Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Energia, natura e teologia

Energia, natura e teologia

di Simone Morandini - Fondazione Lanza (Padova) - 02/05/2007

  La nozione di energia può offrire spunti interessanti per un dialogo interdisciplinare tra forme di sapere differenti, in una comune attenzione alla salvaguardia del creato. Il riferimento ad essa, infatti,  può aiutarci a cogliere il rapporto che esiste tra diversi modi in cui facciamo esperienza del mondo - tra la lettura fattane da ogni epoca sulla base delle conoscenze tecnico-scientifiche disponibili e quella in prospettiva teologica. È questa naturalmente solo una prospettiva di dialogo, che non esclude certo il riferimento anche ad altre forme di sapere, ma che oggi appare particolarmente ricca di significato.

Teologia, mutamento eco-ecologico e secolarizzazione

  Se pensiamo al cristianesimo medievale, ad esempio, non stupisce che, in una condizione di disponibilità energetica limitata, l’esperienza del mondo accentuasse l’umana fragilità di fronte alla potenza della natura, come pure la comune dipendenza di entrambe da quell’unica fonte della vita che è il Signore. Così Ildegarda di Bingen, monaca ed acuta osservatrice della natura, metteva in bocca al Creatore queste parole “Io sono la suprema infuocata energia che ho acceso col mio soffio tutte le scintille viventi…Io, vita di fuoco della sostanza divina fiammeggio nella bellezza dei campi, riluco nelle acque e ardo nel sole, nella luna e nelle stelle” (Libro delle opere divine). Sarebbe interessante leggere qui il corrispondente simbolico – evidentemente su un piano assolutamente diverso da quello scientifico – del fatto fisico che ogni energia attualmente disponibile sulla Terra (fatta eccezione per quella atomica) viene in ultima analisi dal Sole.
   Nella stessa prospettiva potremmo, d’altra parte, ripensare la progressiva dinamica di secolarizzazione che caratterizza la modernità: a monte di essa c’è anche un mutamento economico ed ecologico assieme, caratterizzato dal passaggio ad un’economia che si volge a fonti energetiche, capaci di superare le limitazioni strutturali imposte dall’uso del legno e dell’acqua. È l’economia del carbone (e quindi del petrolio), che fa ricorso a stocks di energia accumulati in ere geologiche, per nutrire lo sviluppo di pochi secoli. Non stupisce che proprio nel corso di questa fase cambi anche la riflessione teologica sul tema: adesso l’uso della scienza e della tecnica viene interpretato come possibilità donata da Dio all’umanità di affermarsi come dominatori della creazione, quasi recuperando quel potere che era stato di Adamo prima della caduta. In questo senso Francesco Bacone rileggerà l’invito a “dominare la terra” di Gen. 1, 28, offrendo fondamenti teologici al progressivo imporsi di un’ideologia del progresso come realtà irreversibile, sempre e comunque voluta da Dio. È una traiettoria che la teologia cattolica prenderà più tardi e sempre con maggior cautela, ma che in taluni momenti si troverà a percorrere con una convinzione davvero difficile da condividere – si pensi, nell’ultimo dopoguerra, ad autori come Y.Congar e J.M.Chenu, con la loro teologia delle realtà terrene.
     L’inedita disponibilità di energia che caratterizza l’era del carbone si intreccia, dunque, con un paradigma culturale e teologico dinamico e proteso alla costruzione del novum, ma purtroppo spesso poco attento al limite, indifferente allo spreco, avido di risorse e appunto di energia. Un paradigma che ha, certo, sviluppato tecniche capaci di soddisfare in modo assai più efficace determinati bisogni, come testimoniato anche dal drammatico accrescimento dell’aspettativa di vita, specie in alcune aree. Un paradigma, però, che crea anche bisogni sempre nuovi, innescando una vorace dinamica di incremento della domanda di energia e materiali - senza una pari attenzione per le loro modalità d’uso. Non c’è dubbio che in questo contesto l’umanità faccia una nuova esperienza della propria potenza, della propria capacità di procurarsi energia e di gestirla, anche a prescindere da una reale considerazione degli obiettivi cui finalizzarla. Anche l’esperienza religiosa risente di questo contesto; penso a tutta la “teologia dello sviluppo” degli anni ‘60 e ‘70, ma anche – al di fuori del mondo cristiano – ad un fenomeno religioso come il New Age, caratterizzato dalla volontà di manipolare personalmente le energie personali, gestendone tecnicamente anche l’origine.
  Più che esplorare una tale ambigua forma di “mistica energetica”, preferisco, invece, soffermarmi su alcuni cambiamenti di scenario che hanno caratterizzato questi ultimi decenni.

