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Totalitarismo democratico. Augusto Del Noce e le profezie del “suicidio della rivoluzione”

di Umberto Del Noce - 28/06/2020

Totalitarismo democratico. Augusto Del Noce e le profezie del “suicidio della rivoluzione”

Fonte: Comedonchisciotte

Il filosofo Augusto Del Noce (1910 – 1989), nel corso degli anni ‘60, ha scritto vari articoli sul tema del fascismo e del totalitarismo.
Questi scritti sono confluiti in riflessioni che hanno portato, nel 1978, alla pubblicazione di un libro intitolato “Il suicidio della Rivoluzione”.
Tali tesi sono passate un po’ in sordina poichè non allineate alla cultura dominante dell’epoca. Tuttavia il tempo, mi pare, abbia dato loro, almeno in parte, ragione.
Per questo motivo credo sia utile provare a riassumerle.
Per Del Noce il “problema di oggi è combattere la possibilità totalitaria entro l’antifascismo stesso”, nella società permissiva e liberale.
Questa possibilità di ritorno al totalitarismo, per il filosofo, è data dalla “satanizzazione” di un periodo storico, quello del fascismo, in modo che divenga impossibile comprenderlo.
Per Del Noce, infatti, il fascismo è un momento di una crisi culturale e spirituale europea che inizia prima del fascismo stesso e non termina con la sua caduta.
Culturalmente, le radici dell’attivismo, come viene definita la filosofia sottostante il fascismo, vanno ricercate nel naturalismo e nel pessimismo ottocenteschi.
Il naturalismo, presentandosi come espressione di una verità oggettiva, “di natura”, ma presentando d’altronde ogni teoria e ogni valore come prodotto naturale, tende a rovesciarsi in scetticismo: poichè ogni teoria e ogni verità sono un prodotto naturale, dobbiamo concludere l’equivalenza di verità di ogni teoria.
Questo porta a una svalutazione di ogni teoria e al decadentismo, dominato dalla “logica dell’inversione”: i valori divengono strumenti per l’accrescimento “del tono vitale”.
In questo senso i valori divengono funzioni e si passa così all’estetismo, “con la conseguente confusione di arte e vita”. La direzione di questo processo va verso la liquidazione dell’idea stessa di verità ed il suo sbocco logico è appunto l’attivismo: la mistica dell’azione per l’azione, la fuga da sè. L’azione è ormai “voluta per sè, non più come mezzo per la realizzazione di un fine”.
E allora comprendiamo la finzione dei valori: essi, invece di dirigere e dar significato all’azione, valgono soltanto come strumenti che possano promuoverla.
L’azione così intesa “si riduce a semplice trasformazione della realtà”.
Tuttavia, “alla retrocessione dei valori si accompagna una retrocessione degli uomini”, che cessano di essere fini a se stessi per diventare strumenti ed ostacoli per l’azione.
La logica dell’attivismo porta alla negazione della personalità degli altri, alla loro riduzione ad oggetti.
Del Noce d’altronde nota come non si possano accomunare fascismo e nazismo, Mentre il primo si pone come un movimento progressista, che si assume il compito di trasformare la società in una direzione mai sperimentata, facendo propri il mito del progresso e della velocità, il secondo è stato caratterizzato da un’impronta marcatamente conservatrice, idealizzando un passato puro e pervertito dalla modernità, un’antichità da restaurare.
In questo senso Del Noce può affermare che un pericolo di ritorno al fascismo storico sia oggi impossibile, pur riconoscendo che esiste un radicalismo di destra. Tuttavia questo radicalismo assume i tratti di un neonazismo, con il suo conservatorismo e la sua idealizzazione di un passato da restaurare.
Per Del Noce, tuttavia, il pericolo consiste nel trasformare il fascismo in una “sorta di categoria eterna, nel “male radicale”, nel “demoniaco che è in noi””: in questo caso esso non potrà mai essere vinto e il suo pericolo sarebbe sempre incombente.
Questo avrebbe acceso la convinzione che il fascismo sia una sorta di “vuoto nella storia”, dopo il quale dare inizio ad un’epoca nuova.
Questa “epoca nuova” tuttavia non è che la continuazione della parabola devastatrice del capitalismo e si apre come uno sradicamento caratterizzato da un nichilismo di natura particolare: un’attitudine solo sconsacrante per accomodarsi alla realtà esistente “per quel che ne resta dopo la sconsacrazione”. Essa cioè si risolve nell’annullamento della reale opposizione all’ordine-disordine esistenti: non è quindi l’insorgere di nuovi valori a mettere in crisi quelli tradizionali, quanto l’eclissi di questi a dare forma al mito del mondo nuovo.
