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Trump: tra pax americana e venti di guerra

di Luigi Tedeschi - 13/10/2025

Trump: tra pax americana e venti di guerra

Fonte: Italicum

E’ esplosa la pace o una virtuale pax americana? Con una tregua in realtà assai precaria, spacciata mediaticamente per pace, l’Occidente celebra se stesso. Trump, con l’acclamazione a lui tributata dai suoi vassalli occidentali, è l’eroe di una pace millantata a livello globale, ma spacciata per tale, al fine di esorcizzare le proprie responsabilità sul genocidio di circa 68.000 palestinesi, perpetrato da Israele, ma reso possibile dal sostegno bellico fornitogli dagli USA e dagli alleati europei.
I protagonisti del genocidio, diretti e indiretti, si autoassolvono quindi mediante l’oscuramento mediatico dell’eccidio. E’ altresì assurdo ritenere che le proteste di massa contro il genocidio israeliano possano essere state determinati nell’incipiente processo di pace in Medio Oriente. Questo piano di pace è stato concordato unilateralmente da Trump e Netanyahu, due leader non certo sensibili ai sentimenti umanitari delle opinioni pubbliche occidentali, il cui impatto sulle vicende politiche mediorientali è pari a zero. 
Con la pace trumpiana assistiamo alla redenzione dell’Occidente: viene esaltata la pax americana e verrà ripristinata la religione olocaustica che incombe sull’Occidente, una volta assolto Israele dai crimini di Netanyahu, qualora venisse destituito. Il suprematismo occidentale si converte in umanitarismo democratico, con l’invio di aiuti ai gazawi e con l’imminente ricostruzione di Gaza, un grande business immobiliare patrocinato da Tony Blair & C. 
All’indomani della tregua si è assistito alla subitanea riviviscenza del Patto di Abramo, come se una guerra che ha comportato decine di migliaia di morti e la totale destabilizzazione dell’area mediorientale non fosse mai avvenuta. Del resto, il piano di pace di Trump riflette la logica del Patto di Abramo. Prevede tra l’altro, una soluzione della questione palestinese che prescinde completamente dal diritto di autodeterminazione dei popoli sancito dalle Nazioni Unite.  
Il genocidio palestinese non ha davvero turbato i sonni di Trump, ma gli USA necessitano di una pace al fine di affermare il loro primato in Medio Oriente mediante la creazione di nuove vie commerciali (Via del Cotone), e l’attuazione di accordi finanziari già conclusi con le monarchie del Golfo. La stessa ricostruzione di Gaza, consiste nei fatti in una gigantesca speculazione immobiliare, del tutto coerente con i progetti contenuti nel Patto di Abramo.
Ma l’idea trumpiana di un ritorno ad una configurazione del quadro mediorientale vigente ante 7 ottobre è del tutto illusoria. L’assetto geopolitico mediorientale è completamente mutato. Israele, già prefigurato come stato – guida occidentale del Medio Oriente, quale caposaldo di un Patto di Abramo esteso anche alla Arabia Saudita, è in realtà divenuto, a causa delle ripetute aggressioni terroriste condotte ai danni degli stati limitrofi, un elemento distonico nell’area è non è pesabile che esso possa in futuro costituire il fulcro di equilibri politici e strategici stabili e duraturi. 
Con la caduta di Assad e l’avvento del regime dell’ex terrorista filo occidentale  al-Jolani, la Siria si è ormai dissolta in varie aree occupate da curdi, drusi e bande mercenarie criminali. In Siria è comunque dominante la presenza massiccia della potenza turca, prospiciente ai confini di Israele. La Turchia eserciterà una rilevante influenza nella compagine preposta alla amministrazione post bellica di Gaza. 
L’Asse della Resistenza, che ha subito gravi perdite nel conflitto, dato per spacciato, è tuttavia presente nell’area con gli Houthi nello Yemen, Hamas a Gaza e Hezbollah in Libano, e si rivelerà determinate per i destini della Palestina. 
Si rileva infine l’accentuato coinvolgimento nel quadro mediorientale di Russia e Cina, quali necessari sostenitori dell’Iran, la cui destabilizzazione, sarebbe devastante per le aree di influenza russa nell’Asia centrale e per le forniture energetiche cinesi. 
Questa tregua non è una pace, e per di più assai instabile, dato che, oltre ai due punti del piano riguardanti il rilascio degli ostaggi contro la liberazione di circa 2.000 prigionieri palestinesi, l’accordo, per quanto concerne il disarmo unilaterale di Hamas e l’imprecisato ritiro di Israele da Gaza, si rivela di difficile attuazione. Resta peraltro attuale la minaccia Di Trump, secondo cui, in casi di mancato assenso di Hamas al disarmo “sarà l’inferno”.