Il presente: due choc

Mi riferisco, in particolare, a due choc di portata globale, che ci invitano a ripensare tale paradigma:
   - la recente crisi energetica che ha determinato un aumento vertiginoso dei prezzi.
   - il mutamento climatico determinato dall’effetto serra e la sua interpretazione su base antropica, che il IV rapporto IPCC rende ormai difficilmente contestabile.
     Quanto alla prima, si tratta di un tema sul quale i nostri media non mancano di informarci quasi quotidianamente, visti i suoi diretti riflessi sulle nostre spese. Ciò che va sottolineato è che – aldilà di fattori contingenti - ha una componente assolutamente strutturale, legata a dinamiche della globalizzazione che a tutt’oggi appaiono irreversibili. L’energia si presenta, infatti, come risorsa scarsa, in presenza di una domanda la cui crescita, secondo i trends correnti, non sembra affatto destinata a rallentare. Si pensi all’influenza del fattore Cindia (Cina e India), alla crescita economica di due paesi storicamente caratterizzati da bassi consumi e che si propongono invece ora come potenze economiche di livello planetario. Abbiamo dinanzi a noi un periodo in cui difficilmente l’energia potrà tornare ad essere facilmente disponibile e a basso costo.
     Meno sensibili – salvo nelle estati più torride – sono, invece, i nostri media ai possibile effetti del secondo fenomeno, che non sono certo di minor portata. La riduzione dell’estensione dei ghiacciai – inclusi quelli polari – gli spostamenti delle fasce climatiche e degli habitat di numerose specie animali e vegetali, la tendenza ad una crescita del livello degli oceani, la crescente instabilità climatica sono conseguenze dell’effetto serra che già iniziamo a sperimentare. È uscito nel 2006 un rapporto della sezione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulle misure necessarie al nostro continente per convivere col mutamento climatico, evitando ad esempio l’ecatombe estiva di anziani verificatasi un paio d’anni fa ed evidenzia la necessità di investimenti assai rilevanti. Soprattutto, poi, si pone il problema della mitigation: come arrestare la crescita continua delle emissioni di gas serra? Come promuovere misure più efficaci di quelle disegnate dal protocollo di Kyoto, che pure ha già tanto faticato ad essere recepito dalla comunità internazionale? Dove trovare le energie culturali per promuovere il necessario cambiamento di paradigma economico?

