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Trump e la nostalgia politically correct di Obama

di Luigi Tedeschi - 27/01/2017

Trump e la nostalgia politically correct di Obama

Fonte: Italicum

 


 Trump delegittimato dai liberal radicali nostalgici di Obama, mentre l’Europa piange il suo oppressore 

L’era Trump è iniziata: offensive mediatiche e manifestazioni di folle oceaniche vogliono delegittimare il presidente eletto sin dal suo insediamento alla Casa Bianca. Trump è stato eletto con larga maggioranza da quello stesso popolo che ne contesta ora la legittimità? E’ quanto mai facile dare risposta a tale interrogativo. Trump è stato eletto dall'”America profonda” dal popolo degli emarginati, dal ceto medio proletarizzato, dalle masse impoverite su cui hanno inciso i costi sociali della globalizzazione. Un popolo di milioni di contestatori è affluito in massa a Washington da tutti gli Stati Uniti. Vi immaginate operai, agricoltori, disoccupati prendersi la briga e sopportate i costi per questa trasferta ludica al solo fine di contestare o acclamare Trump? Tale ipotesi è risibile. Infatti il popolo del dissenso è costituito dai giovani dei campus universitari e da coloro che si riconoscono nella cultura liberal dominante propria dei ceti socialmente più elevati e composta in larga maggioranza da bianchi. Quella cultura liberal radicale originaria degli USA, ma esportata e imposta dai media a livello globale, in corrispondenza dell’espandersi della globalizzazione economica, della società multietnica, dell’ideologia dei diritti umani, dell’ideologia gender, del politically correct, quale espressione colta della società di mercato del capitalismo assoluto.

 

La delegittimazione mediatico – culturale si estende a livello globale. Tale fenomeno è implicitamente rivelatore di una leadership americana (sia a livello politico che culturale), affermatasi in tutto l’Occidente. Questa subalternità agli USA è stata ormai sedimentata dalle masse dell’Occidente e, così come esse hanno assistito alle elezioni nella nottata dell’8 novembre riconoscendosi nello slogan mediatico “questa notte siamo tutti americani” (considerando scontata l’investitura della Clinton), ora, nel contestare Trump riconoscono il primato americano individuando in Trump più o meno inconsciamente il proprio presidente.


Lo slogan dell'”usurpatore” Trump, “Prima l’America”, va interpretato nell’ottica che prevede una politica estera isolazionista, protezionista in economia, nazionalista e populista degli USA, ma che riafferma in altre forme il primato americano nel mondo, in modo non troppo dissimile alle precedenti presidenze repubblicane.


Occorre premettere che prevedere una politica isolazionista americana per il prossimo futuro è del tutto fuorviante. Gli USA, “l’unico paese indispensabile nel mondo”, la nazione del “destino manifesto” quale paese destinato alla missione di espandersi, diffondendo la loro forma di libertà e democrazia. Il credo nell’espansionismo che presuppone l’eccezionalismo americano, è un credo che ha le sue radici nella pretesa superiorità americana che è connaturato ai fondamenti teologico – ideologici degli Stati Uniti. Pertanto una prospettiva isolazionista della politica USA è geneticamente impossibile.
Si rinfaccia a Trump di voler invertire il processo di globalizzazione economica ritenuto “irreversibile”, porre limiti al libero commercio mondiale, destrutturare la società multietnica con l’innalzamento dei muri lungo i confini con il Messico, interrompere l’esportazione dei diritti umani dovuta alla espansione del dominio politico e militare americano nel mondo. Ma questo nuovo modello di sviluppo, con i suoi riflessi sia politici che culturali, si è imposto in virtù del nuovo ordine mondiale dominato dagli USA, quale unica potenza egemone nel mondo all’indomani del crollo dell’URSS.
Pertanto, le ragioni fondamentali della campagna anti – Trump risiedono nella difesa della globalizzazione, del capitalismo finanziario, della schiavitù del debito del terzo mondo, delle migrazioni di massa. In sostanza, nella difesa ad oltranza dell’establishment, della classe dominante del capitalismo finanziario rappresentato dalla coppia Obama – Clinton.

 

Cina globalis magistra

 

Non ci si deve meravigliare dell’apparente rovesciamento dei ruoli avvenuto al vertice di Davos, ove una potenza emergente come la Cina si è proclamata paese – guida della globalizzazione, in contrapposizione all’America protezionista trumpiana. La vorticosa crescita economica della Cina ha potuto realizzarsi grazie alla totale assenza di tutele del lavoro, alla mancanza di welfare (elementi che comportano una drastica riduzione del costo del lavoro e quindi estrema competitività), e la negazione dispotica dei diritti politici e sociali del popolo cinese. E’ evidentemente tale modello di capitalismo dirigista ad essere considerato il più rappresentativo dell’economia globalizzata. L’assenza di democrazia eleva al massimo l’efficienza della produzione capitalista. Non a caso, sia nel referendum sulla Brexit che nelle presidenziali americane si è più volte manifestato nell’establishment finanziario dell’Occidente un atteggiamento di avversione e aperto disprezzo per il suffragio popolare.
In realtà la Cina e l’India sono assurte al rango di potenze economiche mondiali a seguito della delocalizzazione industriale avvenuta mediante il trasferimento in Asia di larga parte della produzione industriale americana ed europea.
Fenomeni quali la deindustrializzazione, la crisi finanziaria del 2008, le diseguaglianze sociali accentuate, la disoccupazione diffusa, la fine del welfare, rappresentano i costi sociali sostenuti dai popoli a seguito del processo di globalizzazione.

