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Tradizionalismo del mondo rurale

di Riccardo Sampaolo - 03/09/2019

Tradizionalismo del mondo rurale

Fonte: Il giornale del Ribelle

La globalizzazione ha molte cause, origini lontane e fiancheggiatori più o meno espliciti, ovviamente data la complessità di tale scenario è impossibile indagarne esaustivamente in un articolo tutti i suoi fondamenti, ma quel che è certo è che si trascina molti aspetti negativi che è bene cominciare, per quanto possibile, a contrastare, sia parlandone prima, sia cercando di farne discendere i fatti poi.  Facendo un rapido riepilogo di quanto accaduto a partire dall'immediato dopoguerra, ci rendiamo subito conto che i principali vincitori del conflitto, Usa e Urss, si sono divisi il globo in zone d'influenza. Da una parte il capitalismo e dall'altra il comunismo disceso dalle teorie marxiste. Molti diranno due visioni antitetiche, e in parte lo sono, ma soprattutto nella realizzazione pratica, molto meno invece nei principi base, i cui frutti molto spesso sono più evidenti a distanza di anni.
Non bisogna dimenticare che secondo la teoria marxista, il comunismo si sarebbe realizzato nei paesi a capitalismo avanzato, che quindi ne costituiva una tappa. Sappiamo che così non è andata, ma a ciò ha posto rimedio la forzatura concettuale compiuta dal leninismo. Il Manifesto del 1848 di Karl Marx e Friedrich Engels è chiarissimo nel riconoscere la grande positività della rivoluzione borghese, che lo ripeto costituiva la tappa intermedia per arrivare al comunismo, come in una certa misura, e fatte tutte le dovute proporzioni, l'Unione Europea è una tappa del mondialismo, inteso come superamento delle patrie. Sempre nel Manifesto del 1848 si dice "la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni, anche le più barbare. Ha assoggettato la campagna al dominio della città. Ha creato città enormi, ha accresciuto su grande scala la cifra della popolazione urbana in confronto di quella rurale, strappando in tal modo una parte notevole della popolazione all'idiotismo della vita rurale".
Ecco quindi che emerge un altro elemento centrale del marxismo, oltre la grande stima per la borghesia, e cioè la non eccelsa considerazione del mondo rurale, da sempre legato a una visione sacrale della vita e ben poco materialista. Proprio il mondo rurale sarà la bestia nera di Stalin, che renderà problematiche le collettivizzazioni, che si realizzeranno tra indicibili violenze, e prima di lui lo stesso Lenin avanzò dubbi sui "lavoratori, contadini compresi, troppo schiacciati dalle abitudini e dalle tradizioni piccolo-borghesi”. È quindi indubbia la valutazione positiva di Marx ed Engels sul mondo borghese e urbano, come è, nella migliore delle ipotesi, sottovalutato il mondo rurale, che per arrivare ad oggi, per quel che ne resta, è uno dei più ostili al progressismo mondialista. Il marxismo è quindi in una certa misura il discendente ribelle del capitalismo, che però nonostante la sua egemonia culturale nel secolo scorso, non è riuscito a superare il padre nella capacità di produrre ricchezza. Nel Sessantotto i figli della borghesia inneggiavano al marxismo per ribellarsi ai loro padri, ma spesso non erano affatto migliori, come lo intuì subito Pier Paolo Pasolini, altri invece impiegarono decenni a capirlo.
Sia il capitalismo internazionale che il marxismo sono insofferenti ai confini nazionali, alla famiglia, alla religione, e alle piccole comunità solidali, e sono entrambi materialisti; non mi sembra poco come effetto globalizzante. Capitalismo e marxismo due facce della stessa medaglia, come giustamente riportato sul manifesto di Movimento Zero.