Invece delle rivolta contro il fatto in nome del valore abbiamo oggi l’adeguamento del valore al fatto.
In una nota rilevante, Del Noce sostiene che la contestazione studentesca degli anni 60 si è orientata “secondo la convergenza di interessi della nuova classe borghese, che deve rompere con qualsiasi compromesso con la tradizione, e (…) un comunismo che vuole (…) sostituire al “dopo Kant non è più possibile” del vecchio laicismo con il “dopo Marx non è più possibile”, un comunismo che ha perso la sua vocazione messianica.
Tuttavia, come precedentemente accennato, quella che a prima vista appare come un’epoca nuova è in realtà parte del medesimo processo di estrinsecazione della modernizzazione.
Il fascismo secondo Del Noce, infatti si inserisce in tale processo, come momento di una rivoluzione intesa a raggiungere un grado di universalità maggiore (di quella marxleninista).
Il fascismo è quindi un “un momento, ormai concluso, di un processo tuttora in corso come rivoluzione ulteriore alla marxleninista”.
Per Del Noce quindi la caduta del fascismo, non comporta la fine di questo processo rivoluzionario, ma la sua continuazione nella direzione di un totalitarismo “di sinistra”.
Questo perchè secondo il filosofo, “l’eurocomunismo” consiste nell’ ”assorbimento del fascismo da parte dell’impostazione rivoluzionaria gramsciana”.
Come?
Del Noce parla del Gramscismo come del rovesciamento della rivoluzione in dissoluzione, parla cioè del “suicidio della rivoluzione”. La rivoluzione allora affronta l’impossibilità di passare dal negativo al positivo, fermandosi alla “devalorizzazione” dei valori sinora considerati supremi. Questo perchè perde la sua vocazione messianica e universale e il rivoluzionario (unione del momento filosofico e di quello politico) diviene politico.
Come si arriva a ciò?
Innanzitutto con l’abbandono da parte di Gramsci del materialismo e dell’economicismo il quale comporta il fatto che l’ideologia non sia più il riflesso delle condizioni materiali ed economiche.
Da questo punto deriva una nuova concezione della società civile e soprattutto l’interpretazione della rivoluzione come riforma intellettuale e morale (da cui deriva una modalità differente di lotta).
Così Del Noce si trova d’accordo con il pensatore marxista Riechers nell’affermare che con Gramsci il marxismo diviene una riforma intellettuale e morale, intesa come emancipazione dalla religione sul piano ideologico e dal feudalesimo-assolutismo sul piano politico-economico, realizzando così una “laicizzazione di tutta la vita”.
In questo modo il comunismo gramsciano esegue le intenzioni della borghesia, ricoprendo la funzione storica di traghettare la borghesia stessa ad un altro stadio della sua evoluzione, caratterizzata da un più compiuto dominio.
Il comunismo gramsciano insomma risolve la rivoluzione della modernizzazione, intesa come una dissociazione completa dello spirito borghese dal cristianesimo.
Gramsci è quindi la condizione per la transizione ad un nuovo ordine borghese.
Ciò è avvenuto innanzitutto con un errore radicale: aver sostituito all’opposizione capitalismo-proletariato quella di fascismo-antifascismo, avvenuta creando il mito del fascismo come male in sè, elevandolo così a figura metastorica.
Da questo primo errore fondamentale, derivano conseguenze di grande portata.
Innanzitutto distinguere tra una borghesia progressiva (industriale) e una arretrata (agraria, terriera, parassitaria, redditiera di beni immobiliari…).
Quindi fare della seconda la sola responsabile del fascismo ed asserire la necessità di allearsi con la prima sino al compimento dell’evoluzione democratico-borghese della nazione italiana.
Di conseguenza trasferire il giudizio positivo di valore al “progresso”, allo “sviluppo” e quindi attribuire una funzione positiva al capitalismo, come fase che libera dall’arretratezza feudale.
A questo punto la nuova via al socialismo diviene una transizione dal vecchio al nuovo capitalismo.
Così secondo Del Noce, la rinuncia del comunismo alla mentalità messianica coincide con la rinuncia da parte della borghesia del moralismo e così si stabiliscono le condizioni per una conciliazione: l’integrazione del comunismo alla società democratico-borghese.
