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Re Artù

di Paolo Possenti - 21/04/2007

 
Le leggende arturiane costituiscono il soggetto di numerosi poemi medievali del cosiddetto

Pubblichiamo un capitolo del testo «L'area insulare britannica e l'area peninsulare - insulare italica Un singolare parallelismo storico», finora inedito, di Paolo Possenti, autore di «Le radici degli italiani» (Effedieffe edizioni).


Re Artù


Questo periodo peraltro oscuro della storia della Britannia, sospesa tra mondo romano-celtico e quello sassone, è illuminato per diversi aspetti molto significativi da uno straordinario personaggio tra storia e leggenda conosciuto come re Artù.
Una saga di tale importanza e di così grande significato culturale, tanto d'aver dato una speciale impronta alla storia britannica per parecchi secoli, emergendo nell'epoca contemporanea con la forza dei media moderni, non può non avere una radice storica seppur avvolta nella nebbia dei tempi; quindi, vorremo fare alcune considerazioni proprio di carattere storico per comprendere meglio la figura di re Artù, la sua «storia» e la sua leggenda.
Per comprendere meglio il fenomeno di trasformazione dell'Artù «storico» in quello leggendario, ci sembra opportuno comprendere meglio la trasfigurazione leggendaria di un altro personaggio romano-celtico, il principe Maximus del Mabinogium.
Noi oggi sappiamo perfettamente, anche se avvolto anch'esso nella leggenda, che il «Principe Maxen» altri non era che l'imperatore romano-celtico Maximus, proclamato dalle legioni britanniche imperatore Maximus Augustus nel 383 dopo Cristo e di cui abbiamo parlato in precedenza.
La narrazione leggendaria delle sue gesta ci riportano il quadro straordinario di una Britannia tutta tesa a riportare ordine e giustizia sulle province imperiali del continente.
Un'impresa titanica andata peraltro a segno in buona parte, ma finita in una tragica sconfitta nella quale il meglio dei soldati britannici, al seguito di Andragathius, persero la vita assieme al loro comandante.
Tutto vero anche dal punto di vista prettamente storico.
Siamo alla fine del IV secolo ed è veramente stupefacente come la memoria di questi fatti trasfusi in leggenda sia arrivata fino al Medioevo britannico ed oltre.
Noi sappiamo che la vicenda leggendaria di re Artù può collocarsi per molti aspetti nel VI secolo, cioè almeno un secolo e mezzo dopo questi fatti; sappiamo anche che fin oltre la metà del V secolo la Britannia, come ci dice Beda, anche grazie all'aiuto dei Sassoni, goda di un periodo fiorente. Intanto, però, scoppia lo scontro tra questo popolo ed i romano-celti.
Durante la grande battaglia del 526 dopo Cristo sulle pendici del monte Bodon a capo dei romano-celti vi era un comandante dal nome romano, Ambrosius Aurelianus chiamato concordemente dalle fonti col titolo militare del tardo Impero, Dux.
Vedremo in seguito perché questo appellativo è molto importante.
Intanto Aurelianus non è chiamato Rex, né con nessun altro appellativo politico militare come «Comes» «Tribunus» «Iudex» ecc.
La statura politico-militare del personaggio è fuori dubbio perché la vittoria decisiva sui Sassoni pone fine al periodo della loro rapida espansione in Britannia e crea un definitivo assetto che ci appare per molti versi assai simile a quello dei Longobardi (Sassoni) in Italia.

