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Il libro della settimana: Eduth Levi, Società a irreponsabilità illimitata

di Carlo Gambescia - 26/04/2007

Il libro della settimana: Eduth Levi, Società a irreponsabilità illimitata. Rubbettino 2007, pp.207, euro 15,00

Chissà che direbbero Marx e Pareto, redivivi, del capitalismo contemporaneo. Marx si lancerebbe in un ispirato elogio della globalizzazione, scorgendovi, la possibilità, dello sviluppo di un proletariato mondiale, capace finalmente di scatenare la rivoluzione finale. Pareto, invece, sbuffando, criticherebbe il capitalismo attuale, ancora meno trasparente di quello dei suoi tempi. Ed entrambi, pur discutendo, sarebbero d’accordo sulla sua prossima fine.
Si dirà, che Pareto e Marx erano due “apocalittici”, che mai si sarebbero “integrati”. I due, infatti, ritenevano che il capitalismo reale (così com’era) non fosse il migliore dei mondi possibili… Di qui però due differenti terapie d’urto: la rivoluzione proletaria per Marx, e la rinascita di una forte classe borghese per Pareto. Del resto entrambi diffidavano della politica, e pensavano, che il capitalismo, si sarebbe affondato o salvato da solo. Erano, in fondo, due “impolitici”.
Queste fantasticherie intellettuali ci sono venute in mente, leggendo il libro di Eduth Levi, Società a irresponsabilità illimitata. Tutta la verità sui manager italiani (Rubbettino 2007, pp. 205, euro 15,00). Un testo ben scritto (si legge d’un fiato), da un manager italiano, che ha voluto mantenere l’anonimato, scegliendo uno pseudonimo. Il libro si avvale anche di un’introduzione del sociologo Giulio Sapelli e di una ricca bibliografia.
Il quadro che Levi traccia dei manager è negativo, quanto quello di Pareto, feroce critico delle molli classi borghesi del suo tempo. Ma a differenza di Marx, Levi non scorge alcuna diabolica grandezza nei capitalismo attuale. Ovviamente, nel libro si parla solo del capitalismo made in Italy , ma per l’autore, sembra non goda buona salute neppure quello mondiale. Però attenzione: non si tratta di un libro anticapitalista, Levi è idealmente dalla parte di Pareto, e ritiene che il capitalismo, se solo volesse, potrebbe elevare concretamente, più di quanto abbia fatto finora, la vita di tutti: dagli imprenditori ai dipendenti, fino ai cittadini. Vedremo più avanti come. Prima entriamo nei dettagli del libro.
Il male del capitalismo attuale, per usare un’ espressione brutale, e nel pretendere da ogni sua attività, i famigerati “pochi, maledetti e subito”… Fuor di metafora: il male sarebbe nel profitto a breve termine. Frutto di una corrotta volontà di potenza, che oggi pervade le élite dirigenti, ripercuotendosi sui lavoratori e cittadini. Cosicché l’autore parla di “limiti interni” al sistema economico e di “limiti interni” alle persone. Ma lasciamo a lui la parola.
I “limiti interni” al sistema economico sono tre. Il primo è appunto “rappresentato dalla dimensione del profitto come unica rilevante per valutare il funzionamento delle aziende e conseguentemente l’operato dei management. Il secondo è rappresentato dalla soddisfazione economica degli azionisti come unica categoria di stakeholder della quale preoccuparsi. Il terzo, che rappresenta in un certo senso il presupposto ma anche la conseguenza dei primi due, è dato dalla separazione dei fatti dai valori, o, detto in altro modo, dell’economia dall’etica” .
Quanti ai “limiti interni” alle persone, si parla di “atrofizzazione della relazionalità, profitto come unica dimensione valoriale, caduta della tensione morale ed etica, cinismo, egoismo, tutto e subito, senza assenza di limiti, assuefazione”.
Sembrano, insomma, finiti i tempi in cui il capitalismo, grazie alle risorse morali interne e ai suoi epici capitani d’industria, come nel XIX secolo, cresceva e si moltiplicava, guardando lontano Ora, invece, i capitalisti paiono vivere alla giornata, e spesso di profitti illeciti, spartendosi quel poco che resta… E ciò spiega il senso del titolo: Una “società a irresponsabilità illimitata”, dove manager e azionisti di riferimento, prima pensano a se stessi, truccando i bilanci (esemplari gli accenni al caso Parmalat, dove le anomalie contabili venivano considerate perfettamente normali). E poi, se ne resta, a dipendenti e consumatori . Quel che conta non è più la vendita del prodotto, ma il nesso fiduciario con le banche… Spesso frutto, come scrive Levi, di accordi interni a “un’economia dei compari” .
Il libro offre anche una parte propositiva. L’autore indica alcune vie d’uscita. Quali? La partecipazione dei dipendenti alle decisioni strategiche; l’ economia di comunione, dove i profitti vengono equamente divisi tra incremento dell’azienda, aiuti ai bisognosi, formazione di nuove motivazioni etiche nei lavoratori. Infine Levi, riprendendo le note tesi di Luigino Bruni e Stefano Zamagni, propone un’ “economia civile”, fondata sulla reciprocità. Tradotto: sulla sincera volontà di collaborazione tra datori di lavoro e dipendenti. Però, a dirla tutta, tra la parte critica e propositiva, si scorge un vuoto. Non di documentazione (tra l’altro, le pagine dedicate alla partecipazione sono informate e sinceramente ispirate). Ma in termini argomentativi. E spieghiamo perché.
Se alla base del modello di capitalismo italiano (e crediamo anche mondiale), c’è una caduta di tensione morale, risulta evidente che si tratta di una crisi è esterna al sistema capitalistico: una crisi sociale e culturale. Eduth Levi sembra invece propendere per l’ipotesi della crisi interna (coinvolgendo le strutture morali del solo capitalismo, degli attori economici, ma non quelle della società nel suo insieme, che perciò, sostanzialmente, sarebbe sana…). Ma se è così, come mai la crisi attuale sembra approfondirsi? Probabilmente, perché l’economia del mordi e fuggi ha fagocitato anche la società civile, che infatti appare, e in misura crescente, utilitaristica e corrotta. Ecco allora il punto: dove trovare in questo deserto ( sociale e culturale) che avanza dentro di noi, le basi morali per la partecipazione e l’economia civile e di comunione?
Non è un problema da poco. Probabilmente un ruolo importante, anche se non risolutivo, potrebbe svolgerlo la politica: la grande politica. Ma Eduth Levi non tocca l’argomento. E questo, purtroppo, è il limite del libro. Benché, la scelta dell’impoliticità, avvicini Levi a Pareto e Marx. Il che, crediamo, non dispiacerà all’autore. Anzi.