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Il Pentagono vieta l’uso del web a 200.000 soldati in Iraq e Afghanistan. Chiusi i nemici blog

di Maurizio Molinari - 04/05/2007

Usa, chiusi i nemici blog
Il Pentagono vieta l’uso del web a 200.000 soldati in Iraq e Afghanistan. Troppo spesso i loro racconti creavano imbarazzo o rivelavano segreti
Il Pentagono aumenta il controllo sui bloggers militari, sollevando timori di censura fra le truppe in Iraq e Afghanistan. «530-1: Opsec»: è questa la sigla del memorandum firmato dal maggiore Ray Ceralde con cui il Dipartimento delle operazioni di sicurezza del Pentagono ha ordinato agli oltre duecentomila soldati in Iraq e Afghanistan di astenersi dal comunicare attraverso blog e email «se non dietro autorizzazione dei superiori». Fino a questo momento i militari hanno potuto accedere al web attraverso l’Intranet «Army knowledge online», che richiede comunque un’autorizzazione governativa, ma ora le nuove regole impongono maggiori restrizioni, identificando in particolare nei comandanti di unità i responsabili delle attività condotte su Internet dai loro soldati.

La decisione è stata adottata dal nuovo ministro della Difesa, Robert Gates, nel tentativo di frenare un fenomeno dilagante: i racconti online di soldati al fronte, spesso disseminati di notizie relative a missioni, disposizioni operative e località coperte dal top-secret. Il memo datato 19 aprile, del quale il magazine «Wired» ha svelato l’esistenza, è stato recepito dalla blogosfera militare come l’annuncio di una vera e propria serrata. «Siamo di fronte all’ultimo bullone apposto sulla bara dei blog dei soldati combattenti», ha commentato l’ex parà Matthew Burden, direttore di «The Blog of War», che non esita a parlare di censura: «I blog in cui i militari raccontano le loro esperienze sono la voce più onesta che viene dalle zone di guerra e la scelta di pubbliche relazioni dell’esercito è di metterla a tacere».

In diverse occasioni in effetti proprio i blog militari sono serviti al Pentagono per difendersi da accuse: tanto nel caso del sospetto di armi illecite durante la battaglia di Falluja nel 2004 che in occasione dell’uccisione di Nicola Calipari a Baghdad nel 2005 i soldati americani affidarono al web versioni dei fatti che coincidevano e confermavano le posizioni del governo. D’ora in avanti comunque chi dovesse continuare ad affidarsi a Internet per raccontare le proprie esperienze senza la dovuta autorizzazione incorrerebbe in sanzioni crescenti: amministrative, disciplinari, contrattuali e anche penali che, in ultima analisi, potrebbero anche portare a un deferimento alla Corte marziale.

In realtà il regolamento appena entrato in vigore offre delle vie d’uscita: le email private non saranno controllate e i blog potranno essere gestiti dai militari dopo averli registrati presso la propria unità. Il maggiore Ceralde sostiene insomma che non si tratta di censura ma solo della necessità di regolare un fenomeno cresciuto in dimensioni tali da far temere una sorta di anarchia online da parte delle truppe.

L’idea di consegnare ai comandanti la responsabilità di autorizzare i blog non convince i soldati appassionati del web, come nel caso di Jeff Nuding - stella di bronzo in Iraq - secondo il quale «la conseguenza sarà che gli ufficiali non avranno altra scelta che negare le autorizzazioni, perfino alle email» per evitare di essere considerati responsabili di qualunque cosa venga scritto e trasmesso dai soldati. Ma non è tutto: poiché il memo del Pentagono ha validità in tutta la zona di operazioni la conseguenza è di vietare anche i blog gestiti da civili americani in Iraq e Afghanistan, a cominciare dai dipendenti di società di sicurezza private. Negli ambienti del Pentagono c’è chi non esclude che il provvedimento in realtà punti proprio a questi ultimi: diverse migliaia di civili che svolgono mansioni di sicurezza ed operano spesso a fianco dell’esercito e identificati a volte come fonte di fughe di notizie sensibili che hanno creato imbarazzo in ambienti militari. Ma non tutti sono d’accordo con questa interpretazione, come nel caso di John Donovan, un ex ufficiale dell’esercito titolare di blog, secondo il quale i «contractors» altro non fanno che «mettere online quello che ci diciamo fra noi quando andiamo a pranzo o ci sediamo al bar».