Sul suolo britannico si sviluppano una serie di piccoli domini regionali o locali, ma non ci appare in questa prima fase, se non in forma molto imprecisa riguardo a poteri ed estensione del territorio, la figura di un rex-kung sassone.
Questo avverrà nel corso del VI/VII secolo con l'emergere nel cuore della Britannia già romana della Mercia, regno a dinastia sassone-celtica; il nome del primo di questa dinastia è certamente un nome celtico, Cerdic.
Inoltre, non vi è assolutamente dubbio che la vittoria di Aurelianus al Badon avesse ristabilito quanto meno un equilibrio politico-militare fra romano-celti e sassoni in modo tale da creare le premesse di un accordo «duraturo».
La parola duraturo va intesa in senso medievale poiché una vera pace, in senso moderno, non era nemmeno concepibile.
Certamente Aurelianus dopo la vittoria, secondo l'usanza romana, si sarà adoperato per stabilire una pax o quanto meno una convivenza tollerabile con i Sassoni divenuti ormai prevalenti sulle coste della Britannia orientale (e prospicienti la vasta terra dei Sassoni della Germania storica confinante largamente sul Mare del Nord, divenuto in questo periodo un lago interno sassone).
Nella Britannia centro-orientale dopo la vittoria di Aureliano prevalevano certamente i celti romanizzati con le loro aspirazioni di pace e giustizia, tipiche della cultura romana ed ancor più in quest'epoca fatte proprie dalla fede cristiana, diffusa fra i Celti di queste isole fino dalla remota Irlanda.
Infatti, già dall'epoca del vescovo Germanus si può comprendere che la Britannia era largamente cristianizzata.
I Sassoni, al contrario, erano come i loro consanguinei Longobardi quasi interamente pagani.
La loro conversione richiese un altro secolo ed è molto significativo che divennero, seppur lentamente, prima cristiani in Britannia ed in Italia che nelle loro sedi originarie in Germania.
Qui la conversione avvenne dopo una durissima e sanguinosissima guerra condotta dal popolo dei Franchi, che impose la nuova fede con la forza delle armi e ciò fu causa di continue insurrezioni per tutto il IX secolo.
Solo con l'avvento del durissimo dominio della casata ottoniana e del grande duca Heinrich der Vogler ( Enrico l'Uccellatore), che li unì per difendersi dai ferocissimi ungari, che il cristianesimo si affermò dal Mare del Nord fino alle selve boeme lungo l'Elba ed oltre.

In questo contesto storico la leggenda antichissima di re Artù ci appare inquadrata da un mondo civile e sociale ispirato certamente dal cristianesimo romano.
E nonostante le trasformazioni tardo medievali, specie per quanto concerne la sovrapposizione della cultura cavalleresca alla saga di re Artù, ci appare in tutta evidenza che re Artù appartiene al mondo storico culturale romano-celtico e non a quello sassone se non per posteriori contaminazioni.
Ma su questo i numerosi storici che hanno trattato l'argomento non hanno dubbi; resta ora da comprendere la radice storica della figura di Artù al di là della leggenda, nonché decifrare questo nome piuttosto enigmatico che certamente non è di origine sassone.
Infatti il nome Artur o Arthur appare posteriore alla comparsa nei più antichi documenti a quello di Artù!
Per comprendere chi rappresenti con questo nome il celebre personaggio che lo ha diffuso nel mondo britannico e non solo, occorre fare alcune riflessioni filologiche.
Prendendo lo spunto dalla saga del Mabinogium noi sappiamo che il «principe Maxen» altri non è che l'imperatore britannico «Maximus» proclamato Augustus dalle sue legioni nel 383 dopo Cristo e che passato sul continente fu riconosciuto da quasi tutta la parte occidentale dell'Impero Romano, come già abbiamo illustrato.
Appare chiaro, come da altri testi e per altri nomi, che la lingua britannica medievale tende a «contrarre» i nomi secondo regole ben precise specie nella tradizione orale, ma anche in quella scritta.
Così MAXIMUS latino diviene MAX-en, laddove il suffisso «IMUS» diventa appunto «EN».
MAC-SEN═ MAXEN e le due «SS» diventano X.
Così per altri nomi che omettiamo per brevità di testo.
Veniamo quindi al nome «Artù» accentato sulla U finale , aspetto questo filologicamente molto importante.
E qui arriviamo alla tesi più probabile e secondo noi certa, date le premesse storico culturali accennate nelle pagine precedenti.
Il vincitore della battaglia contro i Sassoni a Monte Badon è certamente chiamato Dux dalle fonti e solo in questo modo.
Poiché in latino l'appellativo segue sempre il nome, il termine è «Aurelianus Dux» il duce o duca Aureliano; dux (al plurale duces) era infatti l'appellativo con cui venivamo chiamati i generali romani di questo periodo.

