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La scimmia è nuda, e lo resterà finché non impara a fare il sarto

di Francesco Agnoli - 26/04/2007

Nella mia città, Trento, al Museo di Scienze

Naturali, imperversa una mostra: “La

scimmia nuda”, il cui messaggio è esplicito:

“Gli esseri umani sono animali”, punto e basta.

Solo animali. L’inizio è stucchevole: graziose

scimmie che saltano e si divertono e

una vocina (umana, si pensa) che spiega che

gli scimpanzé “hanno una vita sociale simile

alla nostra”, “sembrano intendersi anche di

medicina”, hanno una vita affettiva, anch’essa

analoga alla nostra… Inoltre “come gli altri

animali possiedono una cultura, molto

meno primitiva di quanto si pensasse, e l’etologo

Frans de Waal ritiene persino di aver

trovato i fondamenti della morale in varie

specie di scimmie”. Un etologo, dico uno, “ritiene”,

senza alcuna prova evidente, che la

morale sia presente anche nelle scimmie: già

da qui si evincerebbe, ma il passaggio è ancora

implicito, che il primato della coscienza

dell’uomo è una fola della religione.

Come poi questo senso morale si espliciti

non è dato saperlo: la didascalia non parla

del rimorso delle scimmie, dei processi

celebrati nelle “civiltà” scimmiesche, dei

confessori, degli psicologi, degli psicoanalisti

o dei tipi di Prozac di cui le scimmie,

che si intendono, appunto, anche di medicina,

fanno abitudinariamente uso… Neppure

spiega se via siano scimmie che discutono

sul diritto naturale e sulla differenza

tra esso e il diritto positivo, sulla liceità

o meno della fecondazione artificiale

o della clonazione, o che abbiano una libertà

tale da poter andare contro la loro

stessa natura, ad esempio sterilizzandosi.

La mostra prosegue spiegando che la

scimmia condivide con l’uomo il 98 per cento

del patrimonio genetico, “dimostrazione”

della comune origine. Ammesso e non concesso

quello che genetisti famosissimi come

Lejeune e tanti altri negano, bisognerebbe

spiegare come possono stare, in quel due per

cento di Dna di differenza, in quel “po’ di

materia”, e solo in esso, tutte le caratteristiche

tipicamente umane, quali il linguaggio,

le idee, la capacità artistica, la libertà, la capacità

di accumulare conoscenze culturali e

scientifiche… Anche perché poco oltre si

spiega che condividiamo il 90 per cento del

patrimonio genetico con i topi e il 21 con ogni

verme: che le scimmie, da cui noi deriviamo,

originino a loro volta dai topi e questi dai

vermi? Per coerenza si dovrebbe dirlo, ma

forse sembra un po’ troppo… Ma quali sono

le spiegazioni scientifiche che dimostrano

l’evoluzione dell’uomo dalla scimmia? Il perché

del bipedismo non è spiegato: si dice solo

“qualunque ne sia stata l’origine”, dimostrando

di non conoscerla. Riguardo al nostro

cervello, 25 volte più grande di quello

degli altri mammiferi, si ammette chiaramente

che poco ne sappiamo, e si afferma: “a

partire da circa 2,5 milioni di anni fa si fecero

molto forti i vantaggi evolutivi per aumentare

di taglia il cervello”. Come se fosse

solo questione di peso. Come e perché questo

aumento? Non è chiarito. Anzi, secondo

alcuni vi fu “un grande balzo in avanti dell’evoluzione”,

perché altrimenti non si spiegherebbe

nulla; secondo altri, invece, ci sarebbe

stata una “evoluzione graduale”. Due

tesi opposte. E il linguaggio? Sappiamo che

quello umano è unico. Noam Chomsky, nega

che sia possibile passare dalla non parola alla

parola. Andrea Moro, ordinario di linguistica

al San Raffaele di Milano, afferma che

“i primati possono imparare centinaia di vocaboli

come un bambino, grazie alla facoltà

della memoria, presente persino nei batteri…

Dopo i due anni però nell’uomo emerge

una facoltà nuova, la sintassi o composizione

delle parole in frasi, che esplode dopo i 4 -5

anni e rimane una caratteristica tipicamente

umana… In che modo l’evoluzione trasformò

la comunicazione animale e la condusse

al linguaggio umano? Se è vero che deriviamo

da animali privi di linguaggio (dogma

di partenza, ndr), allora esso deve essersi

sviluppato con il tempo e devono essere

esistiti stadi intermedi tra i versi delle scimmie

e i sonetti di Shakespeare”. Mai trovati

gli anelli intermedi del linguaggio? Mai, “devono”

essere esistiti: è scienza questa?

L’arte e la tecnologia? Ce l’hanno anche loro,

insiste la mostra. Lincoln, che non era

uno scienziato, notava però questa piccola

differenza: “I castori costruiscono case; ma

non le costruiscono in modo differente né

migliore di come le costruivano cinquemila

anni fa (agiscono cioè secondo istinto, non liberi,

ndr)… l’uomo non è l’unico animale che

lavora; ma è l’unico che migliori il suo modo

di operare”. Invece per i curatori della mostra

non è vero: le scimmie usano gli utensili

come noi, e dipingono benissimo. La prova?

Schizzi di colore buttati su tela, senza alcuna

logica, da una scimmia, incalzata dall’etologo

Desmond Morris, il nume tutelare

della mostra, uno capace di grandi intuizioni:

“La questione della sede dell’anima è stata

a lungo dibattuta. Sarà nel cuore o nella

testa, o magari diffusa in tutto il corpo, come

una qualità spirituale onnipervasiva, propria

dell’essere umano? A me, come zoologo, sembra

che la risposta sia ovvia: l’anima dell’uomo

si trova nei suoi testicoli, quella delle

donne nelle ovaie” (“Lo zoo umano”).

Siccome intelligenza, cultura, idee, autocoscienza

eccetera non sono spiegabili scientificamente,

quantitativamente, cioè non sono

misurabili, perché pertengono al regno

dello spirito, che non si vede e non si tocca,

bisogna negarne la specificità, l’esistenza, riducendo

l’uomo a materia in evoluzione e

mettendo tra parentesi, come se non esistessero,

le evidentissime differenze che ognuno

può notare tra gli animali e l’uomo. Ma questo

è riduzionismo: non una teoria scientifica,

ma una filosofia, o meglio un’ideologia.