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Per una sinistra reazionaria. Contro il pensiero unico progressista (recensione)

di Luca Ricolfi - 12/04/2007

Contro il pensiero unico progressista per una politica più austera, meno buonista, meno permissiva
Leggendo il pam-phlet di Bruno Arpaia Per una sinistra reazionaria (Guanda, pp. 182, e12), mi è tornata alla mente la famosa vignetta di Altan: «Alle volte mi vengono delle idee che non condivido». Arpaia è coraggioso: sa benissimo che le sue idee non saranno considerate di sinistra, ma ha deciso - almeno lui - di non censurarle. Ha deciso di condividerle, e di raccontarcele.

Arpaia non auspica la nascita di una sinistra conservatrice, sarebbe banale e già visto, specie in Italia. Fu lo stesso Berlinguer, più di vent'anni fa, a definire il suo Pci partito «rivoluzionario e conservatore». E infatti oggi - anche grazie a quell'eredità - una sinistra conservatrice esiste già. È la sinistra che, all'alba del terzo millennio, continua a definirsi orgogliosamente comunista; è la sinistra che dopo la caduta del muro di Berlino si oppose strenuamente alla trasformazione del vecchio Pci nel (nuovo?) Pds; è la sinistra che ora - forse ancor più strenuamente - si batte contro quella che a essa appare una sorta di «soluzione finale»: l'annacquamento dei Ds, ossia del maggiore partito post-comunista, nel grande calderone del Partito democratico. Quel tipo di sinistra, che va da Rifondazione ai Comunisti italiani, dalla Cgil al Manifesto, è conservatrice non perché le piaccia il capitalismo, ma perché pensa che quasi tutti i cambiamenti che si annunciano in campo economico-sociale siano destinati a peggiorare le condizioni di vita delle «grandi masse lavoratrici». Dunque, se cambiando si va indietro, meglio stare fermi. Meglio una sinistra conservatrice che una sinistra modernizzatrice.

L'idea di una sinistra reazionaria, invece, è nuova di zecca, o forse non è nuovissima, ma nessuno aveva mai osato formularla in modo così chiaro. Già, perché il pamphlet di Arpaia non è una provocazione, l'enunciazione di un paradosso. Per una sinistra reazionaria è un libro serissimo, ed è questo il suo bello. Arpaia pensa davvero che la sinistra debba salvare l'umanità da sé stessa, e che per farlo debba diventare reazionaria, ossia più austera, più rispettosa della tradizione, più sobria, meno attaccata al benessere, meno indulgente, meno permissiva, meno buonista. E lo dice a chiare lettere, protetto da un muro di citazioni di autori amici e nemici, ma comunque quasi sempre molto accreditati. Quattro mi sembrano i pilastri dell'argomentazione di Arpaia: la critica del pensiero unico progressista (che accomuna socialisti e liberali), il recupero del concetto di comunità, la rivalutazione dell'autorità, la difesa di un'idea alta di democrazia e di partecipazione. Come si vede, un mix piuttosto inedito, anche se in qualche misura già presente in autori eretici o inclassificabili: Pier Paolo Pasolini, Alain Caillé, Franco Cassano, Marcello Veneziani, Alain de Benoist.

L'idea di fondo di Arpaia è che la sinistra dovrebbe smettere di inseguire i miti del progresso, della modernizzazione e del mercato non solo sul terreno economico ma anche su quello dei diritti. Accettare la decrescita del benessere, perché a questi ritmi di sviluppo del prodotto e della popolazione si va verso il disastro ecologico. Ma anche fermare la moltiplicazione delle pretese individuali, perché la deriva narcisistica e anti-autoritaria del nostro tempo è andata oltre il limite. Ritrovare il senso del «noi», e per questa via anche forme nuove di partecipazione, di democrazia, di progettazione collettiva.

È convincente il libro di Arpaia? Dipende da come lo leggi. Se lo leggi come uno sguardo sulle cose, una confessione, una finestra sul mondo interno di uno scrittore, non puoi che ammirarne la sincerità, il coraggio, la nobiltà d'animo. Ci sono pagine, come quelle sulla lentezza, o sugli scherzi della memoria, o sul valore del raccontare, che sono magnifiche e cristalline.

Se lo leggi come una analisi sociale, o come una proposta politica, le perplessità non possono mancare, com'è ovvio. Ogni lettore avrà le sue, e anch'io ne avrei (almeno) una: in Italia la sinistra che c'è ha ben poco di liberale, se per liberalismo intendiamo anche il rispetto della tradizione, l'eguaglianza dei punti di partenza e la promozione del merito (una parola, quest'ultima, che non compare neppure una volta in tutto il libro). Il fatto è che di liberalismi ce ne sono almeno due: quello continentale, figlio dell'illuminismo razionalista francese, che ha divinizzato la ragione, i diritti individuali, la laicità; e quello anglosassone, figlio dell'illuminismo empirista scozzese, più pragmatico, più aperto alla tradizione, più consapevole dei limiti della ragione umana. Detto in altre parole, la proposta politica di Arpaia è (forse) anti-liberale, ma la via da lui tracciata non è l'unica per prendere le distanze da una sinistra che non ci piace.

La lettura più probabile del libro, già me lo sento, sarà però un'altra. Si dirà che il suo è il solito romanticismo anti-moderno, anti-capitalistico, anti-illuminista. Su questo mi sento di rassicurare il lettore: sì, alcuni ingredienti classici ci sono, ma il piatto è molto più saporito.

Autore: Bruno Arpaia
Titolo: Per una sinistra reazionaria
Edizioni: Guanda
Pagine: 182
Prezzo: 12 euro