Nella lingua popolare non vi è dubbio che la prima trasformazione del lungo nome (appellatio) sarà stata AUR-DUX, dove come di norma il suffisso del nome «ELIANUS» scompare, data anche la presenza della «R» italica dura, di difficile pronuncia per la lingua celtica e per quella sassone (nell'inglese odierno tende a sfumare).
In realtà la «R» si mantiene in questo nome perché la parola seguente è di grande importanza semantica, DUX, che si ingloba nel nome abbreviato passando però da dentale forte come D a dentale soffice come T.
Il nuovo nome diviene così già teoricamente AuR-TUX.
La A sonora, come di regola, assorbe la U così il nome Aurelianus-Dux diviene Aur-TUX; la caduta della X finale produce, di regola, l'accentazione dell'ultima vocale.
Così il nome di Aurelianus Dux con pochi e semplici passaggi diviene Ar-tù cioè Artù!
Il tutto a filo di esame filologico compatibile con il contesto storico e culturale dell'epoca.
Inoltre, vi è un'altra importantissima considerazione da fare.
A parte il fatto che leggenda e storia coinciderebbero sul piano cronologico, quale altro personaggio storico potrebbe essere se non Aurelianus quello che ha dato origine alla saga di Artù?
La leggenda ha sempre una radice storica presso tutti i popoli europei, dai greci, ai Romani, agli scandinavi, ivi inclusi i Britanni i cui storici del calibro di Gildas e Beda operano sin dall'alto Medioevo.
In conclusione, l'identificazione di re Artù e la sua tavola rotonda con Aurelianus Dux ed il suo Stato Maggiore militare celtico-romano (inesistente in forma stabile presso i sassoni!) ci sembra cosa assolutamente certa.
Da quanto noi abbiamo detto finora appare chiaro oltre che dalle fonti storiche e da nuove ricerche fatte a proposito anche dalle ricerche archeologiche.
Solamente negli ultimi tempi si è cominciato a scavare un po' di più nei siti archeologici inglesi facendo scoperte sempre più interessanti.
A parte i ritrovamenti romani, sempre più numerosi e sempre più significativi che confermano la profonda romanizzazione dell'isola e il suo importante ruolo nelle vicende dell'Impero a partire dal IV secolo dopo Cristo, si sta comprendendo molto di più sull'estensione, sui poteri e sulla situazione del «Comitatus Britanniae» anche dopo che il grosso delle legioni era stato ritirato per le necessità della difesa dell'Impero sotto la pressione del popolo asiatico degli unni.
Il parallelismo storico da noi indicato con altre regioni rimaste isolate dal potere centrale dell'impero romano è calzante in maniera stupefacente anche con la situazione britannica specialmente nel V e nel VI secolo dopo Cristo.
La data convenzionale presa nel secolo scorso fa cessare il dominio romano in Britannia nel 410 con il ritiro delle ultime legioni romane dall'isola.
Oggi tuttavia tale data appare assolutamente fuorviante perché la legioni non erano più da gran tempo un esercito di occupazione della Britannia, ma erano un espressione militare di questo territorio divenuto sempre più importante negli ultimi secoli dell'impero.


Il Comes Britanniae è un a realtà storica che durerà per un periodo che va dall'inizio del V secolo fino oltre la metà del VI.
Non vi è dubbio che spesso si tratta di un potere debole e frammentato, che a partire dal 460 dopo Cristo deve cedere ampi territori orientali della Britannia al dominio dei capi tribù sassoni.
Costoro, chiamati probabilmente proprio da uno di questi Comes a metà del secolo, si erano organizzati in maniera autonoma avanzando verso sud ovest ed occupando quella che quasi esattamente era stata la Britannia Inferior dei Romani compreso l'importantissimo centro di Londra.
E' abbastanza logico che da questo centro allargassero non tanto i domini verso nord-ovest, più vicini ai loro originari insediamenti, ma si proponessero di conquistare la parte più fertile e climaticamente più confortevole di tutta la Britannia.
La data storica del 526 è fondamentale nella lunga storia del Medioevo britannico.
I Sassoni subiscono una sconfitta decisiva che li arresta nella loro espansione sull'isola per molto tempo.
A sottolineare l'importanza di questa sconfitta comincia ad emergere l'irrefutabile testimonianza dei ritrovamenti archeologici; uno degli esempi più convincenti e significativi è dato dal fatto che su una linea trasversale che taglia l'Inghilterra dal Northhumberland fino al sud nel Wessex vi è un confine che ripete quasi esattamente quello dell'antica Britannia Inferior dei Romani.
Sembra essersi creato un confine stabile confermato ad ovest in maniera continuativa da una serie di cimiteri sassoni e di resti di fortificazioni che si fermano bruscamente senza addentrarsi minimamente oltre questa linea per almeno un altro secolo.
Questa nostra tesi ormai confermata dall'archeologia ci fa comprendere come la Britannia rimanesse divisa in realtà in due zone di influenza, quella a occidente controllata dai Sassoni a partire dalla metà del V secolo.
E quella d'oriente dominata dai celti romanizzati che mantengono il controllo sulla Britannia Superior ed in particolare sul Galles e la Cornovaglia.
L'identificazione allora di Aurelianus Dux con Artù convince perché anche il mitico castello di Camelot comincia ad emergere dal buio della storia.
Nei due villaggi del Surrey infatti che contengono la radice «Camel» è stata identificato un complesso di fortificazioni ed insediamenti assolutamente compatibili con la fortezza e un complesso abitativo romano-celtico dell'alto Medioevo.

