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Un filosofo contro la banalizzazione della vita: Baudrillard

di Robertino - 10/04/2007

 


Un paio di settimane fa un lunedì La Stampa dedicava le sue prime quattro pagine alle cosiddette "stragi del sabato sera". Tra gli articoli dedicati agli incidenti stradali che "insanguinano le strade italiane nel week end" c'era un piccolo dato nascosto in mezzo alle tabelle e ai grafici coloratissimi e spesso incomprensibili che negli ultimi anni sono diventati una vera e propria fissa dei quotidiani nazionali. C'era scritto che, secondo le statistiche, la fascia oraria in cui avvengono la maggior parte degli incidenti mortali è quella compresa tra le 17 e le 18 seguita immediatamente da quella tra le 7 e le 8 del mattino. Questo piccolo dato non veniva citato naturalmente in nessuno degli articoli che lo circondavano. Visto che in quegli orari nessuno torna dalle discoteche o dai pub e in pochissimi hanno già iniziato ad ubriacarsi, sarebbe apparso probabilmente una smentita troppo plateale dell'orgia di parole che attribuiva con assoluta certezza ad alcool, droghe, notti danzanti e frenesia giovanile la responsabilità delle morti sulla strada. Contestualizzando la cosa, peraltro, sarebbe stato facile spiegare perché di primo mattino e di pomeriggio muoiono più persone sulle strade che sulle notte brave del week-end (dicendo, ad esempio, che mattina e pomeriggio sono i momenti della giornata in cui circolano più vetture), ma questo forse sarebbe bastato ad insinuare il dubbio se valga più la pena di morire per andare a lavorare o per andare a divertirsi e soprattutto avrebbe stravolto il senso generale del discorso inserendo degli elementi di ragionamento in un guazzabuglio isterico che si tiene insieme proprio attraverso l'assenza di qualunque elemento critico.
Se quella mattina Jean Baudrillard avesse letto La Stampa (il quotidiano, peraltro, che pubblicava spesso i suoi saggi in edizione italiana), vi avrebbe trovato conferma della sua tesi secondo cui il sistema mediatico non serve certo a produrre ragionamento, ma piuttosto a fornire un'informazione pilotata e fortemente "emotiva" che ha come obiettivo quello di suscitare "adesione" ai valori e all'ideologia dominanti.
Baudrillard, recentemente scomparso, era nato nel 1929 a Reims in Francia: dopo aver iniziato la sua formazione come germanista (svolgendo,tra l'altro, un'intensa attività di traduzione delle opere di Bertolt Brecht), aveva diretto i propri interessi verso la sociologia. Definirlo un sociologo è tuttavia estremamente riduttivo: Baudrillard è stato un autore molto prolifico che ha pubblicato oltre trenta libri e commentato alcuni dei fenomeni culturali più salienti dell'epoca contemporanea, inclusa l'eliminazione delle distinzioni di genere, razza e classe sociale che avevano strutturato le società moderne, eliminazione che si è avuta con l'entrata in una nuova società postmoderna, governata dal consumo, dai media e dall'alta tecnologia. Ha scritto inoltre sui ruoli mutevoli di arte ed estetica, sui cambiamenti fondamentali nella politica, nella cultura e negli esseri umani e anche sull'impatto dei nuovi media, dell'informazione e delle tecnologie cibernetiche nella creazione di un ordine sociale qualitativamente differente e che presenta dei cambiamenti sostanziali nella vita umana e sociale. Concentrando la sua attenzione sull'analisi della società dei consumi, dei suoi miti e delle sue strutture, ha dimostrato come il consumo sia diventato un "linguaggio sociale" che tende ad aumentare i desideri degli individui piuttosto che a soddisfarli. Nel mondo contemporaneo si assiste ad una dematerializzazione della realtà e l'attenzione dell'uomo è distolta dal mondo naturale e concentrata sulla televisione, sul mondo della comunicazione che è divenuta un valore assoluto, un obiettivo in sé. I vecchi miti sono stati rimpiazzati e la società è, secondo Baudrillard, dominata da una ideologia fondata sull'"estasi della comunicazione".
Nella tempesta mediatica che copre le nostre vite, le masse cercano un'immagine e non un significato. In questo modo implodono in una "maggioranza silente", che rappresenta "la fine del sociale", nel momento in cui i significati, le classi e le differenze implodono in un "buco nero" di non-differenziazione. Nella nostra società del benessere diffuso, infatti, sfruttamento, violenza, miseria, ignoranza non sono affatto scomparse, ma fanno parte di una realtà quotidiana che gli uomini finiscono per non vedere annebbiati dalle "strategie fatali" (come le definisce nel suo omonimo libro uscito) e 'rassicuranti' con cui il potere difende se stesso.
Critico tagliente della società capitalista, Baudrillard fu sin dalla fine degli anni Sessanta anche un duro critico della società sovietica.
