Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Telecomandati a distanza: ecco come veniamo plagiati

Telecomandati a distanza: ecco come veniamo plagiati

di Enrica Perucchietti - 21/11/2017

Fonte: Interesse Nazionale

 

In una conferenza tenutasi a Madrid nel 2005, il filosofo Jean Baudrillard notava come tutto debba essere visto e visibile e ciò che questo meccanismo comporta: «È qui, nel momento in cui tutto è mostrato, che ci si rende conto che non c’è più nulla da vedere», in cui la violenza dell’immagine «consiste nel far sparire il Reale». Si tratta secondo Baudrillard dello “spettacolo della banalità” in cui è l’uomo stesso che si fa immagine esponendo la propria vita quotidiana alla lente del pubblico e divenendo pertanto a “una dimensione”. Il Reale si converte in immagine e questo processo porta alla sua scomparsa in quanto «Facendo apparire la realtà, anche la più violenta, all’immaginazione, essa ne dissolve la sostanza reale». Il mondo reale, cioè, «si converte in una funzione inutile, un insieme di forme ed eventi fantasma».

La lezione di Baudrillard torna utile per osservare alcuni aspetti del nostro quotidiano. In questi giorni le scene mediatiche sono dominate dallo “spettacolo” e da eventi a esso connessi: dal caso Weinstein, agli amori, i litigi e le scene di sesso al Grande Fratello VIP. Domina i voyeurismo e la sete di dettagli morbosi. E nell’epoca della post-verità, conta poco il reale, quando la sua interpretazione mediata dalle immagini.

Dalla pubblicazione di 1984 a oggi, l’espressione “Grande Fratello” viene utilizzata per indicare un tipo di controllo invasivo da parte delle autorità, uno stato di polizia totale o l’aumento tecnologico della sorveglianza. Per ironia del destino, la televisione ha reso altrettanto celebre l’espressione usandola per battezzare l’omonimo reality show che ha rivoluzionato l’estetica e il modo di fare TV. Nel format “Grande Fratello” persone sconosciute (o celebri nella versione VIP) accettano di farsi rinchiudere in un appartamento sotto il controllo costante delle telecamere in modo che il voyeurismo del pubblico possa cibarsi costantemente delle immagini della vita quotidiana di costoro. Non c’è più nulla di “rubato”, le telecamere non sono nascoste ma finiscono per essere “dimenticate” dagli inquilini della casa e la loro esistenza viene ripresa costantemente dall’occhio del Grande Fratello.

Nella società postmoderna assistiamo a code di migliaia di persone in fila per fare i provini per farsi rinchiudere in una gabbia di vetro (la “Casa”) e farsi riprendere 24 ore su 24. Lo spettacolo ha cioè svuotato di significato la lezione orwelliana per consegnare alle nuove generazioni il sogno di poter essere controllati anche nella propria intimità. Non solo: costoro si sottopongono, come vittime sacrificali, a processi mediatici dai risvolti sociali tesi a inculcare nell’opinione pubblica nuovi costumi e a biasimarne altri.

Laddove era descritto come un incubo totalitario, oggi il controllo è visto come un’occasione per mettersi in mostra e diventare “famosi”. Siamo noi a offrire continue immagini e informazioni sui social network pur di apparire e mostrare ogni aspetto della nostra vita (seppure il più delle volte contraffatta, irreale). La privacy è abolita e la sorveglianza desiderata.

I 15 minuti di celebrità di warholiana memoria sono finiti per dilatarsi in una spettacolarizzazione globale della vita quotidiana in cui la realtà viene fagocitata dalle immagini. È lo spettacolo che cannibalizza il reale.

Nel format televisivo avviene un ribaltamento di piani rispetto all’espressione da cui trae il proprio nome: è il pubblico stesso a divenire giudice e quindi Grande Fratello. In questa fase lo spettatore entra nello schermo, nell’immagine, nel virtuale senza filtri e senza ostacoli. L’eccessiva prossimità all’evento genera però, spiegava già Baudrillard, «indecibilità, una virtualità dell’evento che lo spoglia della sua dimensione storica e lo sottrae alla memoria», cosa che avveniva anche in 1984 ma grazie a un’opera capillare di falsificazione della storia e di livellamento su un eterno presente.

Video, internet e la realtà virtuale hanno infatti abolito ogni distanza, annullando di fatto ogni tipo di polarità, dando vita gradualmente a fenomeni, movimenti, ideologie che sarebbero stati impensabili fino a qualche anno fa o sarebbero rimasti relegati a gruppi di nicchia: l’abolizione della distanza tra i sessi e i poli opposti ha portato alla vittoria del gender, quella tra protagonisti e azione e tra soggetto e oggetto a una virtualità e relativizzazione dell’informazione. Siamo cioè nell’epoca dell’indistinto in cui l’indifferenziazione conduce a una perdita di senso e quindi di valore.

Questa confusione, osservava già Baudrillard, «fa sì che i giudizi di valore non siano più possibili: né sul terreno dell’arte, né su quello della morale, né su quello della politica. A causa dell’abolizione della distanza, del pathos della distanza, tutto diventa indicidibile».

La violenza dell’immagine scardina anche il linguaggio che perde la sua originalità: si parla in continuazione, comunicando instancabilmente il nulla. Il linguaggio viene anche volutamente svuotato e “riscritto” dai burocrati del politicamente corretto, seguendo i diktat della neolingua orwelliana. Il tutto viene poi dato in pasto ai Media, offrendo, dietro la cornice dello spettacolo, lo scardinamento e la graduale ri-scrizione della nostra società.