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L’arte di Beppe Grillo e i comici in politica

di Sergio Romano - 03/04/2007


Ho letto una sua intervista al Magazine del Corriere della Sera. Su un punto non mi trovo d’accordo con lei, e cioè sul fatto che il comico Beppe Grillo non rappresenti un elemento di novità, perché «solletica il qualunquismo del disprezzo della politica». Ora, se mai vi fu in Italia un elemento che impedì il funzionamento del sistema politico, questi furono i partiti politici (e, checché se ne dica, lo sono tuttora). La «partitocrazia» infatti si esemplifica nel nostro Paese in molti modi, dalla ignobile corsa alle poltrone al dispendioso quanto inutile finanziamento pubblico dei partiti fino al fatto di 25 parlamentari condannati in via definitiva. Ora, di fronte a fatti del genere, io credo che la disaffezione dell’«uomo della strada» verso la politica e i partiti venga da sé, e certo un elemento come Grillo, seppur abbia la tendenza a scadere nel populismo e nella demagogia, offra ai cittadini un ottimo network dal quale attingere informazioni che spesso i giornali e le tv non riportano, con il quale il cittadino può difendersi dagli attentati ai suoi interessi. Come è stato detto a proposito dei generali e della guerra, «la politica è un fatto troppo serio per essere lasciata ai politici».

Daniel Canola, Este (Pd),

Caro Canola,
il caso degli attori, dei comici e dei teatranti che «scendono in campo» non è nuovo. In Italia, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, vi fu l’avventura politica di Guglielmo Giannini, autore di commedie e film, personaggio brillante del mondo dello spettacolo, fondatore di un movimento politico (L’Uomo qualunque) che ottenne 30 seggi all’Assemblea costituente, e direttore di un giornale che vendeva ogni giorno 800.000 copie. Recentemente i casi più interessanti sono quelli di Dario Fo, Nanni Moretti e Roberto Benigni. Il primo è un autore- attore, nella tradizione della commedia dell’arte, e ha una forte caratterizzazione ideologica.
Il secondo è un regista «engagé» con un forte talento cinematografico, maha avuto per qualche tempo un ruolo di primo piano nel movimento dei girotondi. Il terzo è un attore regista che dedica alla satira politica soltanto una parte del suo lavoro.
Il fenomeno non è soltanto italiano.
In Francia, negli ultimi decenni, vi furono almeno due casi particolarmente interessanti. Il primo è quello di un «divo» dei cabaret parigini, Michel Gérard Joseph Colucci, meglio noto con il nome di Coluche, che fu per alcune settimane candidato alle elezioni presidenziali del 1981. Il secondo è quello di Yves Montand, chansonnier e attore di grande successo, ma tentato dalla politica e, negli anni Ottanta, candidato virtuale, per qualche tempo, alla presidenza della Repubblica.
Incidentalmente, caro Canola, sia Coluche che Montand hanno origini italiane.
Ma in questa galleria di comici politici Beppe Grillo è un caso particolare. I suoi spettacoli di massa e il suo sito hanno fatto di lui quello che gli inglesi definirebbero un «one man party», un partito composto da un uomo solo. È diventato il leader di una opposizione inedita che esprime tutto il malumore del Paese contro la sua classe politica e non può essere classificata né destra né sinistra.
Per molti aspetti è la reincarnazione moderna di Pasquino, la statua romana vicino a piazza Navona, dove gli spiriti polemici e beffardi della capitale pontificia lasciavano ogni mattina pungenti epigrammi contro i cardinali e i loro cortigiani.
Non ho nulla da obiettare, caro Canola, al suo giudizio sulla partitocrazia e non credo che la vita pubblica debba essere riservata ai professionisti allevati nelle segreterie delle grandi forze politiche.
Se Silvio Berlusconi può scendere in campo e utilizzare le sue doti di impresario per diventare protagonista della vita del suo Paese, perché Beppe Grillo non dovrebbe essere libero di fare altrettanto?
Vi è tuttavia un rischio che nel caso di Grillo mi sembra particolarmente evidente. Quando il comico si occupa di politica con gli strumenti del suo mestiere e non aspira a misurarsi con il giudizio degli elettori, il suo inevitabile obiettivo è quello di ogni spettacolo: divertire. Non può argomentare, accettare la dialettica del contraddittorio, analizzare vantaggi e svantaggi, alternare denunce e proposte. Deve risvegliare quei sentimenti di derisione, beffa e sarcasmo che tutti abbiamo in un angolo della nostra mente. E deve misurare l’effetto delle sue parole, in ultima analisi, dalla quantità degli applausi ricevuti.
Ecco perché non credo che l’arte di Beppe Grillo serva a risolvere i problemi del Paese.