Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Nostro signor Don Chisciotte

Nostro signor Don Chisciotte

di Marcello Borga - 06/04/2007




Quello di don Chisciotte è uno dei quattro miti fondanti dell’Occidente, di quella civiltà che Splengler ebbe a definire “faustiana”, basata cioè sulla “azione” e non sulla “contemplazione” come le civiltà dell’Oriente, ad eccezione del Giappone. E’ curioso notare che di questi quattro miti fondanti, due (don Chisciotte e don Giovanni) sono spagnoli e altri due (Faust e Amleto) nordici. Ramiro de Maeztu, vide in don Chisciotte il simbolo dell’amore e in don Giovanni, quello del potere. Mentre il mito di don Giovanni o “don Juan” si è in un certo senso “europeizzato”, in quanto utilizzato anche da scrittori e artisti non spagnoli come Byron, de Musset e soprattutto Mozart, don Chisciotte pur nella sua universalità, resta eminentemente spagnolo, anzi castigliano; espressione con Rancho di quella terra di frontiera e di quello spirito che caratterizzò per sette secoli la “Riconquista”. A quattro secoli dalla pubblicazione della prima parte del capolavoro di Cervantes (1605), poche sono state in Spagna le rievocazioni dell’evento che significa tra l’altro la nascita del romanzo moderno; del primo romanzo moderno in assoluto. Un’eccezione è il saggio di Gabriele Fergola “Nostro Signor Don Chisciotte” edizioni Controcorrente Napoli 2006, pag. 120.
Fergola, ispanista non accademico discepolo del grande ispanista scomparso, Giovanni Allegra, che tra il 1964 ed il 1979, si occupò di ispanistica, sulle colonne del “Roma” diretto da Alberto Giovannini prima e Pietro Buscaroli poi e successivamente dal 1980 sino alla “svolta di Fiuggi” sul “Secolo d’Italia”; affronta il tema del don Chisciotte non sotto il profilo della critica letteraria, ma del significato storico ed esistenziale del capolavoro di Miguel Cervantes, sulle orme di quanto hanno già scritto in proposito, il già citato Maeztu, Miguel de Unamuno, josé Ortega y Gasset e Giovanni Papini. Donde il collegamento, oltre che alla Spagna filippina e prima ancora della “Riconquista”, all’impresa di un secolo antecedente di Colombo, alla quasi coeva epopea dei “conquistadores”, al superuomo di Nietzsche che in Cervantes e nel don Chisciotte, vide dei modelli positivi.
Al mito di Don Chisciotte si riconnette anche l’idea spagnola dell’ “Idalgo” e della nobiltà, non riconducibile al possesso dei beni materiali, donde l’irriducibile contrapposizione della “Hispanidad” al capitalismo di marca anglosassone, frutto di un’etica protestante e calvinista. Dice in proposito Unamuno, in quel commovente romanzo-commento che è “Vida de Don Quijote y Pancho”: “sulla povertà scaturisce la sorte dei suoi vizi e delle sue virtù. La terra che nutriva Don Chisciotte è una terra povera, tanto desolata da secolari piogge, che ovunque sul suolo appaiono le tracce delle sue viscere granitiche”.
L’odierna Spagna socialcapitalista di Zapatero, non pare proprio riconoscersi nella tradizione cervantina e chisciottesca, come in tutta quella della Spagna imperiale e del “Siglo de Oro” : per essa, come dimostrano i film di Almodòvar, i punti di riferimento letterari e artistici sono ben altri, da ricercarsi nei romanzi picareschi anticipatori di un certo “realismo”.