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Apocalisse e volontà

di Alessio Mannucci - 24/04/2007

 


Schopenhauer fu iniziato alla conoscenza della tradizione filosofica indiana dall'orientalista Frederich Mayer. Fu proprio nelle Upanishad e nei testi buddisti che trovò i fondamenti di quella “fede negativa” che avrebbe dovuto sostituire i miti e le norme etiche cristiane ormai tramontate (all'epoca come oggi), e che fu poi ripresa da Nietzsche e da Marx. Nel 1816 pubblica il “Trattato sulla Vista e i Colori”, dove difende la teoria di Goethe sui colori. Nel 1818, in un isolamento quasi completo, si dedica alla preparazione e alla stesura della sua opera principale, “Il Mondo come Volontà e Rappresentazione”.

Sono gli anni in cui Hölderlin consuma la sua follia nella solitudine di Tubinga, Kleist arriva al suicidio, Byron cerca nella violenza dei suoi gesti uno sfogo alla sua insoddisfazione, Shelley scrive versi eversivi e Foscolo affida alla bellezza del mito la salvezza dall'orrore del nulla. Inoltre sono gli anni in cui si afferma l' “ottimismo storico” di Hegel, il pensatore che Schopenhauer considerava come il suo maggiore avversario, diventato, proprio in quegli anni, il maestro indiscusso della filosofia tedesca.

Il punto di partenza del pensiero di Shopenhauer è la filosofia di Kant, di cui riprende la distinzione fra fenomeno e noumeno (la cosa come mi appare e la cosa in sé): se per Kant il fenomeno è l'unico dato che l'intelletto umano può conoscere, mentre il noumeno è solo un concetto limite, per Schopenhauer invece il fenomeno, inteso come rappresentazione, è pura apparenza, mentre il noumeno, inteso come volontà, è in qualche modo esperibile, ma in una esperienza che si sottrae alla rappresentazione. Il mondo dei fenomeni è dunque uno specchio del mondo della realtà, è il modo in cui si riflette sulla superficie visibile il mondo nella sua costituzione essenziale (concezione “vagamente” platonica).

Per farla breve, Shopenhauer sostiene che la volontà, essenza noumenica dietro la rappresentazione fenomenica, è unica, e corrisponde ad una sorta di divinità (entità trascendente e immanente) che struttura il mondo attraverso le idee, le forze della natura (gravità, magnetismo), le forze che governano la vita delle piante e degli animali, e l'uomo, in cui la volontà diventa principio di ragione (o principio di realtà). Questa volontà unica, che Nietzsche dirà “volontà di potenza”, che si oggettiva nei singoli esseri, si trasforma nel principio di una lotta perenne, incessante, che contrappone le volontà (egoismi) individuali, dato che le specie superiori vogliono sottrarre materia a quelle inferiori per formare organismi sempre più complessi (una teoria in cui si mischiamo ateismo, darwinismo, eraclitismo, platonismo, esistenzialismo).

Dunque, occorre liberarsi della “volontà di vivere” propria del mondo della rappresentazione. Le vie di questa liberazione, indicate nel terzo e quarto libro del Mondo..., che costituiscono l'etica e l'estetica, sono: innanzitutto, l'arte: poiché in essa l'uomo non si contrappone ad altri esseri individuati, ma contempla le idee in quanto essenze universali e generiche sottratte al principio di individuazione che domina il mondo della rappresentazione; poiché l'arte è una rappresentazione indipendente dal principio di ragione (che è causa dell'antagonismo); poiché alla contemplazione dell'idea non perviene la conoscenza pratica, legata al principio di ragione, ma il genio, che riconosce le idee, a cui si correlaziona, abbandonando la propria individualità.

Secondo Shopenhauer esiste anche una gerarchia delle arti, così come delle idee, secondo cui la musica sarebbe quella più vicina alla “volontà pura”. Ma la contemplazione estetica rappresenta però una liberazione solo parziale, in quanto transitoria e momentanea; quella definitiva avviene nel territorio dell'etica - e qui siamo in accordo con Kant - a cui è dedicato il quarto libro del Mondo...

Come può l'uomo, schiavo della libertà, liberarsi da essa ?

In che senso schiavo della libertà ? Da un lato l'uomo è fenomeno, sottoposto alla legge fisica della causa e dell'effetto (il karma), e quindi non è libero; dall'altro però è anche noumeno, sottoposto alla volontà. Per liberarsi dalla volontà di vivere, unico modo secondo Shopenhauer per essere veramente liberi, occorre comprendere la natura intrinsecamente negativa della volontà stessa: la quale non è che un susseguirsi interminabile di bisogni e desideri, al cui appagamento succede la noia. E qui veniamo al buddhismo, quando Shopenhauer parla di un triplice stato dell'uomo: lo stato di bisogno, in cui l'uomo sente il bisogno di realizzare un progetto; lo stato di soddisfazione o raggiungimento dello scopo, e che invece è solo un attimo fugace, che presto svanisce; la noia per la mancanza di un obiettivo da raggiungere.

Una volta giunti a questa fase, non potrà che nascere un nuovo bisogno, che spingerà l'uomo nuovamente nella prima fase, quella del desiderio. Questo processo ciclico caratterizza tutta la vita dell'uomo. Di questa negatività sono testimonianza il mondo, la natura e la storia. Il nostro non è il migliore dei mondi possibili, ma il peggiore; la natura si cura solo della sopravvivenza della specie trascurando l'individuo; la storia non è progresso e perfezionamento, ma costante ripetersi di un unico destino, quello della mancanza e del bisogno che governano la volontà.

Tutti concetti ripresi dal buddismo.

Solo quando si rende conto di questa condizione di negatività, l'uomo è indotto ad abbandonare la volontà di vivere, che gli appare ormai come l'origine di tutti i mali, per accedere alla “nolontà”, in cui consiste la liberazione. Questa ha tre livelli. Il primo è quello della giustizia, per cui l'uomo riconosce se stesso e i propri simili come rappresentazione di una volontà unica, e pone un freno alla lotta fra gli individui. Il secondo è quello della bontà, che è compassione per gli altri che sono pari a noi e al nostro destino. Il terzo livello è l'ascesi, in cui l'uomo prova orrore per la sua stessa volontà di vivere, in un mondo, quello della rappresentazione, riconosciuto pieno di dolore. Per questo i caratteri dell'ascesi sono la castità (in quanto l'amore implica volontà di vivere), la povertà, la rassegnazione e il sacrificio (in fondo non siamo così distanti dal cristianesimo).

Con la “nolontà”, la negazione della volontà di vivere, si conclude il Mondo...

In queste idee di Schopenhauer ritroviamo concetti come “l'inevitabilità dell'ingiustizia”, l' “egoismo universale”, il ritratto di una società che ammette come sola regola la sopraffazione dei propri simili (homo homini lupus), e dunque una inevitabile decadenza che non può che portare all'autodistruzione, se non ci si libera dal mo(n)do della rappresentazione.

Questa liberazione, espressa dalle filosofie orientali attraverso concetti come (samadhi) (contatto), nirvana (unione), moksha (liberazione), si ottiene attraverso il superamento della coscienza individuale, attraverso molteplici tecniche e discipline, al di là del bene e del male direbbe Nietzsche, oltre il mondo della rappresentazione, nel pieno mondo noumenico del Brahman, nella totale assenza di desiderio.