Altri significativi esempi potrebbero citarsi.
Lo stesso nome della spada di Artù Excalibur sta a significare la provenienza della spada da una città dell'impero romano orientale che produceva lame famosissime: Calibrium.
Recentemente anche alcuni storici inglesi hanno dato sempre più peso all'interconnessione fra la Britannia celtico-romana e le gesta di re Artù e la sua tavola rotonda.
Uno storico inglese cercando di identificare la figura storica di Artù che ormai è universalmente ammessa da tutti i ricercatori europei ha trovato in una pergamena del VI secolo dopo Cristo traccia di un altro nome romano che appare sicuramente come comandante di truppe britanniche.
Il nome è quello di Riotamus ovvero Rigot-Hamus.
Il ricercatore inglese l'ha tradotto in maniera un po' arbitraria, facendo riferimento al celtico come Grande Re.
In realtà questo nome non è sconosciuto ai pochi documenti rimasti sulla Britannia romana.
Infatti a lui si indirizza un documento del tardo impero databile con certezza al 469 dopo Cristo dove gli chiede di prendere le armi per resistere ai barbari.
Il documento è estremamente interessante, ma ci rivela che Riotamus visse in un'epoca quanto mai negativa per la Britannia romana che in questo periodo non ricorda alcuna grande vittoria dei celto-romani sui Sassoni, ma anzi piuttosto il contrario.
Lo stesso arcivescovo Germanus di Auxerres non aveva ottenuto alcun decisivo successo contro gli invasori.
Bisogna arrivare alla grande battaglia del monte Bodon nel 526, vinta da colui che assai probabilmente era il Comes Britanniae Ambrosius Aurelianus.
Quella poi di spostare durante il V secolo la fine della Britannia romana ed anche di quella celtico-romana è una autentica fissazione degli storici inglesi che non trova nessun fondamento né nei documenti, né nella archeologia.
Anzi è proprio all'archeologia che è una scienza esatta e non influenzabile dai preconcetto ideologici che viene confermato quello che per un secolo e mezzo almeno sarà il confine dell'espansione sassone in Britannia.
Un lungo confine che taglia appunto la Britannia da nord-est a sud-ovest in maniera inequivocabile.

Sembra quasi quello strano confine che attraversò l'Italia parimenti da nord est a sud ovest partendo da Brescellum sul Po fino a Santa Fiora al sud della Toscana, dove i Longobardi si dovettero fermare non solo per la forza dei soldati dell'Impero Romano d'oriente, ma anche per il permanere di nuclei romano-italici organizzati militarmente lungo la valle del Tevere partendo dalla Romagna attraverso Perugia, Terni fino a Roma, comprensivo di territori quali la Pentapoli, il ducato perugino e il ducato romano, che sbarrarono infine l'espansione longobarda in Italia, salvo che per due isole separate di dominio a Benevento e a Spoleto nel sud del Paese.
Riteniamo anzi che sia di molto aiuto il paragone tra l'invasione longobarda in Italia e quella sassone in Inghilterra proprio per il permanere l'una accanto all'altra di 2 realtà politico culturali molto diverse che ci metteranno per fondersi un paio di secoli.
Mentre in Italia per fortuna abbiamo però un'ampia documentazione di questo lungo fenomeno di formazione della nazione italiana specie per i ricchi fondachi conservati nelle abbazie e nei monasteri nonché negli archivi vaticani, in Gran Bretagna sfortuna volle che quasi tutti i documenti in latino trovati nelle antiche abbazie dai riformatori della chiesa inglese furono distrutti, sia perché ritenuti documenti ecclesiastici, sia perché , come in effetti spesso erano, si trattava di documenti giuridici che certificavano le proprietà e quindi da distruggere perché pericolosi per il futuro dei nuovi padroni.
Questo aspetto è stato assai poco approfondito dagli inglesi peraltro molto solerti ad approfondire la storia altrui, talchè sarebbe opportuno che si allargasse la ricerca di documenti antichi anche nelle sedi di quei nobili o di quei borghesi principati che si arricchirono con la grande rapina dei beni ecclesiastici.
Non è escluso infatti che come accaduto di recente nelle biblioteche di depositi storici di duchi e nobili vari, come in quelli della casa reale si possono trovare inedite ed importanti documentazioni come quelle che ci sta dando l'attività archeologica.
Recentemente, infatti, per la collocazione storica di re Artù sono comparse delle opere e degli scritti particolarmente significativi.
Sul piano scientifico va ricordata l'opera di John Morris «The age of Arthur: a history of the British Isless from 350 to 650».