Nel descrivere il processo del capitalismo, il filosofo si avvale delle tesi di Horkheimer: nella prima fase dello sviluppo del mondo borghese, al suo interno è conservato l’istituto della famiglia, istituto non borghese, fondato sulla conservazione di valori diversi da quelli specifici della borghesia.
Questo al fine di produrre un soggetto, dotato di attività responsabile ed autonoma, idonea all’economia borghese nella sua prima fase.
Successivamente, nella seconda fase questo soggetto, educato a valori cristiani, diviene addirittura un ostacolo all’esplicarsi totale dell’economia borghese, e così la sua soppressione, sebbene venga spacciata per un superamento del capitalismo stesso, segna in realtà il passaggio ad una sua fase più compiuta ed inumana. Una fase compiutamente totalitaria.
L’ideologia della borghesia è, per Del Noce, il materialismo puro, il positivismo “attento unicamente ai nudi fatti”, con la negazione di qualunque presenza di significato che trascenda il fenomeno immediato.
Nello stadio neocapitalistico, la borghesia è talmente dominante da non aver bisogno di modificare la propria ideologia spontanea per fare in modo che anche altri strati sociali si possano integrare ad essa. Non ha più bisogno, insomma, del compromesso del cristianesimo.
Si arriva così a una forma totalitaria di capitalismo che è “così perfezionata da non aver bisogno di persecuzioni fisiche o di campi di concentramento”.
Questo totalitarismo, è per Del Noce il fallimento del sogno rivoluzionario e la sua “ricaduta nella vecchia storia” che però è ormai profondamente modificata, “dato che ha subito la pars destruens dell’idea rivoluzionaria”.
In questo senso per Del Noce il marxismo è un ponte tra positivismo e scientismo.
Con l’arrestarsi della filosofia davanti alla scienza e con la rinuncia della prima a definire i limiti della seconda, si afferma, in questo passaggio storico, lo scientismo.
Esso è appunto la concezione totalitaria della scienza, per cui essa si presenta, coerentemente con la tendenza positivistica della concezione borghese del mondo, come l’unica conoscenza vera.
Tuttavia questo scientismo, totalitario per natura, non può essere neutrale rispetto ai valori: per esso è essenziale la negazione dei valori tradizionali, “dissolti nelle condizioni psicologiche e sociali che sono occasione al loro sorgere”. L’unica morale che riconosce è quella dell’incremento di vitalità, elevato a misura di ogni altro valore.
Se gramsci è il traghettatore della borghesia da uno stadio all’altro del suo sviluppo, Del Noce intravede un “oltre Gramsci”, le linee direttrici del superamento di questa fase.
Il superamento del Gramscismo si apre per Del Noce all’insegna del pluralismo.
Esso è la capitolazione del senso rivoluzionario della lettura di Gramsci del marxismo.
Nella seconda fase dello sviluppo borghese, non si chiede al soggetto di aderire ad alcun valore, perchè “la ragione strumentale non conosce valori”. Piuttosto è lo strumento tecnico-scientifico a prescrivere l’adozione della finalità sociale che gli corrisponde. In questo senso, nel mio articolo “Capitalismo classico vs capitalismo tecnocratico” (https://comedonchisciotte.org/capitalismo-classico-vs-capitalismo-tecnocratico/?fbclid=IwAR0pwZHU-ZMQkiRmD-XjeyfqR_tPUVMMZfdrC_dmkZ4QW8Xd8bldFCEJaVU), ho definito il nuovo capitalismo come “tecnocratico”.
Nella sfera pubblica della vita, il soggetto deve aderire al proprio ruolo, nell’ambito del funzionamento oggettivo del meccanismo sociale.
Nella sfera privata qualsiasi concezione può essere permessa, purché non venga pensata come verità, come regola universale, ma solo come strumento vitalizzante.
Questo pluralismo non nasconde il totalitarismo di questa società, in cui il concetto di consenso viene meno, perchè non vi è valore a cui consentire.
Resta solo l’impersonale, anonimo, sviluppo.
Di nuovo si ha un’alleanza tra comunismo gramsciano e nuova borghesia: nel corso dello sviluppo storico del proletariato si stacca un’ avanguardia di tecnici della politica che tende ad affermare il proprio potere sul proletariato stesso, sostituendo alla classe il partito. Contemporaneamente, dalla borghesia si stacca un “nuovo ceto di managers”. Questi due ceti finiscono con il compenetrarsi e possono mantenere il loro potere solo attraverso questa alleanza: i comunisti in quanto distruttori dei valori della vecchia società, possono presentare il loro dominio come una fase rivoluzionaria verso il socialismo; i managers come una necessità tecnica della produzione, unico valore rimasto dopo questa distruzione.