Un paradigma insostenibile

     Più che declinare la varietà di possibili misure tecniche, politiche ed economiche necessarie a far fronte a tali chocs, credo che quest’intervento debba sopratutto esplorare le sfide che essi pongono al paradigma culturale e teologico della modernità. Si tratta, mi pare, di avvisaglie, che preannunciano una crisi: anche se essa non è ancora su di noi nella sua forma più acuta, il principio di precauzione ci impone di prenderle sul serio e di mettere in opera le misure necessarie a farvi fronte. Nel linguaggio religioso, esse andrebbero lette come segni dei tempi, che il saggio è chiamato ad interpretare per comprendere dove ci voglia indirizzare il futuro di Dio. Oggi, in particolare, mi pare chiaro che essi ci invitano alla conversione, all’abbandono delle vecchie vie, ad un mutamento di paradigma. In quale direzione vadano le nuove è, però, assai meno chiaro: circolano risposte assolutamente inadeguate, che di fronte alla domanda di energia crescente invitano a rivolgersi a strade come il nucleare, che (fortunatamente) il nostro paese ha abbandonato da tempo. Sono prospettive che restano assolutamente all’interno del vecchio paradigma, incapaci di un reale cambiamento: di fronte alla crescita della domanda, ci si limita a prelevare di - più energia o più materia - incuranti delle conseguenze per il contesto ambientale.
     È questo, però, un orizzonte che non lascia spazio per il futuro, negato dalla forza dell’insostenibilità. Insostenibilità non certo solo locale: non abbiamo un altro bosco da tagliare, se quello presso di noi si esaurisce – come poteva pur sempre fare il consumatore di legname di una volta. L’attuale crisi dell’energia fossile è globale, caratterizzata da una scala planetaria, che non lascia alcun “altrove” cui indirizzarsi: nous sommes tous embarqués.
   Per converso, è chiaro che un nuovo paradigma, centrato sulla nozione di sostenibilità avrà al centro il riemergere della nozione di limite - categoria etica che la modernità sembrava ormai aver smarrito. Un limite che non ci è più immediatamente imposto dalla necessità immediata – dalla carenza di energia immediatamente accessibile - ma che siamo chiamati ad assumere nel tempo della libertà dispiegata e sostenuta dalla tecnica, in nome della responsabilità per le future generazioni. Un limite che non è vincolo paralizzante, ma condizione di possibilità per la vita stessa e per il futuro della specie umana. Un limite che invita a fare progetti, ad essere creativi dal punto di vista tecnico, ma anche a valorizzare quelle sapienze tradizionali che spesso vivevano e vivono di una profonda sintonia con la terra.
  Credo, però, che il punto focale sta soprattutto nella responsabilità, nei confronti delle future generazioni: la  responsabilità, infatti, è l’atteggiamento di chi sa rispondere (respondeo) alla sfide che vengono da una condizione umana sulla terra profondamente mutata; di chi sa considerare saggiamente il peso delle questioni che si trova dinanzi (rei pondus), per farvi decisamente fronte.

Per un’etica della terra: prospettive teologiche

  Abbiamo bisogno, insomma, di una nuova etica, ma essa esige pure di ripensare il paradigma teologico, orientandolo ad una prospettiva che è assieme anche profondamente antica. Va riscoperto il profondo legame dell’uomo con la terra – dell’Adam con l’adamah (terra, in ebraico), dell’homo con l’humus; occorre andare aldilà dell’antropocentrismo violento della modernità, per riscoprire la centralità di un Dio che crea assieme l’uomo e la terra. “Del Signore è la terra e quanto contiene” (Sal. 23, 1), mentre gli esseri umani sono amministratori, chiamati a coltivarla e custodirla (Gn. 2, 15), rispettandone l’integrità e prendendosene cura. La terra nella prospettiva biblica non è possesso, ma realtà preziosa, affidata alla generazione presente perché la abiti secondo giustizia, lasciandola abitabile a quelle future. Il suo valore non sta certo solo nelle possibilità che essa offre all’azione umana, ma ben di più nella sua capacità di supportare la vita – quella degli umani come quella degli altri viventi. Una corretta comprensione della libertà umana non può non misurarsi con quest’istanza che la invita ad una sintonia con realtà che la precedono e la rendono possibile.
  È una realtà affermata in numerose occasioni da Giovanni Paolo II, in particolare nel Messaggio per la Giornata per la Pace 1990 “Pace con Dio Creatore, pace con tutto il creato”. Anche Benedetto XVI vi ha fatto più volte riferimento nel suo ancora breve pontificato, sottolineando la grande importanza che la Chiesa Cattolica riconosce agli sforzi per la cura del creato: è il mondo di Dio, creato nel suo Verbo, che merita di essere tutelato attentamente.
  Non è casuale che proprio in questi anni anche la Chiesa Cattolica italiana abbia avviato diverse iniziative sul tema della responsabilità per il creato – penso ai seminari annuali promossi dall’Ufficio per i Problemi Sociali e il Lavoro, al database di documenti ecclesiali sul tema (accessibile da www.progettoculturale.it), fino alla proclamazione del 1 settembre come Giornata per il Creato a partire dal 2006. È la recezione di una prospettiva originariamente formulata nel 1989 dal Patriarcato Ecumenico  di Costantinopoli, e che ha già avuto ampia risonanza in Europa. Proprio la dimensione ecumenica è del resto centrale nella riscoperta dell’attenzione per il creatio da parte delle chiese cristiane ed anche la III Assemblea Ecumenica di Sibiu del settembre 2007 dedicherà ad essa uno dei forum di discussione
  Certo, tali interventi evidenziano pure che tale prospettiva va interpretata correttamente: proprio perché creazione di Dio, la teologia cristiana non pensa il mondo come realtà sacrale, che occorrerebbe lasciare imperturbata; il problema è piuttosto quello di comprendere come sia possibile agire al suo interno in forme sostenibili, capaci di mantenerne tutta la realtà vivificante. Dobbiamo essere capaci di custodire l’integrità del giardino donatoci proprio mentre lo coltiviamo – introducendovi, dunque, anche elementi irriducibili alle dinamiche della naturalità. Creazione dice di un senso del limite, di un valore di ciò che è: occorre ritrovarlo e mantenerlo forte, pur senza per questo necessariamente contrapporlo al cambiamento ed alla novità. Non si tratta di deprecare il nostro tempo, rimpiangendo paradigmi culturali del passato, ma di cogliere tutte quelle opportunità che oggi ci aprono possibilità inedite per la sostenibilità, criticando puntualmente invece quanto ad essa si oppone. È l’istanza di un discernimento attento della modernità, della ricerca di una saggezza nuova ed antica, che sa ascoltare assieme il canto della terra e la voce dei saperi scientifici, come pure la sapienza delle tradizioni religiose.
  Così anche il ruolo dell’uomo sulla terra, va pensato attentamente, non nel segno dell’antropocentrismo forte della modernità, ma nel riconoscimento della centralità del povero e del suo diritto ad accedere ai beni della creazione – in forme certo sempre rispettose della sua integrità. Emerge, insomma, anche al cuore di un’etica ambientale, un’istanza di giustizia intergenerazionale e intragenerazionale.