Di particolare interesse, tuttavia, e databile ai nostri giorni è la documentazione che ci offre l'Enciclopedia libera di Wikipedia su internet con una lista dei «Sovrani della Britanna» (Britwalde) da quelli mitologici a quelli preistorici ed infine a quelli storici.
Le lunghe liste dei sovrani delle epoche più antiche sono chiaramente frutto di fantasia, mentre a partire dal primo secolo avanti Cristo con lo sbarco di Giulio Cesare in Britannia le liste dei sovrani e dei casati cominciano a chiarirsi a cominciare con Cassivellauno che si oppose con valore ai legionari romani.
L'interregno che segnala anche Wikipedia dal '43 al '61 dopo Cristo corrisponde chiaramente al periodo della conquista di Agricola di quasi tutta la Britannia.
Da qui in avanti i capi della Britannia portano chiaramente dei nomi romani, anche se è evidente che si tratta di capi militari o di governatori provinciali, che si rifanno magari anche ai nomi degli imperatori.
Salvo un breve intervallo di una rivolta del nord dal 208 al 211 dopo Cristo, capitanata da Sulgerio e repressa da Settimio Severo, i nomi romani tornano ininterrottamente fino all'inizio del V secolo per lasciare il posto a Vortigern, il principe che chiamò i Sassoni.
Ma molto significativo è a questo punto per noi il fatto che dopo costui quale Britwalde della Britannia appare proprio il nome di Ambrogio Aureliano del quale si colloca la vita ed il governo tra il 466 ( probabile anno invece della sua nascita) ed il 496 dopo Cristo.
Ma noi sappiamo storicamente in maniera confutabile che Ambrogio Aureliano era il capo dell'esercito celtico-romano che sconfisse presso Mons Bodon i sassoni nel 526 dopo Cristo.
E qui la sorpresa ci viene dai documenti.

A succedere ad Ambrosio Aureliano proprio dal 496 al 537 dopo Cristo sarebbe re Artù, esattamente nell'epoca in cui avvenne questa grande controffensiva romana contro in Sassoni culminata appunto nella famosa vittoria di Mons Bodon.
I rilievi archeologici più recenti ci confermano il consolidarsi, in questa epoca, di quel rigido confine che separò i Sassoni dai celtico-romani per quasi un secolo dal Norfolk al Wessex.
Quale prova più evidente che Ambrosio Aureliano, chiamato nei testi anche, Embreis Guletic, non è altri che re Artù come da noi sostenuto?
Ma ancora più importante è che nei documenti appaiono quali capi della Britannia nuovamente nomi romani probabilmente di «Comes Britanniae» come Costantino III (537-538 dopo Cristo), Aurelio Conano (538-539 dopo Cristo), Malgone (540-549 dopo Cristo) una successione ininterrotta che giunge a metà del sesto secolo e che spiega chiaramente il perché del confine imposto ai sassoni sulla linea Norfolk-Wessex.
Non vogliamo qui dimenticare allora che l'immediato successore di Malgone, fu niente meno che Keredic ( 549-554 dopo Cristo), cioè quel Cerdic che diede origine alla dinastia dei re d'Inghilterra.
In queste epoche la parola re è un po' usurpata e di fatto noi preferiremmo usare il termine antico di Bretwalda in cui Bret è chiaramente l'iniziale di Bretannia e Walda significa amministratore, sovrano, capo valoroso.
In realtà, dopo l'ultimo Bretwalda Calwallader (655-654dopo Cristo) non ci sono più sovrani di tutta la Britannia.Va ricordato, però, che l'ultimo sovrano di parte della Britannia apparteneva alla casata dei Gwynned, stirpe che sopravvisse come prìncipi fino al tempo di Daffyd Ap Gruffydd (1282- 1283 dopo Cristo).
A tale casata che si diceva discendente da Bruto appartenne Owen Tudor, nonno di Enrico VII di Inghilterra e discendente materno del sovrano Gwinned.
L'unione di Enrico VII con Elisabetta di York segnò quindi la fusione dei due casati reali al termine della guerra delle due Rose.
Ci sembra quindi abbastanza chiarito un aspetto storico importante che, cioè, la Britannia romana era rimasta ben viva nel cuore stesso della nazione con i «Comes Britanniae» e con i loro discendenti ai quali appartenne senza dubbio anche re Artù.