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L'avanguardia e il progetto laboratorio

di Francesco Boco - 23/04/2007

 


Pensare l’avanguardia metapolitica, culturale, politica e, in ogni caso, militante significa tentare l’inosato e l’insoabile perché un pensiero che intenda infiammare il mondo con una nuova costruzione concreta e storica, sostituendo ciò che si ritiene un passato di rovina e decadenza è, necessariamente, un pensiero attivo e forte che osa l’inosabile, cioè pensare l’al di là, il dopo, del nichilismo. In questo caso pensare e progettare sono sinonimi, ché se il pensiero lo abbiamo detto attivo è inevitabile che esso sia una teorizzazione di un impegno storico-concreto nella vita quotidiana: esso coinvolge dunque ogni aspetto della vita, esso è un progetto totale.

Heidegger in Oltre la linea pose giustamente il problema del dovere di pensare sul nichilismo poiché, afferma, la notte è ancora lunga e noi ci troviamo al culmine del processo nichilistico. Ciò significa che s’inizia un percorso di fine più o meno lunga del nichilismo, ma ciò non toglie, dice, che sia doveroso non ragionare sul dopo, ma sul che cosa.

Heidegger fu filosofo che giganteggiò il suo secolo e la sua ombra ancora ci inquieta e ci costringe a domande radicali; ciò non toglie che egli fu propriamente filosofo e perciò maggiormente incline al domandare che all’attiva realizzazione del vero.

Come si dice nel racconto Le uova del drago, il vero è ciò che si realizza attraverso la volontà, la volontà è la verità. Un pensiero fortemente mobilitante che certamente sarebbe stato criticato dallo stesso Heidegger.

Sotto un aspetto strettamente filosofico si potrebbe discutere del fatto se una tale affermazione sia una riproposizione post-nietzscheana di un’idea metafisica assoluta – cosa avversata dalla tendenza sovrumanista che è post-moderna e perciò post-metafisica – o meno, ma ciò che non si può discutere è l’efficacia che una tale affermazione dichiara. Efficacia non empirica, cioè pre-fattuale, o astratta poiché non la pratica conferma l’ipotesi teorica, ma sono i fatti a costringere a dar loro un nome, ad affermarli con forza e decisione – prima viene l’azione. La volontà è il principio, la volontà è la verità che si fa nel mondo.

Massimo Cacciari segue la tesi heideggeriana quando nota l’eccessivo ottimismo mostrato da Jünger in Oltre la linea e dice che pensare il dopo nichilismo è cosa affrettata e superificiale, non da filosofi. Non sbaglia, ma fuori dalla costruzione filosofica potentissima di Heidegger e dei suoi estimatori l’affermazione costruttiva non necessita di parole per farsi storia. Il muto procedere del nichilismo attivo non nega il nulla (doppio nichilismo? nichilismo2?), esso piuttosto riflette con radicale freddezza su di esso e attorno ad esso - poiché proprio nel silenzio sta la forza del suo raccoglimento abissale – non frenando al contempo l’attivo costruire progettuale, non lasciando che un pessimismo negativo gravi sulle sue gambe pronte alla carica e perciò realizzando quasi senza necessità di un pensiero razionale un progetto che ha del destinale. Si compie ciò che non si può non fare, è intuizione e istinto, è volontà profonda.

Manlio Sgalambro nel suo ultimo libretto La conoscenza del peggio dà uno spunto interessante quando afferma che il pessimismo è un metodo con cui si ferma la vita e si riflette sul negativo, ma è proprio un tale metodo che, cessato il suo lampo d’impiego, lascia di nuovo posto alla vita in tutta la sua forza, e anzi, proprio il pessimismo, dice, dà maggior vigore alla vita. In questa sede non interessa addentrarci in una discussione attorno alla visione del filosofo e paroliere siciliano, ciò che conta è assumere il metodo pessimistico nel nichilismo attivo.

La riflessione sul nulla è dunque una sorta di pausa tra passato e futuro, uno squarcio nero da cui emerge il negativo e nel quale ci si trova immersi, ma è proprio partendo dalla riflessione in e su esso che è poi possibile agire.

Nell’ossimoro nichilismo attivo, nichilismo è il sulla linea (del niente) e attivo è la volontà che realizza. In questo senso il domandare heideggeriano è una sorta di sospensione dell’attivo ed uno “stare in ascolto”, viceversa il progettare è una “sospensione del giudizio”, un mettere a tacere la critica filosofica per lasciare spazio all’intuitivo e im-mediato farsi concreto di un’azione che è in massimo grado filosofica, culturale, spirituale poiché è, essenzialmente, mistica.

Il progetto dell’avanguardia viene avviato dalla retroguardia, ma mentre quest’ultima ha principalmente il ruolo di ciò che abbiamo chiamato “stare in ascolto”, la prima ha invece il ruolo attivo della realizzazione. Entrambe sono fondamentali e una strettamente dipendente dall’altra, come la mano non può essere senza la mente. Il pensiero che progetta attraverso il percorso sommariamente descritto sin qui è un pensiero forte, è un pensiero radicalmente affermativo ed è perciò un pensiero sommamente pericoloso per il placido ragionare accademico e il chiacchiericcio salottiero. Un pensare di tale portata spazza dalla sua strada l’esitazione del “tengo famiglia” perché richiede il vuoto su cui poter domandare e costruire.

È un pensiero che ha ben chiaro che la verità è relativa poiché diverse sono le idee del buono e del giusto, ma è anche un pensiero che sa che per una comunità la verità non è relativa, ma è assoluta poiché in essa si agisce come una volontà sola.