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Dagli editori di sinistra mi guardi Iddio, che da quelli di destra ci penso io

di redazionale - 20/04/2007





 

Indagine sulla protesta dei giornalisti di Repubblica - Megachip

Lunedì scorso, durante un'infuocata assemblea, i giornalisti di Repubblica hanno indetto sette giorni di sciopero. Non era mai accaduto prima. Il motivo scatenante è stato l'annuncio, da parte della proprietà, che non avrebbe più sostituto i giornalisti assenti per lunghi periodi a causa di gravi malattie, come potrebbe essere un tumore o magari un grave incidente di auto. E' stata l'ultima goccia, quella famosa che fa traboccare il vaso.

Vaso pieno, anzi pienissimo, ormai da tempo. Va detto, infatti, che il proprietario di Repubblica, l'Ingegnere Carlo De Benedetti, noto nel paese come uomo di sinistra, punta di diamante di “Libertà e giustizia” e perfino Tessera Numero Uno del nascituro Partito Democratico, si comporta nella sua attività di editore in modo che davvero ben poco ha a che fare con i principi che ispirano - o magari dovrebbero ispirare - un uomo di sinistra. Da due anni utilizza, ad esempio, tutto il suo peso della Fieg per impedire il rinnovo del contratto dei giornalisti e non si vergogna di spiegare pubblicamente che esso non verrà rinnovato finche' i giornalisti non rinunceranno agli scatti di anzianità che, in modo automatico, rivalutano (di poco, ma in modo certo), i loro stipendi. Sono rimasti gli unici ad avere questi scatti, dice l'Ingegnere, e non si vede perche'. Si vede, invece, e benissimo.

Perchè, se è chiaro che alcuni giornalisti , in virtù di un personale e antico prestigio o di rapporti privilegiati con la classe politica e con la proprietà del giornale, non hanno bisogno degli scatti contrattuali per veder crescere i propri lauti guadagni, è anche vero che alla grande massa dei giornalisti, quelli che non desiderano avere relazioni privilegiate col potere, ma semplicemente fare il proprio lavoro come meglio possono e sanno, e i cui stipendi non sono certo da nababbi, non restano che quegli scatti.

Questo atteggiamento e' esattamente lo stesso che caratterizza i rapporti tra la proprietà e la redazione di Repubblica. C'e' voluta una battaglia campale per ottenere il diritto a stare a casa nei giorni festivi e a vedersi pagare la festività quando si presta servizio. Fino a pochissimi anni fa i giornalisti di Repubblica potevano usufruire solo di tre festività l'anno, le altre erano coperte da un ridicolo forfait a cui l'editore non intendeva rinunciare e che inglobava anche gli straordinari. E se proprio qualcuno aveva bisogno di stare a casa nel giorno di Santo Stefano, ad esempio, beh, prendeva un giorno di ferie.

Non parliamo degli strumenti di lavoro. Solo negli ultimi mesi sono stati distribuiti dei telefoni cellulari ai giornalisti, ma non a tutti. A chi darlo e a chi no, lo decide il padrone. E se poi bisogna rintracciare il giornalista che non ha il telefono in dotazione, lo si chiama sul suo telefono personale, dal quale i giornalisti, peraltro, chiamano anche tutte le persone con cui hanno bisogno di parlare per motivi di lavoro, per un'intervista, per controllare una notizia. Non parliamo neanche di computer, che vengono dati solo agli inviati. E che computer! Una giornalista che subì un furto l'anno scorso ha ritrovato il computer in dotazione nell'androne di casa perché i ladri, dopo averlo guardato, avevano pensato bene di lasciarlo lì.

Dal 1994 in poi i nuovi assunti hanno contratti sempre peggiori, per cui due giornalisti che svolgono lo stesso lavoro ma sono stati assunti in momenti diversi prendono diversi stipendi, hanno diversi obblighi e ricevono un aggiornamento culturale dimezzato (che è in sostanza l'unico benefit della redazione di Repubblica, destinato all'acquisto di libri, film , mostre ecc). Ci sono situazioni di precariato insanato e annoso nelle redazione locali; a lungo le relazioni sindacali sono state interrotte; l'editore non accetta confronti; i giornalisti non vengono informati e men che mai consultati sulle numerosissime iniziative lanciate qua e là in continuazione col marchio Repubblica.