Il piano di pace potrebbe comunque avere successo, qualora Israele, a seguito di una promessa di sostegno americano ad un nuovo attacco contro l’Iran, attualmente del tutto prevedibile, avesse la necessità di interrompere momentaneamente la guerra a Gaza e in Cisgiordania. 
In realtà, Israele, nonostante i bombardamenti indiscriminati nei paesi dell’area, la guerra genocidaria a Gaza, gli attentati terroristici contro leader civili e militari iraniani e dell’Asse della Resistenza, compiuti in totale disconoscimento del diritto internazionale, non ha sconfitto nessuno dei suoi nemici. A seguito dell’accordo di pace trumpiano, possono annoverarsi tra i vincitori gli USA, la Turchia, il Qatar e Hamas. Come disse Kissinger, “Uno dei principi fondamentali della guerriglia è che per vincere basta non perdere; un esercito regolare, invece, per non perdere deve vincere”. Israele quindi registra una sconfitta, non avendo raggiunto alcuno degli obbiettivi strategici programmati. 
La guerra di Israele è motivata da prospettive messianiche più che politiche, quali il mito della Grande Israele dal Nilo all’Eufrate, e pertanto, l’obiettivo di una improbabile vittoria totale, rende plausibile nel prossimo futuro la previsione di un attacco massiccio all’Iran. Tale aggressione comporterebbe il coinvolgimento indiretto di Russia e Cina nel conflitto, con l’ipotesi allarmante di una possibile escalation militare. 
Israele è dilaniato da una conflittualità interna insanabile e la prospettiva di assurgere a potenza assoluta del Medio Oriente di rivela oggi impraticabile. Data la sua crisi politica interna, la guerra è divenuta un mezzo necessario per salvaguardare la sua unità e la sopravivenza politica di Netanyahu. Israele è un microcosmo mediorientale incluso nel grande macrocosmo della crisi degli USA e dell’Occidente. Israele e USA sono accomunati dalla crisi dei loro valori fondativi, con fratture interne che minano le loro istituzioni e la loro stessa unità nazionale. Al declino del mito americano del “destino manifesto”, fa riscontro l’improbabile avvento del Grande Israele. L’impossibilità della vittoria totale prefigurata da Netanyahu e dagli ultraortodossi, è verosimilmente dovuta al venir meno del dominio globale della superpotenza americana. 
Il primato americano sopravvive comunque nell’immagine mediatica – ideologica offre di se stesso. Oltre alla recente mitizzazione di Trump come apostolo della pace, che peraltro risulta del tutto evanescente, l’assegnazione del premio Nobel per la pace (cui aspirava lo stesso Trump), alla venezuelana Maria Corina Machado ne è la conferma evidente. La Machado è una esponente dell’alta borghesia venezuelana, figlia del fondatore della compagnia elettrica "Electricidad de Caracas" e titolare di imprese siderurgiche nazionalizzate da Chavez nel 2010. La sua fede “rivoluzionaria” trae origine pertanto dalla perdita dei privilegi della elite filo americana avversa a Chavez. Ha sostenuto tra l’altro il tentato golpe contro lo stesso Chavez nel 2002. E’ stata condannata per frode fiscale ed altri reati ed interdetta alla politica. Il suo programma politico prevede la privatizzazione integrale dell’industria a favore di imprese straniere. E’ sostenitrice delle sanzioni americane e dell’intervento armato americano contro il suo paese per destituire Maduro. 
E’ la perfetta incarnazione dei “valori occidentali”, è l’immagine mediatica ed ideologica della libertà, dei diritti umani e della democrazia che gli USA da sempre esportano con le armi nel mondo. La democrazia è, secondo la prassi americana, una investitura che gli USA conferiscono ai loro vassalli. Coloro che non ne vangano insigniti, sono soggetti alla immediata reductio ad hitlerum, anatema scagliato periodicamente dagli USA contro i loro nemici assoluti di turno. 
Con l’assegnazione del premio Nobel per la pace a Maria Corina Machado, gli USA intendono legittimare ideologicamente la loro aggressione imperialistica contro il Venezuela, in nome della democrazia e dalla libertà. Ma il golpe militari, così come le operazioni di regime change, le aggressioni armate spacciate per interventi di peacekeeping, le rivoluzioni colorate, costituiscono l’armamentario di una strategia di dominio legata ad una fase storica ormai in via di esaurimento, così come lo è il primato della superpotenza globale americana nel mondo.