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Grande finanza + industria decotta + ceto politico professionale = Sistema Italia

di redazionale - 10/04/2007

 

 

Gli ultimi episodi della telenovela Telecom, con il colpo di “genio” di Tronchetti-Provera che tenta di accordarsi con gli americani di AT&T per strappare 2,82 euro ad azione nelle cessione della più grande azienda di telefonia italiana, ha portato nuovamente allo scoperto gli intrighi (la metis) con i quali la Grande Finanza nostrana tenta di controllare tutte le risorse del nostro sistema-paese. Il ceto politico professionale, supino ai grandi gruppi finanziari, con quello di centro-sinistra che è un vero campione di servilismo ammantato d’intellettualismo e di culturalismo “museale”, ha invocato gli interessi supremi della nazione a tutela della discesa dello straniero. Montezemolo, pur discettando sulle grandi “virtù” del mercato, ha sostenuto che il sistema-paese non ne viene fuori bene da questa vicenda, vi è un ulteriore indebolimento dell’Italia con la perdita di un’impresa chiave per i futuri assetti strategici del sistema a tutto vantaggio di concorrenti stranieri. Montezemolo… non s’acquieta  mai, dopo tutti i regali che ha ricevuto dal governo di centro-sinistra! Ha voluto dire la sua anche sul “tesoretto” rinveniente dalle maggiori entrate fiscali, con il segretario di RC Giordano che ha finalmente palesato la nuova via al socialismo del XXI secolo: i capitalisti verranno annientati attraverso un’ overdose di finanziamenti pubblici. Voilà la coerenza rifondarola.

Qualcuno più ardito ha ribadito che questo è il mercato (bellezza!), accade qualche volta di dover tener fede alle sue regole, alle regole della concorrenza che in questo momento vedono gli americani in vantaggio sulle banche italiane, le quali erano già pronte a pregustare l’ennesimo boccone da ottenere con pochi “spiccioli” e la solita compiacenza politica (viva i paladini dell’italianità!). Ci avevano già provato (con in testa la Sanintesa di Bazoli, il padrone di Prodi) qualche mese fa con l’aiuto della solita politica e con un piano (quello Rovati-Goldman Sachs) che le avrebbe messe in condizioni di dare a tutta l’operazione un’aurea di statizzazione grazie alla presenza della CDP (avrebbero peso due piccioni con una fava, da un lato il controllo dell’azienda di tlc e dall’altro l’imprimatur dei soliti allocchi che vedono nel pubblico il miglior contemperamento degli interessi della collettività). Ma il problema, come abbiamo più volte ripetuto, non è nella forma giuridica della proprietà, ci sono imprese come la Finmeccanica che, per quanto a maggiore partecipazione pubblica, sono in grado di aggredire il mercato, di muoversi strategicamente su più scenari e di farsi valere anche all’estero senza poggiarsi alla stampella statale, e poi ci sono imprese private come la Fiat che drenano risorse allo Stato, chiedono condizioni di favore sul mercato interno ed alle prime difficoltà impongono agli organi politici di socializzare le perdite (perché è questo che avviene quando lo Stato paga la mobilità lunga della Fiat) dopo che non sono stati in grado d’investire con lungimiranza i profitti (privati).

Ma quando, come nel caso di Telecom, i coperchi volano in aria per la troppa pressione (leggi interessi contrastanti) si può guardare più facilmente nelle pentole, e non sarà complicato capire cosa si nasconde dietro le ricette di questi capitalisti da strapazzo. Chi non ricorderà Tronchetti-Provera mentre, in una comunicazione interna ai dipendenti, ripeteva infastidito che la Telecom era un’azienda sana, che nella Telecom non si spiava nessuno e che tutto procedeva per il meglio. Tronchetti doveva, invece, pararsi il culo quotidianamente perché era ossessionato dai nemici, si era trovato a gestire una grande impresa con un pacchetto di maggioranza infimo (18% tramite Olimpia) controllato attraverso un complesso gioco di scatole cinesi che, comunque, non lo metteva al riparo da eventuali scalate. Tronchetti teneva sotto stretta osservazione persino il presidente dei piccoli azionisti tanto temeva di essere buttato fuori da un’azienda nella quale giornalmente distruggeva valore. E poi si guardava bene anche dai suoi stessi “falsi fratelli”, i suoi compari dell’establishment, pronti a fargli le scarpe al primo abbassamento degli scudi (è il conflitto strategico interdominanti bellezza!).