Quale energia?

 Prima di concludere, solo due parole per tornare al tema energia ed alla sua rilevanza in ordine alla sostenibilità. Due le direzioni cui guardare: da un lato, un’attenzione per le fonti rinnovabili, nelle quali torniamo ad attingere ai flussi di energia, riducendo quel sovrasfruttamento degli stocks che caratterizza l’economia degli ultimi due secoli. Dall’altro, però andrà soprattutto privilegiato il contenimento dei consumi - da realizzarsi sia nel segno della sobrietà, sia in quello dell’eco-efficienza, con la riduzione al minimo sia degli usi non necessari che degli sprechi. Il riferimento a pratiche tradizionali potrà intrecciarsi, così, con la valorizzazione del portato della migliore ricerca scientifica, a disegnare un’etica del consumo energetico responsabile, per le persone, le famiglie, le comunità, per il contesto sociale tutto. Ambiti come l’edilizia, il trasporto, l’agricoltura dovranno essere profondamente ripensati…
  Sono prospettive fortemente consonanti con la prospettiva teologica che abbiamo accennato in precedenza: l’energia è il dono sempre rinnovato della creazione di Dio, portatrice di una benedizione da valorizzare appieno, perché possa sostenervi la vita in forme durevoli, a lode e gloria del Creatore.

---------------------------------------------------------------------------------------------------

Segue corrispondenza fra Simone Morandini e Giannozzo Pucci, in merito all 'articolo riportato sopra

Caro Giannozzo,
ricevo oggi il numero dell'EcologistItaliano, che mi hai gentilmente inviato, con la sua elegante copertina e diversi bei contributi.
  Come puoi immaginare, ho però avuto qualche difficoltà con la tua introduzione tutta antimoderna, ma ne ho avute soprattutto con la versione del mio intervento che hai dato alle stampe, ben diversa dal file rivisto che ti avevo inviato - attenendomi tra l'altro scrupolosamente al numero di caratteri indicato. I tagli e le modifiche effettuati (che ho evidenziato in giallo nel file che ti allego) vengono a disegnare una prospettiva forse più simile a quella degli altri interventi del numero (incluso il tuo), ma nella quale non mi sento più di riconscermi molto. Solo un esempio: se io affermo che una certa modifica economica ed ecologica sta "a monte" dell'esperienza di  libertà della modernità, a che titolo convertire in "a valle"? Ed ancora, con che diritto sono stati soppressi tutti i positivi riferimenti alla tecnica inseriti nel testo?
A me piace sempre essere disponibile a dialogare e collaborare con tutti, ma è la prima volta che mi capita un fatto del genere... forse in futuro dovrò essere più attento...
Saluti
Simone Morandini

 

