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La guerra che verrà: l'ora delle decisioni irrevocabili

di Paolo Emiliani - 04/04/2007




L’obiettivo della prossima guerra made in Usa sarà l’Iran. Sembra ormai del tutto certo che non è più questione di “se”, ma di “quando”.
Un po’ tutti fanno già pronostici sulla data del primo attacco. L’ipotesi più diffusa sembra propendere per l’inizio dell’estate, ma qualcuno ha azzardato anche prima, molto prima. Si è addirittura parlato di venerdì prossimo, tra le quattro e le cinque del mattino ora locale. Probabilmente queste voci, fatte filtrare ad arte dagli stessi ambienti vicini a Washington, servivano solamente a tastare il polso dei possibili “alleati” ovvero di coloro che saranno chiamati a dare il loro contributo a questa nuova guerra, tra i quali, sicuramente, ci sarà l’Italia.
Due cose appaiono certe. Non ci potrà essere alcun legame tra la vicenda dei quindici militari britannici catturati in acque iraniane e l’attacco Usa, anche se ovviamente Washington sta utilizzando questa storia per cercare di isolare Teheran e per preparare il terreno a quella che, come al solito, verrà presentata come un’operazione di polizia internazionale e non come una guerra di aggressione, cioè quel che sarà.
Ugualmente certo ed inevitabile sembra un immediato allargamento del conflitto.
Non è un caso se Tel Aviv, pur continuando ad escludere un coinvolgimento diretto di Israele nel conflitto sta intensificando i preparativi per la guerra.
Le forze hizbollah presenti in Libano, storicamente legate a Teheran, non potranno certamente rimanere a guardare quando l’aviazione stelle e strisce comincerà a bombardare il suolo dell’Iran.
Più complessa la posizione della Siria. Damasco è sempre stata in cima alla lista delle “canaglie” stilata da Bush, ma finora il presidente siriano Bashar al Assad è sempre riuscito ad evitare il coinvolgimento diretto in una guerra. Il ben preparato e ben armato esercito siriano e la posizione storicamante nazionalista panaraba di Damasco sono però una minaccia troppo forte per gli Usa e soprattutto per i loro pesantissmi alleati dell’entità sionista.
Il progetto di “grande Israele”, mai ammesso ma sempre perseguito dall’entità sionista non può prescindere dalla distruzione della Siria qual oggi è. Distrutto l’Iraq ba’athista (anche se la sua eroica resistenza non ha permesso di mettere la parola fine a quella guerra) ed eliminata la minaccia iraniana, gli atlantici avrebbero gioco fin troppo facile contro l’ormai isolata Siria. Per questi motivi un conflitto si allargherebbe immediatamente in tutta la regione. Questa volta la guerra “americana” non potrebbe seguire il copione già sperimentato in Afghanistan e in Iraq: diventerebbe la guerra dell’Occidente contro tutto il mondo arabo ed in qualche modo, per estensione, contro tutto l’Islam.
A quel punto non ci sarebbero più zone franche. Gli stessi alleati storici degli Usa nella regione, a cominciare dall’Arabia Saudita dovrebbero fare i conti con un’opposzione interna che troverebbe immediatamente terreno fertile tra la popolazione.
Stesso discorso per la Giordania, dove la metà della popolazione è di origine palestinese.
Nei Territori martoriati dall’occupazione sionista scatterebbe immediata la rivolta così come si rilancerebbe la resistenza patriottica sia in Iraq sia in Afghanistan.
La stessa orografia dell’Iran non permetterebbe agli invasori facili avanzate nel deserto, dove la preponderanza dell’armamento può risultare decisiva; sarebbero invece costretti a difficili marce tra le montagne, dove il contributo umano ha ancora un valore importante.
La guerra tra Iran e Iraq di oltre venti anni fa dovrebbe poi far capire a Washington quale potrebbe essere la strategia di Teheran nelle paludi dello Shat el Arab, il punto di confluenza dei fiumi Tigri ed Eufrate lungo il quale è situato il confine tra Iraq ed Iran. In quei terreni infidi si combatté allora all’arma bianca, a corpo a corpo perché poco possono le super armi quando il terreno della battaglia è confuso. Su quel terreno gli americani non avranno scampo, perché non abituati dai tempi del Vietnam a questo genere di combattimenti e perché la determinazione di chi difende la propria terra è sempre superiore a quella di chi sta invadendo. Inoltre l’Iran ha grandi numeri da gettare in campo temendo assai meno le grosse perdite di vite umane.
Nella guerra Iran-Iraq si parlò di un milione di morti sullo Shat el Arab: Washington potrebbe sopportarne, davanti alla sua opinione pubblica, solo diecimila?
Questa guerra, insomma, non solo è concettualmente infame, è anche militarmente incerta.
Gli americani non hanno vinto in Afghanistan e non hanno vinto in Iraq: hanno ancor meno probabilità di vincere in Iran. Ciò nonostante questa guerra sembra ormai prossima e naturalmente gli americani non vorranno, ancora una volta, combatterla da soli.
L’Unione europea, indebolita dall’ingresso delle nazioni dell’Est facilmente permeabili alle pressionie conomiche yankee, sta assumendo un atteggiamento pericoloso, avendo nella sostanza già fatto una scelta di campo in occasione della cattura dei quindici soldati britannici, cioè accogliendo la tesi di Londra in disprezzo dei diritti di Teheran.
Quanto all’Italia il suo coinvolgimento è scontato, anche qualora non partecipasse direttamente con i suoi soldati nei combattimenti. Intanto perché la sua crescente presenza in Afghanistan la fa nei fatti partecipare ad una guerra che presto si ricongiungerà in un unicum indistinto, poi perché comunque dalle basi americane poste sul nostro suolo si muoveranno uomini e armi diretti verso il Vicino Oriente.
L’Italia deve fare una scelta di neutralità immediatamente e affinché questa sia vera e credibile non può prescindere da segnali inequivocabili.
Innanzitutto deve ritirare tutte le sue truppe dall’Afghanistan e deve interrompere il finanziamento dei “contractors” in Iraq, ufficialmente destinati alla protezione delle numerose organizzazioni italiane che operano in loco per finalità certo in contrasto con gli interessi del popolo iracheno.
L’Italia deve poi chiedere a Washington l’immediato allontanamento dal nostro suolo di tutti gli armamenti strategici, a cominciare dagli ordigni nucleari, non concedendo il transito sul nostro spazio aereo a tutti gli aerei da combattimento. Naturalmente deve essere interrotto qualsiasi programma di ampliamento delle basi Usa già esistenti, da Ederle a Sigonella.
Così, forse, potremmo esser fuori da questa guerra ed anzi potremmo dare il nostro contributo per evitarla.
Altrimenti saremo complici di un nuovo massacro, di un nuovo crimine contro l’umanità per il quale la storia prima o poi ci giudicherà.
Questo è il momento per verificare la vera “voglia di pace” di tutti i partiti presenti in parlamento. Chi veramente vuole scongiurare questa guerra si faccia avanti, magari mettendo a rischio la poltrona e facendo cadere un governo servo degli Stati Uniti.
E’ giunta l’ora delle decisioni irrevocabili.