Oggi che molte cose sono venute allo scoperto, adesso che diviene più difficile nascondere il modus operandi del nostro capitalismo, molti imprenditori si decidono a parlare. Ieri (07.04.07) su Libero è stata pubblicata una succosa intervista all’ex Presidente di Confindustria Antonio D’Amato il quale si è lasciato andare ad uno sfogo sensatissimo sul funzionamento del sistema-Italia. Ne’ più ne’ meno delle cose che andiamo ripetendo da mesi sul blog circa l’esistenza di un nucleo duro finanziario-industriale che controlla il ceto politico-professionale tanto di destra che di sinistra, questa "accolita" finanziaria che gode di privilegi insormontabili e che declina, secondo le sue strettissime esigenze, la politica economica di questo paese. Certo noi del blog non abbiamo mai pensato che le regole del mercato fossero la soluzione ai problemi del capitalismo italiano, né, tanto meno, per dirla alla Hobson, che esiste un discrimine certo tra concorrenza leale e concorrenza sleale, tuttavia certi aspetti erano così palesi che solo il comunista medio-identitario non li vedeva (o non li voleva vedere). Innanzitutto D’Amato parla di un vero e proprio sistema duale che favorisce il vecchio establishment e strangola il resto dell’imprenditoria italiana. La vicenda Telecom ha tirato in ballo questi grandi interessi, nonché il favore giornalistico che li accompagna poichè tutta l’editoria italiana è nelle loro mani. In secondo luogo, la vicenda Telecom ha portato alla luce, se mai ce ne fosse stata necessità, gli intrighi banco-industriali-pilitici-editoriali sul quale si regge il sistema-Italia. Volendo riportare il tutto nel nostro linguaggio esiste un connubio strettissimo tra Grande Finanza Industria Decotta (+apparati politico-statali) che sta asfissiando il nostro paese per ragioni di sopravvivenza propria e che sta costringendo l’Italia ad una decadenza irrefrenabile. Parola di Antonio D’Amato. D’Amato è un fiume in piena, se la prende con questo sistema “banco-industriale” arroccato dietro il cosiddetto salotto buono, che di buono e di nobile non ha proprio nulla. I metodi attraverso i quali questi lestofanti hanno agito e continuano ad agire sono ben più che risaputi: ferrei patti di sindacato (vorremmo ricordare che i patti di sindacato sono una creatura tutta italiana e  un’invenzione del “Grande Vecchio” della finanza, Cuccia) che rendono inattaccabili all’esterno le maggiori imprese spesso detenute attraverso pacchetti azionari di minoranza, complessi sistemi di scatole cinesi, ricatti espliciti nei confronti dei recalcitranti e degli imprenditori non allineati, grandi risorse distratte dagli investimenti per corrompere e fare pressione sugli organi di vigilanza del mercato, sulla politica, sull’editoria, ecc. ecc.. Inoltre, mentre all’ estero questi gruppi sono spesso costretti a dismettere le proprie partecipazioni per incapacità ad aggredire il mercato e per assenza di politiche industriali con conseguenti irretimenti provenienti da lunghissime catene del debito, in Italia continuano a conquistare potere perché agiscono come vere e proprie mafie (ed ogni tanto ci scappa pure qualche morto). D’Amato fa anche presente che il gruppo di potere che governa l’Italia, stretto nel patto di sindacato di RCS, si serve abilmente di un ceto di produttori di ideologia (giornalisti e intellettuali) attraverso i quali si garantisce o il silenzio o i facili ditirambi. Basta guardare alla Fiat pre-ripresa la quale, nonostante fosse sull’orlo del fallimento, non pensò mai di dismettere la propria partecipazione nel Corriere della Sera-RCS poichè da lì poteva ancora lanciare minacce, avvertimenti, invettive, il tutto al fine di determinare il clima più adatto per ottenere ulteriori aiuti di Stato e il consenso dell’opinione pubblica. L’establishment “mediatizzato”, così lo chiama D’Amato.

A questo sistema di potere non ha potuto resistere nessuno, persino la politica si è accodata in maniera perfettamente trasversale, da destra a sinistra. Quest’ultima ha sicuramente le responsabilità maggiori nell’attuale sfacelo industriale, per il sostegno dato al sistema banco-industriale che disgrega il sistema-paese. Dapprima si è data la possibilità alla SanIntesa di spadroneggiare nel campo finanziario, poi si sono favoriti i soliti industriali decotti, con Montezemolo che agitava una mano in segno di protesta mentre con l’altra arraffava lo “scivolo” pensionistico, la rottamazione, il cuneo fiscale ecc. ecc.. Ma perché se un’azienda è davvero risanata ha ancora bisogno della stampella statale?

Se la Telecom si trova in queste condizioni è perché, dopo la sua privatizzazione, si è agito con lo stesso sistema binario di sempre, favorendo i soliti gruppi di potere collegati a doppio filo ai potentati politici, così è potuto accadere che Tronchetti-Provera si è trovato padrone di una delle più grandi aziende italiane con un investimento proprio dello 0,6%. Ma mentre Tronchetti distruggeva valore dov’erano le autorità di vigilanza? E le banche che detenevano le partecipazioni? E la stampa sempre tanto attenta al conflitto d’interessi di Berlusconi?

Secondo D’Amato, da come queste banche si muoveranno in questi giorni si potrà capire se davvero ci sarà un’inversione di tendenza (povero illuso!). Forse la soluzione migliore sarebbe quella di un OPA alla luce del sole che tenga conto anche degli azionisti di minoranza. Per noi la soluzione migliore è un bel repulisti che ci sbarazzi di questo ceto politico asservito alla GF e alla ID.

Nel bailamme dei colpi di scena anche l’uomo che Tronchetti aveva posto alla presidenza di Telecom è stato cacciato. Quel Guido Rossi salvatore della patria (chiamato a rapporto tutte le volte che qualcosa si rompe nei meccanismi oliati di questo sistema di potere) che oggi sbatte la porta disgustato sostenendo che si è in clima da Chicago anni ’20, per cui sarebbe necessario l’intervento della magistratura. Perché non dirlo prima mentre s’immergeva nelle scartoffie di Telecom? Bella scoperta, caro Sig. Rossi, peccato che queste bande rivali di lestofanti ti chiamano ogni volta che cominciano a litigare tra loro, come mai? E perché tutte le volte accetti i compensi che questi contrabbandieri corrotti ti promettono? Ti considerano un “amico” e non sputare nel piatto dove mangi, orsù fai il bravo che tanto qualche altro “scandaletto” scoppia e tu, di nuovo, potrai mettere le cose a posto. Naturalmente ben retribuito.