffermare la nostra disponibilità a lavorare insieme per affrontare i problemi più urgenti che il mondo sta affrontando oggi.

Amici,

I cambiamenti menzionati qui prima di me, così come dal sottoscritto, sono rilevanti per tutti i Paesi e tutti i popoli. La Russia, ovviamente, non fa eccezione. Come tutti, stiamo cercando risposte alle sfide più urgenti del nostro tempo.

Ovviamente nessuno ha ricette già pronte. Tuttavia, oserei dire che il nostro Paese ha un vantaggio. Lascia che vi spieghi qual è questo vantaggio. Ha a che fare con la nostra esperienza storica. Avrete notato che vi ho fatto riferimento più volte nel corso delle mie osservazioni. Sfortunatamente, abbiamo dovuto riportare molti ricordi tristi, ma almeno la nostra società ha sviluppato quella che ora chiamano “immunità di gregge” all’estremismo che apre la strada a sconvolgimenti e cataclismi socioeconomici. Le persone apprezzano davvero la stabilità e l’essere in grado di vivere una vita normale e di prosperare, fiduciosi che le aspirazioni irresponsabili di un altro gruppo di rivoluzionari non sconvolgeranno i loro piani e le loro aspirazioni. Molti hanno ricordi vividi di quello che è successo 30 anni fa e di tutto il dolore che ci è voluto per uscire dal fosso in cui il nostro Paese e la nostra società si sono trovati dopo che l’URSS è crollata.

Le opinioni conservatrici che abbiamo sono un conservatorismo ottimista, che è ciò che conta di più. Crediamo che sia possibile uno sviluppo stabile e positivo. Tutto dipende principalmente dai nostri sforzi. Naturalmente, siamo pronti a lavorare con i nostri partner su comuni cause nobili.

Vorrei ringraziare ancora una volta tutti i partecipanti per l’attenzione. Come da tradizione, risponderò volentieri o almeno proverò a rispondere alle vostre domande.

Grazie per la vostra pazienza

 

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Articolo originale sul sito ufficiale russo del Cremlino:

http://en.kremlin.ru/events/president/news/66975

Traduzione di Costantino Ceoldo