Caro Simone,
mi dispiace e mi disturba, interiormente, che Tu non Ti riconosca nel Tuo articolo. Dimostra una cosa che non avevo assolutamente sospettato: che le nostre posizioni in materia sono molto diverse. Se l'avessi immaginato non mi sarei sognato di toccare nemmeno una virgola del Tuo intervento. Certo sono viziato dalla "carta bianca" che mi danno gli amici, da Goldsmith a Fabbrini, giustificata appunto dalla condivisione di idee, in caso contrario non ci penso nemmeno a tagliare. Con Te ero rimasto molto impressionato dall'influenza che attribuivi alla teologia nella nascita del pensiero e della società moderna, il che combaciava con una parte delle tesi ultime di Illich che attribuisce a eresie teologiche non inividuate, la radice della modernità, per lui parte quindi dell'Ecclesiologia. Per questo Ti avevo chesto, un po' troppo all'ultimo momento, il Tuo intervento alla Madonna del Sasso con uno sviluppo, se possibile, di quella parte. Quando è arrivato eravamo alle ultime ore d'impaginazione e c'erano tre cose che non andavano:1) lo spazio (come hai visto l'articolo casca preciso e non sempre il numero di caratteri indicato prima è esattamente quello poi fattibile); 2) la parte teologica che avevo chiesto non era affatto sviluppata, anzi filosoficamente era stata capovolta rispetto a quanto ricordavo della Madonna del Sasso (dalla teologia come causa del pensiero della società, alla teologia come effetto di condizioni economiche, tecnologiche e materiali dela società, una tesi quanto meno da discutere con pareri diversi e non da buttare là come se nulla fosse); 3) era molto sviluppato il discorso sull'energia e quindi andava trasformato l'argomento come esempio del tema generale "la natura come rivelazione", non come argomento centrale. Per quanto riguarda il Tuo esempio "a monte", là ho proprio pensato che fosse un errore di senso (mi capita di trovarne), infatti quale è più forte la modifica economica ed ecologica che sta "a monte" della modernità o quella che sta "a valle"? Non mi risulta che ci fossero cambiamenti climatici dovuti alle attività umane a monte della modernità, nè mi risulta che la forbice fra la ricchezza del nord del mondo e la povertà del sud fosse quella di oggi "a monte" della modernità.
Ho riguardato tutti i tagli così bene evidenziati da Te nell'allegato e non riesco a riconoscere dei positivi riferimenti alla tecnica nelle parti tagliate, se me li indichi mi fai un piacere, perchè mi piacerebbe moltissimo iniziare una riflessione su questo tema fra cattolici, anche a partire dall'ultimo testo di Meunier "La paura del secolo XX°", che mi sembra una cartina di tornasole soprattutto ora, mezzo secolo dopo che è stato scritto. Ma vista la diversità di posizioni devo riconoscere di essere intervenuto illecitamente, e quindi pesantemente con la coscienza sporca, in un caso, quello della "nuova etica". Anche qui occorre un dibattito ampio. La nuova etica è un'espressione che si sente spesso formulare davanti alle deformazioni strutturali della modernità, ma non c'è nessuno ad inventarla e del resto come sarebbe possibile? L'etica è una e non cambia con lo scorrere dei secoli, delle mode, delle generazioni, delle culture e il cambiare delle religioni: ecco perchè è il punto di comune interesse di tutte. Ma a parte questo, che del resto non mi sembrava una differenza filosofica strutturale nel Tuo impianto, gli altri sono stati tagli che non intendevano travisare l'intervento.
In ogni modo, per riparare, vedo due compensazioni, visto che il volume è già tutto stampato: 1) mettere il Tuo articolo nella versione che vuoi Tu leggibile nel sito internet dell'Ecologist; 2) DarTi tutto lo spazio che vuoi senza toccare nemmeno i refusi (me ne guarderei bene a questo punto) nel numero su "scienza e tecnologia" che si farà fra un anno.
Cari saluti
Giannozzo

Caro Giannozzo,
ti ringrazio della tua celere ed affettuosa risposta ed effettivamente è chiaro che l'incidente nasce dalla non percezione di una distanza di posizioni, che cerco di articolare in breve:

- ti segnalo un passo in cui disegno come positivo un rapporto col mondo di tipo tecnico: proprio perché creazione di Dio, il mondo non va pensato come realtà sacrale, che occorrerebbe lasciare imperturbata; il problema è piuttosto quello di comprendere come sia possibile agire al suo interno in forme sostenibili. Non si tratta di deprecare il nostro tempo, rimpiangendo paradigmi culturali del passato, ma di cogliere tutte quelle opportunità che oggi ci aprono possibilità inedite per la sostenibilità.