Se lo stallo della Guerra Fredda rafforzò per molto tempo in lui l'idea che si stesse stabilendo una "storia congelata" in cui nessun cambio significativo potesse avere luogo, presto la sua critica si rivolse non solo verso il capitalismo di stato dell'Europa dell'Est, ma anche verso la dottrina marxista in genere. Se, infatti, "l'economia che governa le nostre società risulta da una appropriazione indebita del principio umano fondamentale, che è un principio solare di consumo", non solo gli imperativi capitalisti di lavoro, profitto e risparmio sono implicitamente 'innaturali' e vanno contro la natura umana, ma è anche evidente che la critica marxiana del capitalismo attacca solamente il valore di scambio, mentre esalta il valore d'uso e quindi il profitto e la razionalità strumentale, cercando in tal modo "un buon uso dell'economia". Secondo Baudrillard, "il marxismo è quindi solo una limitata critica piccolo-borghese, solo un passo in più verso la banalizzazione della vita". Al contrario di molti altri intellettuali, Baudrillard non esultò più di tanto per la caduta del Muro di Berlino. A suo giudizio questo avvenimento era piuttosto utilizzato dalle "sirene del potere" per far credere che l'era delle "idee forti", di un mondo conflittuale di rivoluzione ed emancipazione universale, era finita. Secondo Baudrillard, il comunismo crollò a causa della sua stessa inerzia, si autodistrusse dall'interno, implose, più che morire nella battaglia ideologica o nella guerra militare e con l'integrazione degli ex regimi comunisti nel sistema del mercato mondiale capitalista e della democrazia liberale, il messaggio dell'ideologia dominante era che non c'era più nessuna tensione creativa o ideologica, né una alternativa globale al mondo occidentale. Nei "mondi mediatici e computerizzati", alle persone viene lasciata solo la possibilità di immergersi in "eventi simulati" (come definisce, tra gli altri, la guerra del Golfo nel 1991, i processi di O.J. Simpson tra il 1994 e il 1996, gli scandali a sfondo sessuale del presidente Clinton e gli attacchi terroristici dell'11 settembre nei primi giorni del terzo millennio) che in realtà sono "eventi deboli", poiché gli eventi veri (quelli che mutano lo stato delle cose) sono ancora "in sciopero" e la storia era scomparsa davvero.
Queste sue posizioni negli anni crearono sempre più scandalo, in particolare quando, subito dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, Baudrillard scrisse un articolo, Lo spirito del terrorismo pubblicato il 2 novembre 2001 su Le Monde. In questo articolo, che divenne poi uno dei libri più provocatori e controversi sul terrorismo, Lo spirito del terrorismo: requiem per le Torri Gemelle (2002), sosteneva che gli attacchi dell'11 settembre rappresentavano un nuovo tipo di terrorismo, che mostrava una "forma di azione che sta alle regole del gioco del potere dominante". Al Qaeda aveva usato gli aeroplani, i computer e i media, associati alle società occidentali, per produrre uno spettacolo di terrore. Gli attacchi avevano evocato uno spettro di terrore che faceva credere che il sistema stesso della globalizzazione e il capitalismo e la cultura occidentali fossero minacciati dallo "spirito del terrorismo" e da possibili attacchi in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Dal suo punto di vista, "il terrorismo non è una forma contemporanea di rivoluzione contro l'oppressione e il capitalismo", ma "nei discorsi e i commenti fatti dopo l'11 settembre  (..) la condanna morale e l'unione sacra contro il terrorismo sono direttamente proporzionali alla prodigiosa esultanza provata nell'aver visto questa superpotenza globale distrutta". È questa stessa esultanza negata e nascosta a creare paradossalmente le condizioni per cui l'intellighentzia ha sostenuto con ardore la causa della Guerra Infinita proclamata da Bush Junior (e che secondo Baudrillard era uno degli obiettivi di Bin Laden e dei suoi seguaci, che a suo giudizio speravano proprio che il sistema reagisse in maniera spropositata in risposta alle loro sfide). A suo giudizio, d'altra parte, dietro ogni mobilitazione di massa lanciata dai media (non solo l'appoggio alle nuove USA, ma anche ad esempio le commemorazioni e le donazioni di massa per le vittime dello tsunami ed altri eccessi), non è altro che un mezzo osceno dell'estensione totalitaria finalizzata ad ottenere una coesione sociale. La società globalizzata rappresenta a suo giudizio il grado zero della libertà nel mondo occidentale. Come scrive, infatti, ne La violenza del Globale, bisogna distinguere tra il globale e l'universale, associando la globalizzazione alla tecnologia, al mercato, al turismo e all'informazione, in opposizione all'identificazione dell'universale con "i diritti umani, la libertà, la cultura e la democrazia." Mentre "la globalizzazione sembra essere irreversibile, [...] è probabile che l'universalizzazione sia sulla via del tramonto". Così, "l'idea di libertà, un'idea recente, sta già svanendo dalle menti e dalle usanze, e la globalizzazione liberale sta prendendo una forma totalmente opposta – indicativa di una globalizzazione da stato-poliziotto, di un controllo totale, di un terrore basato su misure volte al mantenimento dell'ordine pubblico. La deregolamentazione si risolve in un valore massimo di obblighi e restrizioni, simile a quelli della società fondamentalista". L'unica speranza è affidata alla capacità degli uomini di sottrarsi alle seduzioni dell'ideologia dominante, "essendo disincantati senza diventare cinici e rimanendo appassionati senza trasformarsi in fanatici".