Così l’esito del gramscismo e dell’eurocomunismo è quello di trasformare il comunismo in una componente della società borghese ormai completamente sconsacrata.
Si impone così come forza in grado adeguata a mantenere l’ordine di un mondo in cui qualsiasi religione è scomparsa: anche la fede nel comunismo stesso.
Così la stessa fede rivoluzionaria si dissolve.
La storia e la fine del comunismo sembra dare ragione a Del Noce.
Il pensiero del filosofo, su questo suicidio dell’idea rivoluzionaria, si chiude con una profezia che pare anche realizzarsi in questo preciso periodo storico: “quel che deve necessariamente avvenire non è già la conciliazione del liberalismo col socialismo, ma quella del comunismo con l’ordine capitalistico-borghese, e nella forma del totalitarismo”.
Il totalitarismo, precisa Del Noce è anzitutto una realtà morale e filosofica fondata sull’etica del senso della storia e non bisogna associarla “come consuetamente si fa, con i campi di sterminio ecc..”.
Il totalitarismo può realizzarsi mantenendo formalmente gli istituti democratici, attraverso l’impedimento all’individuo “della libertà di dissentire, in quanto almeno incide sulla pratica”, impedimento ottenuto anche in forma non violenta, ottenuto attraverso ad esempio, un dominio incondizionato su scuola e stampa e magari mantenendo “la possibilità dialogica con una forma di opposizione già preparata per essere sconfitta”.
E oggi?
Le tesi di Del Noce appaiono in alcuni scritti pubblicati nel corso degli anni 60 e poi nel testo “il suicidio della rivoluzione” del 1978.
Esse appaiono profetiche e possiamo ben dire che nei circa 40 anni intercorsi il processo totalitario sia avanzato incessantemente, secondo le direttrici tratteggiate dal filosofo.
Innanzitutto, esattamente come aveva previsto, il comunismo è stato integralmente conciliato nella società democratico-borghese.
A partire dalla fine degli anni ‘80 il comunismo è politicamente scomparso sulla scena democratica. In italia, con la parabola, PDS (che manteneva il simbolo della falce-martello), DS (che già aveva abbandonato ogni simbologia comunista) e PD (compiuta integrazione nell’ordine borghese e capitalista), il comunismo si è talmente integrato nell’ordine dominante che ci si è abituati a vederlo effettuare privatizzazioni, difendere i mercati, i grandi gruppi del capitale finanziario. Politicamente, il suo elettorato una volta era all’interno della fabbrica, oggi si trova nel mondo borghese, persino tra i banchieri e gli speculatori finanziari.
Nel frattempo l’ideologia capitalista ha ottenuto un dominio incondizionato su scuola (e università) e stampa, in modo da presentare la sua narrativa come assolutamente dominante.
E dove il controllo sull’informazione non è completo si interviene con task force per combattere le fake news: non importa tanto che siano “fake”, ma che non vadano contro l’ordine dominante e la assoluta (libera da vincoli) esplicazione del paradigma del capitale.
Inoltre, come previsto da Del Noce, si permette uno scontro dialogico, ma con un’opposizione fatta apposta per soccombere.
Numerosi movimenti (la cosiddetta “antipolitica) nascono per traghettare il dissenso in una implosione carica di frustrazione e nichilismo.
Lo abbiamo visto in Grecia con Syriza e in Italia con il Movimento 5s. Entrambi, una volta giunti al governo del paese, si sono adeguati ai dettami del capitale neutralizzando ogni spinta trasformatrice e trasformandosi in garanti della politica divoratrice del capitale, e frustrando così la speranza di quanti in buona fede e con le migliori intenzioni si sono a questi movimenti affidati.
In questo modo è rimossa all’individuo la capacità di dissentire “per quanto incida nella pratica.
Il dissenso viene lasciato, come vestigia di una società libera e liberale, ma solo come esercizio dialettico. Il dissenso non può mai diventare una pratica autenticamente trasformativa.
E d’altronde non lo potrebbe, poichè è riservato a questioni marginali.
Le questioni che varrebbe la pena discutere, i cambiamenti strutturali ad esempio, sono indiscutibili e presentati nella forma quasi religiosa del dogma.
