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Ambientalismo islamico

di Fareena Alam - 06/04/2007





 

Il Ramadan dovrebbe essere un mese di astinenza, riflessione, pentimento. Ma se si passeggia nei centri commerciali di Dubai o Kuala Lumpur, è difficile vederlo così. Nel mondo musulmano, il nono mese del calendario lunare islamico – in cui i credenti digiunano dall'alba al tramonto, aumentano le preghiere e cercano di avvicinarsi all'elevato esempio morale ed etico del Profeta – ha iniziato ad assomigliare molto a un “Natale”, completo di allegre insegne al neon, negozi stipati di merci e offerte speciali. Il consumismo di massa – di stile occidentale – ha invaso le vie musulmane.

Chi spende con la carta di credito non se l'è mai passata tanto bene. Il riscaldamento globale è lontano dai pensieri. Ancora più lontane le idee su come passare dall'idea del cambiamento climatico alle azioni per contenerlo: l'enorme ostacolo successivo, anche in paesi come la Gran Bretagna , dove l'argomento si è almeno conquistato le prime pagine.
A dire il vero, lo spirito del Ramadan continua a vivere, come dimostrano le moschee affollate, le notevoli dimostrazioni di generosità e donazioni, gli atti di sincera pietà. Ma il degrado è cominciato. I valori tradizionali si scontrano con la cosiddetta cultura globalizzata, e i vistosi elementi di attrazione – status , ricchezza,vita lussuosa – del consumo di massa, e i musulmani devono sforzarsi anche di più per dare significato profondo ai propri principi. Dopo tutto l'Islam, come recita l'abituale cliché musulmano, non è semplicemente una religione, ma un modo di vita. Una battaglia condivisa da tutte le persone di fede: da Londra a Lahore.

Cosa fanno i musulmani in Gran Bretagna? Lo scorso Ramadan, un gruppo di giovani attivisti dell'innovativa Islamic Foundation for Ecology and Environmental Sciences (Ifees) ha organizzato la seconda “ Organic Iftar ” annuale. Semplici i presupposti dell'evento: ci sono poche cose più giuste e gradite dell'offrire cibo e bevande che aiutino un fratello musulmano a chiudere la giornata di digiuno: così i musulmani di Londra erano invitati a riunirsi nell'atrio dell'Università, ma portando solo cibi biologici, preferibilmente piatti fatti in casa, per lo scioglimento del digiuno. I pasti erano preceduti da alcune opportune puntualizzazioni sui rapporti fra Islam e ambiente, sul dovere di tutti gli esseri umani di rispondere alla responsabilità affidata da Dio di salvaguardare il pianeta.
L'anno precedente, la medesima manifestazione aveva attirato una decina di persone. Stavolta era affollatissima. Erano oltre 150 accalcati per stare in piedi nell' auditorium ad ascoltare lo studioso di Cambridge Abdal-Hakim Murad e Jeremy Smith di The Ecologist discutere sul tema “ Siamo ciò che mangiamo ”. Al pranzo che è seguito, c'era una lunga fila di affamati ma rigorosamente biologici musulmani ad aspettare pazientemente qualche boccone. Pochi se ne sono andati insoddisfatti. Gran parte sorpresi dall'incredibile partecipazione. Si è iniziato subito a discutere di un evento ancora più ampio e autorevole per il prossimo anno. Gli organizzatori erano in estasi.
Al dibattito, lo studioso Abdal-Hakim notava come nonostante colpisca la grande importanza conferita dal Corano alla natura e ai suoi equilibri, i musulmani moderni trovino difficile estrarne dei significati attuali. La realtà attorno a noi appare tanto differente. Forse c'è proprio questo alla radice delle scarse riflessioni dei teologi musulmani per quanto riguarda la protezione dell'ambiente, il cibo biologico, l'allevamento degli animali e così via. Abbiamo un testo che offre terreno fertile allo sviluppo di una profonda e straordinaria teologia della natura: un contributo che potrebbe risultare centrale alla percezione dei musulmani in tutto il mondo, ha indicato Abdal-Hakim. Ma è un sintomo della grave crisi della religiosità che si è insinuata nel mondo islamico, il fatto che le nazioni apparentemente più religiose siano anche quelle coi più gravi problemi sanitari. L'Arabia Saudita, ad esempio, seconda nel mondo per l'incidenza del diabete.
Il successo di Organic Iftar è indicativo di due tendenze correlate. In particolare i musulmani più giovani e politicizzati stanno diventando consapevoli che l'Islam chiama i suoi seguaci ad essere attivi sulle questioni ambientali, in quanto guardiani e responsabili del creato. Essi ritengono anche che, con qualche rara e lodevole eccezione come la Ifees , i musulmani sinora abbiano fatto molto poco in termini di azione collettiva, sia per impegnarsi direttamente nel chiedere un'inversione politica sul tema, sia, cosa più importante, per contribuire direttamente a costruire città sostenibili.