- Anche l'incipit del mio articolo disegna un positivo interesse per   "un dialogo interdisciplinare tra forme di sapere differenti, in una comune attenzione alla salvaguardia del creato. Il riferimento ad essa, infatti,  può aiutarci a cogliere il rapporto che esiste tra i diversi modi in cui facciamo esperienza del mondo - tra la lettura fattane da ogni epoca sulla base delle conoscenze tecnico-scientifiche disponibili e quella in prospettiva teologica. "

- E' effettivamente mia convinzione che il passaggio dall'economia del legno a quella del carbone, rendendo disponibile una "potenza" precedentemente impensabile da un lato cambi il rapporto tra agire umano e base naturale (è un mutamento economico ed ecologico), dall'altro fornisca una componente importante della base materiale dell'esperienza di libertà moderna.

Così per quanto riguarda l'Evo di mezzo io ritengo proprio che "in una condizione di disponibilità energetica limitata, l’esperienza del mondo accentuasse l’umana fragilità di fronte alla potenza della natura, come pure la comune dipendenza di entrambe da quell’unica fonte della vita che è il Signore".

Con questo non intendo certo sostenere che la teologia sia determinata dall'economia, ma solo che il modo in cui diamo espressione concettuale al nostro rapporto con Dio è influenzato (anche) dalle forme nelle quali noi facciamo esperienza del mondo (tesi non originalissima, nè così isolata nel mondo della teologia). "A monte" ed "a valle", quindi, fa differenza....

é pure vero che il rapporto è bidirezionale; è pure vero, in effetti, che c'è una componente gnostica (eretica) in alcune matrici concettuali della tecnica moderna, ma non è ciò su cui mi soffermavo nell'articolo.

- Anche dire "nuova etica" o riferirsi alle  tradizioni etiche - cosa che peraltro io in più occasioni faccio - disegna prospttive differenti. In questo testo non dico una cosa di cui sono peraltro convinto: che la "nuova etica" di cui abbiamo bisogno non potrà che attingere alle risorse etiche tradizionali, che dovranno però a loro volte essere rimodulate opportunamente in un contesto mutato

Purtroppo, insomma, al di là delle intenzioni (che riconosco buone), le modifiche fanno una consistente differenza rispetto a ciò che intendevo dire nell'articolo

Comprendo, comunque, che i tempi e gli spazii redazionali costringano talvolta a fare tagli e modifiche troppo in fretta e possano portare a confusioni ed incomprensioni. Mi pare, quindi, che le compensazioni che proponi siano senz'altro accettabili. Chiederei, però, anche che la pubblicazione dell'articolo "controverso" sul sito sia accompagnato da parole che segnalino in qualche modo la presenza di discrepanze rispetto al testo pubblicato in cartaceo, riconoscendo in esso il frutto di una svista redazionale (o qualunque espressione tu preferisca usare) e soprattutto indicando nella versione on-line quella di riferimento

Oggi parlerò in una parrocchia di Venezia di "Spiritualità della creazione"; penserò anche a te che - come forse ti accenavo alla Madonna del Sasso - fosti il primo che sentii parlare di queste tematiche, quando avevo 15 anni, in un remoto incontro alla Parrocchia di S.Domnico di Fiesole
Ciao, a presto
Simone