C'è un contratto di esclusiva obbligatorio e capestro che impedisce ai giornalisti di Repubblica perfino di dare un'intervista, per esempio, a un programma televisivo su materie di sua stretta ed esclusiva competenza, senza il preventivo consenso della direzione e della proprietà. Se si fa notare che questo colpisce direttamente la professionalità dei giornalisti, oltre che il loro peso sul mercato, si risponde che nessuno è legato a catene, ci si può sempre licenziare. Insomma, non si perde occasione per sottolineare che un giornalista di Repubblica - a parte un ristretto gruppo di nomi influenti - non conta nulla, non ha voce in capitolo, anzi se leva il disturbo è meglio. Si potrebbe parlare di mobbing, se non fosse che riguarda tutta la redazione, con le solite eccezioni.

Sorge spontanea la domanda: perché umiliare così una redazione che col suo lavoro e la sua dedizione ha fatto di Repubblica uno dei più grandi e fiorenti giornali d'Italia? Che ognuno dia la sua risposta.

In questo clima di asservimento quotidiano, mentre si tenta di legare i giornalisti di Repubblica al tavolino, arriva il sequestro Mastrogiacomo, che spinge la direzione e la redazione tutta in un tunnel di grande tensione. Per fortuna, Daniele è stato salvato, ma il suo rilascio ha avuto una coda avvelenata: l'assassinio del suo autista e dell'interprete, il sequestro di Rahmatullah Hanefi, l'uomo di Emergency che si era speso per la sua liberazione. I giornalisti di Repubblica, il direttore in testa, hanno fatto la sola cosa che fosse in loro potere: una colletta per le famiglie che ha raccolto la cospicua somma di 80mila euro. La proprietà si è rifiutata di partecipare con l'incredibile e incomprensibile motivazione che destinare soldi alle famiglie afghane rimaste senza sostentamento metterebbe a rischio i giornalisti italiani nel mondo.

Su tutto questo, martedì scorso, la redazione di Repubblica ha tenuto una conferenza stampa. Come hanno reagito i politici e gli altri giornali? Libero, il Giornale, il Foglio e il Riformista ne hanno dato ampio conto. Il Riformista, tra l'altro, ha fatto sapere che Fassino è molto dispiaciuto della vicenda, che terrà lontano dalle edicole Repubblica proprio durante il Congresso di scioglimento dei Ds. Vorrebbe fare qualcosa, ma non può, perche' non può colpire la Tessera Numero Uno del futuro Pd. Del resto anche gli altri parlamentari citati dal quotidiano hanno detto di essere al fianco dei giornalisti ma di ritenere che una tale protesta in questo momento finisce per colpire più il Pd che l'Ingegnere. Poveretti.

Il ministro Damiano non si è sentito. Del resto, da circa un anno, tutti i giornalisti italiani gli stanno chiedendo di fare qualcosa per sbloccare la riforma delle pensioni della categoria che è tenuta sotto ricatto dagli editori, i quali chiedono in cambio un maggior numero di loro rappresentanti nell'Ente previdenziale dei giornalisti, l'Inpgi. Pare che Damiano sia solidale con i giornalisti. Pare che abbia richiesto e finalmente ottenuto parere positivo a favore dei giornalisti dal Consiglio di Stato. Pare che voglia intervenire. Ma per ora pare solo.

Il Corriere della Sera e la Stampa, invece, non hanno neppure pubblicato due righe mercoledì mattina sulle loro pagine. Chi può sostenere che l'assenza di Repubblica per una settimana dalle edicole non sia un notizia nel nostro paese? Evidentemente, interessi altri hanno cancellato la notizia per quei due grandi quotidiani. Che cinicamente forse pensano che la questione non riguardi anche loro e tutto il paese, che non riguardi la tutela di quel poco di libertà di stampa che ci è rimasta. O forse pensano che i giornalisti ormai danno fastidio a tutti e la battaglia è già perduta. O magari pensano che a loro nessuno cercherà mai di insegnare come si attacca il ciuco dove vuole il padrone. Perché, forse, sanno già come di fa.