Sacro equilibrio

Per gran parte dei musulmani, l'Islam è molto più che non una semplice identità culturale o politica. La religione conta molto, e dunque qualunque argomentazione motivante sull'attivismo ambientalista deve avere un nucleo centrale che attinge alla dimensione sacra. In altre parole c'è l'aspetto spirituale, al cuore dello “ambientalismo islamico”. La natura è una sacra rete di correlazioni, sottilmente equilibrate e risonanti della vita divina. Come dice il Corano “Sole e luna seguono il proprio corso precisamente coordinate, e stelle e piante si inchinano a adorare i cieli, Dio li ha creati e posti in equilibrio. Non peccare contro questo equilibrio”.
Trasgredire l'equilibrio è commettere un crimine contro Dio. Anche le altre creature che abitano questo vasto e sacro regno non sono considerate casuali. “Non ci sono animali che si muovono sulla terrà né uccelli che volano con le proprie ali, che non siano parte della medesima nostra comunità” ci ricorda il Corano. Quando distruggiamo l'ordine naturale, sconvolgiamo comunità complesse e diverse quanto la nostra. Il Profeta Maometto una volta disse: “La terra è come la madre: vieni da lei, e tornerai a lei”.
Si tratta di un rapporto molto stretto. Inquinando la fonte della vita e apportando danno alla Terra, danneggiamo in modo irreparabile noi stessi. Uomini e donne di fede non si sono mai visti come cosa separate dall'ambiente. Sono sempre stati in armonia con l'ordine naturale, e il movimento del sole, della luna, delle stelle ha guidato le loro devozioni. La realtà del cambiamento climatico e altre “scomode verità” indicano quanto si sia sconvolto l'ordine sia materiale che spirituale della Terra.

E dunque come recuperare questo legame? Per dirla con le parole di Abdal-Hakim Murad: “Il Profeta Maometto ha dato alla gente qualcosa che possono rendere attuale nel mondo contemporaneo, una forma di vita che consenta di ricollegarsi alla natura. Cosa possiamo offrire al mondo attuale?”
Come risposta, dà alcune indicazioni pratiche. “Troppo spesso ci lamentiamo stando ai margini. Non ci può essere un atteggiamento di puro rifiuto luddista. Dobbiamo chiedere alle persone di rendersi riconoscibili in quanto esseri umani al centro del mondo d'oggi. I musulmani digiunano, uno dei più antichi riti dell'uomo, forse come in nessuna altra tradizione sacra al mondo. Noi non preghiamo secondo tempi stabiliti da una remota gerarchia, ma secondo il ritmo del pianeta che sta sotto ai nostri piedi, del sole e della luna. Rompiamo il digiuno quando il sole cala dietro l'orizzonte, e non c'è alcuna manipolazione che possa alterare tutto questo. Essere immersi nella tradizione del Profeta Maometto, che la pace sia con lui, significa essere immersi nel mondo naturale. Questo è il tipo di voce musulmana che credo si debba ascoltare. Dobbiamo esistere, nelle cose che diciamo e facciamo, nel nostro stile di vita, per essere testimoni viventi di una forma di esistenza genuinamente pre-moderna. Guidiamo macchine, diventiamo professori, usiamo i computers: ma nei comportamenti base dell'esistenza seguiamo un tipo di vita pre-moderna”.


La parola sulla strada

Si tratta di un messaggio pratico che ha vasta eco per la nuova generazione di ambientalisti musulmani. A Londra, è nato un gruppo locale dal lavoro della Ifees. Il London Islamic Network for the Environment (LINE – www.lineonweb.org.uk ), fondato dall'attivista World Development Movement ed ex responsabile di progetto per la Ifees , Muzammal Hussain, mira a tradurre in pratica il messaggio a livello di base: attraverso iniziative locali e campagne in cui chi partecipa si sporchi un po' le mani.
Prendendo a prestito dall'approccio di altri movimenti base per la giustizia sociale, Hussain ha mirato a organizzare un impegno costante, con incontri mensili e collegamenti ad altre campagne, con partecipazione specificamente islamica a eventi quali la marcia Campaign for Climate Change del mese di marzo. Sia Line che Ifees collaborano con London Sustainability Exchange (LSx) in un progetto innovativo a Tower Hamlets, a sostenere sermoni del venerdì su problemi specificamente ambientali.
L'approccio locale di Line e la politica della porta aperta di Hussain hanno fatto sì che l'iniziativa si sia replicata nelle Midlands (Mine), a Sheffield (Shine) e nel Galles (Welcome).
Hussain e altri comprendono l'importanza dell'agire ampio e collettivo. I giovani attivisti musulmani possono essere ispirati e guidati dalla propria fede, ma devono anche collaborare con gli altri ambientalisti, coi gruppi di giustizia sociale e su problemi specifici, per i cambiamenti che desiderano.
Parte di tale lavoro, in particolare sul cambiamento climatico, assumerà esplicitamente forme inter-religiose. Il prossimo autunno, Islamic Relief, la più importante organizzazione senza scopo di lucro solidale musulmana internazionale del Regno Unito, parteciperà a una marcia sul cambiamento climatico organizzata da Christian Aid: un grande evento a mostrare come le persone di fede possano presentarsi in pubblico insieme per una causa.

… La spinta a mobilitare le comunità musulmane sul cambiamento climatico o altre questioni ambientali non deve essere un fatto tribale. Non si tratta di un problema dei soli musulmani: è davvero un fatto globale. I disastri ecologici non fanno differenze. L'ambientalismo islamico deve mantenere universalità e spirito di collaborazione. La fede deve essere di guida e ispirazione. Deve anche unire: cuori, menti, sforzi.

di Fareena Alam , Abdul-Rehman Malik - Da Green Futures - Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini
Nota: il testo originale inglese anche sul mio sito Mall, sezione Environment (f.b.)