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Iraq, scontro sul petrolio che intanto sparisce

di Sabina Morandi - 05/05/2007

 
Sunniti e curdi contro la legge sulla divisione dei profitti
I contatori mai riparati incentivano il contrabbando


Qualche settimana fa il Financial Times annunciava trionfale che l'Iraq potrebbe avere il doppio del petrolio stimato. Potrebbe essere una buona notizia se non fosse che tutta questa abbondanza rischia di alimentare ancora di più il conflitto fra i due gruppi che abitano le zone petrolifere - curdi e sciiti - e i sunniti che un tempo lo governavano, conflitto reso incandescente dalla discussione della nuova legge petrolifera e dei nuovi criteri di suddivisione dei proventi della vendita del greggio. Curdi e sunniti hanno già fatto sapere che il disegno di legge partorito dal governo in febbraio non li soddisfa, e che difficilmente passerà il vaglio del Parlamento malgrado le pressioni della Casa Bianca. Ma nuove stime sulle estrazioni e nuove ripartizioni delle royalties tra curdi, sunniti e sciiti non fanno comunque i conti con un dato concreto: i sistemi di misurazione del petrolio estratto dai più grandi giacimenti - quelli nel Sud del paese - sono stati bloccati con l'arrivo degli americani, e non sono più stati riparati.
Sotto accusa finiscono due compagnie statunitensi che avevano vinto - senza gare - gli appalti per la ricostruzione dell'intero settore: la californiana Parsons e la texana Halliburton, famosa soprattutto per gli appalti gonfiati e per aver avuto il vice-presidente Cheney come amministratore delegato. La reazione alle accuse di avere gonfiato le spese e violato i contratti semplicemente trasferendosi a Dubai, negli Emirati Arabi. Ovviamente non è dato sapere se Parsons e Halliburton abbiano volontariamente dimenticato di riparare i "contatori". Resta il fatto che, mentre le truppe vigilano sull'Al Basra Oil Terminal - il terminale di Bassora, da dove parte l'85 % del greggio iracheno - il contrabbando è sempre più florido e il petrolio sparisce nel nulla. In che quantità non è dato sapere visto che, appunto, i sistemi di misurazione non funzionano da quattro anni.
Secondo CorpWatch sono tre le vie battute dal contrabbando. La prima è quella "ufficiale" che richiede la complicità dei funzionari del porto di Bassora, di quelli della South Oil Company , la compagnia statale che si occupa dell'estrazione, e di quelli della State Oil Marketing Organization , altra compagnia statale che si fa carico del trasporto negli oleodotti fino al terminal. Nel porto di Bassora le petroliere brasiliane, indiane, thailandesi e americane fanno la fila per riempirsi le stive di oro nero e, molto probabilmente, i comandanti accettano di firmare ricevute al ribasso (che dichiarano un carico inferiore a quello effettivo) in cambio di consistenti mazzette. Un trucco ovviamente impossibile senza la collaborazione degli ufficiali statunitensi e iracheni incaricati di controllare le attività portuali.

L'altra via del contrabbando è indiretta. Bisogna sapere che l'Iraq, malgrado sia seduto su riserve degne dell'Arabia Saudita, importa ogni giorno una gran quantità di benzina dai paesi vicini, spendendo una fortuna. La maggior parte del combustibile importato dall'Iran, dal Kuwait, dall'Arabia Saudita e dalla Turchia viene venduto agli automobilisti locali a un prezzo tenuto artificialmente basso con i sussidi governativi, il che rende questa spesa la più consistente del budget dopo i salari degli impiegati pubblici. Basti pensare che nel 2005 l'Iraq ha speso 4,2 miliardi di dollari - su un prodotto interno lordo che si aggira sui 24 miliardi - per importare la benzina, e nel 2006 sono stati superati i 5 miliardi. Il contrabbando "risucchia" il petrolio sussidiato dal governo per rivenderlo all'estero a prezzo intero. In questo modo, secondo il calcolo del ministero del Petrolio, sono stati sottratti alle casse dello Stato circa 800 milioni di dollari che sarebbero dovuti servire per la ricostruzione.
Infine c'è il furto diretto dalle raffinerie e dalle pipelines, un altro giro d'affari che sfiora il miliardo di dollari. Il petrolio rubato viene rivenduto al mercato nero in giro per il paese oppure contrabbandato oltre confine, dove può essere rivenduto a caro prezzo. Secondo il Pentagono è da questo canale che la guerriglia ricava le risorse necessarie per comprare le armi, anche se non ci sono prove a riguardo. Al contrario, durante l'operazione "Mani oneste" lanciata dagli americani nel marzo scorso, è apparso evidente che i funzionari arrestati non avevano alcun legame con gli insorti ma, in compenso, si arricchivano allegramente con il contrabbando. Pare che un tal Ibrahim Muslit, responsabile della raffineria di Baiji, sia riuscito a far sparire in un giorno solo ben 33 auto-cisterne...