 

La superiorità morale di Obama

 

Si invoca altresì, per delegittimare Trump la superiorità morale della coppia Obama – Clinton, responsabile delle guerre scatenatesi a seguito delle primavere arabe, con conseguente espandersi del terrorismo jihadista a livello mondiale, delle varie rivoluzioni “colorate”, perpetrate con sostegno americano al fine di destabilizzare varie aree geopolitiche del mondo, dell’aggressione all’Eurasia mediante il colpo di stato in Ucraina.

 

Obama ha perseguito in altre forme la politica di esportazione armata della democrazia e dei diritti umani inaugurata da Bush. Obama è l’uomo delle promesse mancate: la fine della guerra in Afghanistan e Iraq, oltre alla chiusura del carcere di Guantanamo (a proposito di diritti umani). E con Obama (primo presidente afro – americano), si sono perfino riproposti negli USA i conflitti razziali.

 

Non sembra quindi che la globalizzazione a guida americana abbia istaurato nel mondo pace, progresso, democrazia e diritti umani. La espansione americana nel mondo è semmai il frutto più evidente della globalizzazione. Considerare Obama alternativo a Trump in virtù della sua superiorità morale sembra assai ridicolo. Obama è alternativo a Trump solo in termini di potere, nella guerra interna tra le lobby americane.

 

L’Europa sedotta e abbandonata dal suo protettore a stelle e strisce

 

La subalternità dell’Europa agli USA è evidente. La UE è allarmata dalle tendenze isolazioniste e protezioniste della presidenza Trump. Infatti la UE potrebbe ritrovarsi priva di sostegni interni ed esterni da parte americana. La UE quindi, ha la sua ragion d’essere quale istituzione politico – economica omologata e subalterna agli USA, traumatizzata ora dall’ipotesi dal venir meno del protettorato americano. Non ci resta che piangere quindi questa povera Europa… sedotta e abbandonata dal protettore a stelle e strisce. Perché questa Europa ha bisogno di protettori, al pari delle prostitute. Questa Europa può solo piangere sé stessa. Una riforma trumpiana della Nato, potrebbe inoltre comportare il trasferimento della spesa per la difesa a carico dei paesi europei, che dovrebbero allora finanziare il proprio dominio: il prigioniero pagherà l’imposizione delle sue catene a al proprio carceriere.

 

Si profilano inoltre orizzonti di distensione nel rapporto tra USA e Russia, dopo la politica aggressiva di Obama. ma il riavvicinamento tra America e Russia passerebbe sulla testa dell’Europa (che ha rinnovato recentemente le sanzioni alla Russia), i cui interessi verrebbero calpestati in caso di accordi bilaterali tra Trump e Putin.

 

Sono tanti gli i vedovi inconsolabili europei della coppia Obama – Clinton, tra cui la Merkel e perfino papa Francesco. Trump ha manifestato la propria avversità nei confronti della UE e della Merkel. Molti hanno considerato tale presa di posizione come una possibilità di recupero di sovranità dei paesi più deboli della UE dinanzi alla dittatura economico – finanziaria tedesca che governa la UE. Ma già anche durante la presidenza Obama, sono state sempre evidenti le strategie di destabilizzazione americane nei confronti dell’Europa (con le guerre, le migrazioni di massa). Gli USA da sempre sono contrari a qualunque aspirazione sovranista europea e, una possibile destabilizzazione della UE, implicherebbe una maggiore subalternità politica ed economica dei paesi europei verso gli USA.

 

In Europa sono tuttavia in costante ascesa i partiti populisti e quindi avanzano le istanze di rivendicazione di sovranità politica ed economica degli stati nazionali nei confronti della UE. I partiti populisti hanno accolto con entusiasmo sia la Brexit che l’avvento della presidenza Trump, in funzione anti euro e anti UE. Tuttavia, salvo lodevoli eccezioni, la maggioranza dei partiti populisti sono avversi alla UE, ma a favore della Nato e di un Occidente a guida americana. Il proliferare di basi Nato nei paesi dell’est europeo ne è una eloquente testimonianza. Così come dimostra la storia dell’Italia rinascimentale, i singoli paesi europei non possono rivendicare la propria sovranità contro l’oppressore interno (la Germania), facendo appello ad un alleato esterno (gli USA).

 

La sovranità è autodeterminazione dei popoli: non sussiste alcuna sovranità concessa o autorizzata o legittimata altrove, specie al di là dell’oceano. E non esiste indipendenza nazionale degli stati senza sovranità popolare: il capitalismo è cosmopolita e antistatuale: è quindi incompatibile con la libertà, la sovranità e l’indipendenza dei popoli.