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Somalia: si combatte anche a Kisimaio. Dilagano gli scontri

di Siro Asinelli - 25/04/2007




Dilagano gli scontri armati ripresi la settimana scorsa a Mogadiscio mentre le ostilità divampano anche nella città di Kisimaio, principale porto della Somalia 500 chilometri circa a sud della capitale. Il centro portuale era sinora ritenuto fuori dal conflitto che a Mogadiscio sta opponendo da settimane le truppe etiopi, il cui intervento è stato richiesto dal Governo federale di transizione (Gft) e favorito dagli Usa, ai guerriglieri dell’Unione delle Corti Islamiche (UCI) e ai miliziani dei clan contrari all’intervento di forze straniere in Somalia. Secondo fonti giornalistiche riportate dall’agenzia di stampa somala ‘Shabelle’, a Kisimaio si starebbero fronteggiando i miliziani dei due principali clan della regione meridionale, i Majegten fedeli all’attuale presidente Abdulhai Yusuf, e i Marehan fedeli al ministro della Difesa, colonnello Barre Hirale. Le due fazioni si starebbero fronteggiando a colpi di mortaio per il controllo della città portuale ritenuto il centro strategico del Paese; nel corso degli scontri sarebbero rimasti uccisi almeno 6 civili mentre non è dato sapere il numero di feriti. “Gli scontri sono iniziati all’alba – ha riferito l’inviato di ‘Shabelle’, Mohammed Ahmed – e già a tarda mattinata ho potuto vedere decine di donne e bambini scappare dalle zone periferiche per rifugiarsi nella giunga”. La situazione è cominciata a degenerare da quando a metà febbraio scorso le truppe di Addis Abeba hanno lasciato la regione meridionale per concentrarsi nell’area di Mogadiscio.
Nella capitale la situazione non accenna a tornare alla normalità, con almeno una decina di morti registrati solamente ieri. Domenica il primo ministro Ali Mohammed Ghedi ha confermato in un’intervista rilasciata alla radio nazionale che i combattimenti le azioni armate di forze governative ed etiopi contro le milizie UCI continueranno “fino a quando i terroristi non saranno buttati fuori dalla Somalia”. Ghedi ha voluto poi smentire le voci che vedono il clan Hawiye combattere a fianco delle Corti: “Voglio dire al popolo somalo e al mondo che non vi sono combattimenti tra miliziani del clan Hawiye e forze governative. La battaglia si sta consumando chiaramente tra terroristi legati ad Al Qaida e governo di transizione supportato da truppe etiopi e dell’Unione africana”. L’accostamento della crisi somala con la presunta presenza di fantomatici gruppi terroristici internazionali è stato però rigettato con forza dal leader del clan Hawiye a Mogadiscio, Abdulahi Sheik Hassan, che ha accusato il governo di transizione di “voler distogliere l’attenzione del mondo dal genocidio che si sta commettendo in Somalia”. Riferendosi al vice ministro della Difesa, Salad Ali Jelle, che domenica aveva appoggiato la tesi del primo ministro sul presunto ruolo di Al Qaida nel Paese, Sheik Hassan non ha utilizzato mezzi termini: “È pietoso dover constare che un personaggio che si dichiara rappresentante di un governo abbia accolto la falsa pista del terrorismo internazionale”. Il rappresentante del clan Hawiye ha poi smentito la notizia diffusa dal Gft secondo cui le truppe governative avrebbero confiscato ingenti quantitativi di armi ai miliziani del clan: “Mi hanno detto che all’aeroporto di Mogadiscio il governo avrebbe esposto armi confiscate ai nostri uomini. È una falsità, siamo ancora forti e continueremo a combattere”. Smentita quindi anche la notizia riportata da Ghedi secondo cui gli Hawiye non starebbero scontrandosi con le truppe di Addis Abeba: “Noi combattiamo contro i militari dell’Etiopia”.
Che il conflitto fosse meno lineare di ciò che il primo ministro, Addis Abeba e Washington volessero lasciare intendere, è ormai evidente. Il clan Hawiye resta contrario all’intervento etiope e, pur mantenendo posizioni di responsabilità nel fragile governo di transizione, sta di fatto combattendo a fianco dell’UCI per riportare il conflitto a dimensioni interne e mettere fine alle ingerenze etiopi sobillate dagli Stati Uniti.
L’utilizzo dello spauracchio Al Qaida da parte di Ghedi non fa che confermare come la crisi sia stata cavalcata in termini di propaganda tesa a diminuire l’influenza che le Corti islamiche da una parte ed il potente clan Hawiye dall’altra continuano a mantenere su gran parte del Paese. E serve, soprattutto, a giustificare l’intervento esterno mentre gli stessi leader del Gft – il cui contraddittorio e fragile potere si basa sul vergognoso sostegno delle Nazioni Unite – si scannano per il controllo della strategica Kisimaio. Delle ultime dichiarazioni del primo ministro, alla fine, si può esser certi soltanto di una cosa: il conflitto è lontano dall’essere risolto.