La stagione rivoluzionaria (caratterizzata dalla fede nella verità e dalla pretesa di un cambiamento radicale dell’intera struttura sociale), ha lasciato il posto alla stagione riformista (cha ha perso la fede nella verità, ponendola invece nell’efficienza e nel progresso per ambiti frammentati della società).
Del Noce non aveva previsto l’intrattenimento di massa e i mass media, ma anche qui vediamo all’opera gli stessi meccanismi: fare interiorizzare i dogmi e i meccanismi del capitale alla plebe consumatrice di merci.
Infatti ci troviamo oggi davanti ad un fenomeno curioso: mentre una volta gli artisti esprimevano opinioni controcorrente, sfidavano l’ordine dominante, oggi l’arte è diventata intrattenimento, oggetto di consumo.
Ci troviamo in una situazione in cui le star di Hollywood, attori, registi, musicisti ed artisti in generale di ogni parte del pianeta, per la quasi totalità si adeguano al mainstream, rilasciando solo dichiarazioni banali, veicolando messaggi pregni di ideologia liberista, supportando le cause dell’establishment. Facendosi collaboratori dell’ordine dominante, insomma.
La società totalitaria appare oggi quasi compiuta.
Il capitale è forse riuscito a realizzare la società di massa. Il fascismo ci aveva provato sotto l’idea di nazione. Il nazismo sotto quella di “volk” (popolo). Il comunismo sotto quella, più circoscritta, di classe (proletariato).
Il capitalismo ci è riuscito fondandola su quella, ancora più circoscritta, dell’individualismo e dell meccanismo del consumo.
Quello che le manca per essere stabile è accedere alla sfera più intima, biologica, dell’individuo, perchè il controllo sia totale e garantirsi così i suoi mille anni di “reich”.
Con il controllo della biologia e degli spostamenti (resi possibili da chippature della popolazione globale, app e simili soluzioni, che sono già in fase di approvazione), con il controllo capillare della biologia del consumo (si pensi per esempio al cosiddetto “biomarketing” e alla gestione emotiva delle reazioni del consumatore, alla lettura della sua biologia per fini pubblicitari, resi possibili tra l’altro dalla tecnologia 5G), con il controllo della moneta e degli acquisti (reso possibile dalla valuta digitale), con il controllo della produzione energetica ed alimentare, tutto questo sarà definitivamente possibile.
Potrebbe sembrare eccessivo ma nell’ultimo forum di Davos (World Economic Forum) avvenuto a gennaio 2020, durante i primi momenti della pandemia si è parlato anche di Quarta Rivoluzione Industriale: l’unione dei sistemi digitali, fisici e biologi.

Come ha sostenuto il fondatore del forum economico: “essa non cambia quello che possiamo fare, ma quello che siamo”, auspicando che l’emergenza causata dal dilagare del virus acceleri i cambiamenti sociali scatenati da questa rivoluzione.

E come ha sostenuto in una recente intervista Nita Farahani, professoressa e studiosa della Duke University, nominata nel 2010 da Obama membro della Presidential Commission for the Study of Bioethical Issues, la libertà di parola rappresenta il passato perchè ormai si entra in un’epoca in cui si può avere accesso alla sfera del pensiero e delle emozioni dell’uomo, e si potrà agire in questa dimensione per garantire una società più libera di pensare creativamente (da capire in che senso) e sicura.

Tuttavia dove grave incombe la minaccia, lì nascono gli strumenti per affrontarla.
E dove qualcuno cercherà di sottrarre la libertà ad un popolo, lì nascerà una nuova resistenza.
Forse il realizzarsi compiuto e assoluto del capitalismo permetterà finalmente di rovesciarlo.
Forse abbiamo dovuto attendere non una compiuta industrializzazione, ma la scomparsa di ogni altra egemonia e che il capitale si dispiegasse assolutamente e in modo totalitario.
Per Marx, le contraddizioni intrinseche del capitalismo, avrebbero automaticamente portato alla sua distruzione e il compito del proletariato era quello, attraverso la rivoluzione, di velocizzare e stimolare questo processo “naturale”.
Forse alla fine anche su questo Marx avrà avuto ragione, con un secolo buono di ritardo: nell’epoca in cui il capitalismo ha mostrato il suo volto più mostruoso, inumano e in cui il proletariato non è più la sola classe operaia, ma il cosiddetto 99%, la società intera spogliata del capitale, dei diritti e della propria umanità.