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"Democrazia per uomini bianchi". Gli italiani e il Partito Democratico, secondo Scalfari e D'Avanzo

di Carlo Gambescia - 16/04/2007

 

Lo sappiamo. Certi commenti giornalistici annoiano i lettori, perché spesso risultano criptici e autoreferenziali. Ma talvolta, leggendoli con attenzione, all’improvviso tutto può apparire più chiaro. Come in quei vecchi western di John Ford, quando all’improvviso una porta si spalanca sui cieli della prateria e la macchina da presa inizia ad allargare… Ad esempio, ieri, su Repubblica, sono usciti due “illuminanti” editoriali di Eugenio Scalfari e Giuseppe D’Avanzo. E spieghiamo subito perché.
Nel commento di D’Avanzo si critica l’inciviltà e la “divisività” degli italiani, finora incapaci di “mettere qualcosa in comune”. Nell’altro, Scalfari evoca la nascita del Partito Democratico, come autentico fattore di civiltà e democrazia. Se ci si passa la battuta, probabilmente osé, l’articolo di D’Avanzo traccia il solco (“mettere [finalmente] qualcosa in comune”), e quello di Scalfari lo difende, designando nel Partito Democratico, l’unica via di progresso. In apparenza gli articoli non sembrano collegati, anche i toni sono diversi: sommesso quello di D’Avanzo: da enciclica, come suo costume, quello di Scalfari. Ma entrambi - ecco che pian piano si dischiude la porta sulla prateria - si mostrano fedeli a un’idea di democrazia, come dire, per soli “uomini bianchi”.
Sono note le inclinazioni liberiste del fondatore di Repubblica, fin da quando “la sera andava in via Veneto”… Per Scalfari la modernità democratica coincide con la libertà di mercato. Perciò il nascente Partito Democratico, come si evince dal suo editoriale, non potrà non essere liberista perché moderno, e viceversa… Ma una democrazia basata sulla flessibilità economica e l’insicurezza sociale, può essere definita moderna e “democratica”? E dunque aperta a tutti? Scalfari ritiene di sì. Però - ed è un “però” grande come una casa -, per lui, prima viene il mercato, dopo l’uomo; prima i doveri (economici), poi i diritti (sociali). Giuseppe D’Avanzo, da par suo, per criticare la democrazia sociale si appoggia a Massimo Cacciari e alla sua demolizione dell’homo democraticus: un mostriciattolo che anteporrebbe, guarda caso anche per Cacciari, i diritti (sociali) ai doveri (economici). D’Avanzo, in particolare, insiste sulla “divisività” e "cattiveria" degli italiani, come “ più vitale e antica linfa”. Un' asserzione decisamente infelice. Ma di nuovo illuminante. E per due ragioni.
Prima ragione. Una visione dell’ uomo (italiano) di tipo hobbesiano, può costituire la base ideale per la democrazia? No. Si dirà che stiamo volando troppo alto: perché scomodare l’alta filosofia politica per Scalfari e D’Avanzo? Invece una ragione c’è. Perché la credenza in una visione belluina dell’uomo implica inevitabilmente come corollario l’uso di misure ferree, per tenerlo a bada… Hobbes, infatti, invocava il potere assoluto del sovrano. Certo su basi contrattuali… Dopo di che, però il potere ( delegato per contratto), reprimeva senza pietà divisioni e contrasti. Perciò, senza voler precipitare troppo le cose, va presa in seria considerazione la possibilità, qualora prevalesse la tesi hobbesiana caldeggiata da Scalfari e D’Avanzo, di un Partito Democratico disposto a puntare sull’accrescimento dei poteri pubblici, ma - attenzione - per favorire il mercato... E così “modernizzare” i “cattivi” italiani, facendoli diventare “buoni”, perché finalmente ligi alle “regole” del mercato capitalistico. Si tratta, ovviamente, di una scelta contraddittoria, che alla lunga accrescerebbe solo la povertà. Si pensi, infatti, agli esiti disastrosi del mix (repressione sociale e liberalizzazioni economiche) gestito dal “democratico” britannico Blair. O ai costi sociali provocati dall’impermeabilità del Partito Democratico Usa a qualsiasi critica all'economia di mercato. D’Avanzo, non per nulla accenna - parafrasando involontariamente(?) Rudyard Kipling - alla “missione civilizzatrice” della politica. Attuata, da uomini politici “bianchi” e “illuminati”, votati a elevare i “ nuovi selvaggi”: di qua, i “buoni”, Repubblica, il nascente Partito Democratico, di là i “cattivi”, gli italiani, da incivilire al verbo del capitalismo mondiale… Insomma, manicheismo politico allo stato puro.
Seconda ragione. Il giudizio negativo sugli italiani, verte in Scalfari e D’Avanzo, sulla presunta estraneità dell’italiano alla modernità capitalistica. E di riflesso, si fa coincidere, l’inizio della nostra “cattiveria” con la mancata riforma protestante italiana e il particolarismo politico sviluppatosi nella prima età moderna. Il che è discutibile e pure pericoloso. Soprattutto se un’ opinione storiografica viene trasformata in ideologia politica. Ed è esattamente quel che accade: Scalfari e D’Avanzo nel furore ideologico e settario, tipicamente azionista, di voler trasformare radicalmente l’Italia in un Moderno Paese Capitalista (ma qui si potrebbe risalire fino al giacobinismo italiano e, “svoltando a destra”, addirittura al “modernismo reazionario” del fascismo-movimento), finiscono per dichiararsi disposti a tutto. Anche a sopprimere i diritti sociali. Che per la gente comune, i “cattivi” di cui sopra, refrattari al capitalismo, sono invece una naturale ancora di salvezza, frutto di un giusto compromesso, interno alla società capitalistica. Ecco, allora, riaffiorare il disprezzo degli “uomini bianchi”, di Repubblica, verso il selvaggio uomo comune italiano: quell’homo democraticus , che proprio non vuole capire l’importanza di una preventiva rivoluzione capitalista… E che “colpevolmente” rivendica i diritti sociali. Per farla breve, razzismo politico, e di quello più duro.
Diritti sociali - è bene ricordarlo - che invece affondano le radici nel riformismo socialista, in quello del fascismo-regime” e in quello conservatore (liberale e cattolico) del secondo dopoguerra. Può piacere o meno, ma il Welfare State italiano nasce da questi accoppiamenti in apparenza poco giudiziosi, ma frutto di aggiustamenti storici e non di rotture rivoluzionarie… Basta leggere attentamente la “Parte Prima” della Costituzione italiana, esito di buoni compromessi in favore della socialità. Invece l’azionismo - e ancora prima l’ircocervo liberalsocialista - che sognava di procedere per rotture rivoluzionarie, nel dopoguerra finì inevitabilmente per dividersi tra i seguaci della socialità e del mercato. E Scalfari è ancora dalla parte di questi ultimi: i “buoni”…
Tuttavia, l’ala azionista del Partito Democratico, molto forte soprattutto nella grande stampa, potrebbe venire a patti con l’ala dossettiana , meno amica del mercato, ma altrettanto certa di rappresentare la parte migliore dell’Italia: i "buoni". Per non parlare di eventuali accordi con la palude diessina ed ex democristiana, che invece pensa solo ai buoni affari, ponendosi così "al di là del bene e del male" ...
Un “patteggiamento” a tre o a quattro, ancora meno rassicurante. Ma questa è un’ altra storia.