Caro Simone,
scusa se ho lasciato passare troppo tempo, ma sono pressato da emergenze continue per l'anniversario di don Milani e altre cose. Siccome però è venuto il momento, anzi è già tardi, per mettere il Tuo articolo sul sito, vorrei che Tu mi mandassi la versione definitiva.
Con l'occasione rispondo anche alla Tua ultima.
La parola "mondo" ha almeno due accezioni:
1) nelle espressioni "Il principe di questo mondo", "non siete di questo mondo" ecc. si intende una costruzione sociale, istituzionale, economica, politica, giuridica ecc. basata in buona parte sulla hubris umana;
2) invece il mondo come madre terra, natura creata ecc. ha la sua origine in Dio, quindi una radice divina.
Non si deve prestare alla natura un culto che spetta soltanto a Dio, ma non bisogna nemmeno dimenticare che l'autorità della natura le deriva dalla sua radice divina e quindi esistono dei limiti intrinseci alla sua strumentalità. In altre parole non sarebbe possibile alcuna sostenibilità se non ci fosse qualcosa da lasciare imperturbato, o meglio obbedito nella sua rinnovabilità naturale. Addirittura in un'epoca come questa, dove lo sviluppo/distruzione ha superato ampiamente il punto di non ritorno, il modello da seguire è probabilmente quello dell'oasi, in cui i cicli naturali e la fecondità della terra vengono ricostruiti nel deserto attraverso un potenziamento delle capacità di simbiosi uomo/terra. Esistono appunto paradigmi culturali, come la simbiosi, che non sono del passato ma perenni, se si accetta l'ordine divino di moltiplicare la vita. Allora deprecare quello che è oggi maggioritario, anche se del tutto distruttivo, caotico e irrazionale, come lo sviluppo infinito in un mondo finito, è una condizione essenziale per "cogliere tutte quelle opportunità che oggi ci aprono possibilità inedite per la sostenibilità", anche perchè se non fossero inedite non ci sarebbe messuna possibilità per la sostenibilità in un mondo in rapida distruzione. Che però queste possibilità siano soltanto tecnologiche non si desume da questa parte del Tuo scritto. Potrebbero essere tecniche, come seminare e moltiplicare dati tipi di piante con mezzi semplici, anche solo manuali, ma con altissimi risultati. Infatti la tecnologia non può più pretendere di essere immune da giudizi morali, ma dovrà sottoporsi ad analisi di efficienza molto puntuli e accurate, visto i danni prodotti fin qui a fronte di promesse non mantenute.
Il dialogo interdisciplinare, e direi anche extra disciplinare per non rinchiudersi in una conoscenza soltanto scientifica, è un'apertura essenziale. Fukuoka dice che non è legittimo decidere se usare un concime chimico se alle decisione non partecipano oltre ai chimici agrari e agli economisti, anche entomologi, poeti, musicisti, religiosi ecc. Quando mai l'introduzione di una nuova tecnologia è stata preceduta dal consenso di decisori simili? Le conoscenze tecnico scientifiche come le definiamo noi funzionano sul principio di causalità. Ma molte delle sostanze che usiamo oggi, quasi tutte quelle che abbiamo preso dalla scienza degli indigeni, sarebbe stato impossibile scoprirle con la conoscenza scientifica attuale. Gli indigeni hanno sviluppato altri sistemi di conoscenza attraverso il fenotopo delle piante (cioè la parte che si vede) senza romperle per "vedere cosa c'è dentro", cioè senza guardare dal buco della serratura, ma osservandole in una lunga vicinanza, per cui riescono a vedere cose che non vediamo noi. Per gli indigeni la prospettiva teologica è inseparabile da quella scientifica, anzi la ragione della loro continua presenza nella natura è teologica, figlia di una cosmogonia teologica.
L'esperienza di libertà moderna, se si fonda sulla quantità di energia resa possibile dai combustibili fossili, non è universale, e nemmeno comunicabile, ma esistono forti dubbi che sia sostenibile e perciò fedele al comandamento "crescete e moltiplicatevi", perchè può continuare solo al prezzo della distruzione di moltissime forme di vita e di molti abitanti. Non è nemmeno detto che sia la forma più alta e saporosa di libertà.
La condizione di disponibilità energetica limitata è quella naturale e l'unica che promuova una vera economia di energia e metta l'uomo nelle condizioni migliori per assaporare la sua sovranità e la sua comunanza/dipendenza da Dio.
La parte più interessante della Tua tesi alla Madonna del Sasso, come ho detto, mi era sembrata proprio l'opposto di un determinismo economico sulla teologia, cioè che la teologia e gli errori teologici hanno determinato una deformazione della natura e dell'economia allontanandole dal progetto di Dio e dai cicli naturali della creazione, da cui la società è diventata come un cancro per la natura e non a caso il cancro è diventato anche la principale causa di morte anche per l'uomo. 

Per quanto riguarda la pubblicazione in internet, Ti propongo anche qualcosa in più, rispetto all'accenno che mi fai: potrei pubblicare anche tutta la nostra corrispondenza successiva all'articolo.
Un caro saluto e a presto
Giannozzo

Caro Giannozzo,
devo dire che la lettura della tua mail mi ha fatto molto pensare, spingendomi a rileggere una volta di più il mio testo e scoprendo che effettivamente alcune cose potevano essere dette meglio, in modo più meditato, chiarendo più efficacemente alcuni passaggi. Ho così inserito alcuni aggiustamenti nel file che ti invio e che puoi considerare come versione definitiva.
Riservo a questa mail solo un punto, per aggiungere una virgola a un "carteggio elettronico" che non mi dispiacerebbe affatto vedere pubblicato nel sito, nelle forme che vorrai - è davvero un'idea carina.
Si tratta della nozione di mondo, che effettivamente è davvero duplice: c'è un mondo per cui Gesù non prega, ed esso va tenuto ben  distinto da una comprensione del mondo come realtà buona nel senso di Gen.1. Non mi sembra però che la tradizione biblica identifichi tutto ciò che è costruzione umana (sociale, tecnica, giuridica...) come espressione di hubris: il problema è piuttosto di sottoporre a discernimento ogni opera umana, per verificare ciò che in esse esprime l'agape (e di questo niente vada perduto!) da ciò che dice invece l'avidità e l'egoismo autocentrato. Anche la modernità, con le istituzioni che la caratterizzano, mi sembra caratterizzata da un fitto (e talvolta ambiguo) intreccio tra tali due prospettive ed il discernimento mi sembra dover essere articolato e puntuale, "locale", più che globale. Credo di aver espresso chiaramente la critica ad una certa teologia che ne ha celebrato troppo facilmente lo sviluppo, ma penso che vi siano anche modi diversi, più consistenti, più articolati di pensare teologicamente il rapporto tra creazione ed azione umana. La libertà è più di quanto colga la modernità, eppure anche là vi sono intuizioni che non vanno lasciate cadere.
Ad un incontro ecumenico dal quale sono appena  tornato la pastora A.Zell ha espresso il sogno di una presenza nella creazione "discreta e tenera", capace di abitarla in forme rispettose. Sono parole che trovo preziose e che mi stimolano a pensare sempre e di nuovo cosa significhi questo per il nostro tempo; il dialogo con chi lo fa in prospettiva diversa è per me stimolo prezioso, del quale sono sempre grato.
Ciao, a presto
Simone

Caro Giannozzo,
sono sempre lieto di ricevere tui messaggi, anche se ogni volta misuro, assieme alla comune sensibilità etica, la distanza che separa le analisi del nostro tempo che facciamo.

Anche in quest'occasione mi vedo costretto a dissentire, non tanto sulla valutazione della negatività associata al presente sistema socio-economico, quanto alla totale assenza di considerazione degli elementi di qualità della vita che esso ha pure apportato - sia pur in forme contraddittorie e certo non per tutti. Senza la tecnologia informatica ad esempio questo carteggio non sarebbe mai esistito: io ho una moderata forma di disgrafia e non mi sarei mai messo a scrivere libri o articoli, neppure con la macchina da scrivere (ad altri di valutare se questo sarebbe stato un bene per l'umanità; sto solo pensando a ciò che tale pratica significa per la mia qualità della vita). Questo non vuol dire negare l'impatto ambientale che essa comporta, nè le sperequazioni associate al suo uso (il digital divide), ma solo riconoscervi elementi di positività, che meritano di essere diffusi e resi più sostenibili.
Non credo, d'altrra parte, che la condanna "semplice e pura" sia necessaria nè sufficiente per l'efficacia; preferisco l'analisi della complessità, l'individuazione degli interstizi nei quali far crescere quegli elementi di positività che emergono (anche perchè il sistema sa rendere funzionali a sè anche le condanne più nitide). Certo,le metafore eleganti non bastano, ma mi pare ingeneroso dimenticare quanto ho scritto qua e là - in termini forse un pochino più puntuali - sul tema
Un caro saluto
Simone