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Disorder (recensione)

di Enrico Pietrangeli - 07/05/2007

 

Gianfranco Franchi

Disorder

Edizioni Il Foglio – 2006 – 10,00 Euro

 

 

Prima di affrontare la lettura di questo libro, mi sono predisposto nel giusto ordine d’idee: Disorder. Unkonwn pleasures sono scivolati sul mio giradischi. Joy Division, ala dura e pura, esoterico primordiale, possibile rituale pagano del punk più rivoluzionario, quello fulminante ed immolato. Sono gli ultimi eroi della terra consumati in angosciosa fretta, quelli del nulla. Frammentazione, cupa polverizzazione di un mondo. Danza Shiva, il rockettaro pure, Iside implode e si rivela alla luce: suicidio. Gli anni Settanta stavano per terminare, tre papi si succedevano sul trono di Pietro e Gianfranco, finalmente assemblato, veniva alla luce. Protagonista è Guido Orsini, alter ego dell’autore in una serie di racconti brevi con trama e stile volutamente debordante; tra reale, onirico e cosciente delirio. Guido è figlio di un borghesia colta, mitteleuropea, giunta all’apice della sua decadenza. Perduto nei meandri del frenetico niente del suo tempo, si ritrova, nauseato, a scavare dentro il suo nulla; lì cerca radici, elementi primigeni, selvaggi ed istintivi per rigenerare vita nel tempo. Non stenterà, il buon Guido, a sperimentare molestie sul suo gatto o contendere spazio al pacifico geco, ma mai ad armi impari. Il libro inizia con apparente quiete e linearità descrittiva per poi osare valicando le strutture narrative. Continua nell’ibridazione del testo, associandosi spesso a suoni e parole delle canzoni, finanche ad erompere dalle strutture sintattiche. E’ l’universo femminile che innesca questa iperbole creativa e distruttiva al tempo stesso e che, non a caso, prende forma già dal terzo episodio intitolato Complemento oggetto. Prende quota, contemporaneamente, una buona dose di poesia visionaria, percettività che Gianfranco, al pari del suo personaggio Guido, sembrerebbe comunque non perdere mai di vista. E allora ecco “un prato di Marlboro rosse accendersi” e “un esercito di fiammiferi tinti d’inchiostro scrivere sulle nuvole”, ecco comparire Mascheri che, oltre a scrivere la prefazione del libro, si sdoppia in quanto narrato dell’autore sino a prendere forme polivalenti. Cecì n’est pas le paradis: “niente ninfette ninfomani e imbecilli che fondano gruppi rock”. Volontà d’amicizia, quella vera e più classicheggiante, e tanta tragedia amorosa di stampo cavalleresco. Tristano e Isotta, tra i suoi possibili modelli. Al mare Orsini resta con “un vecchio televisore ed una vecchia radio” , al rock e a Radio Rock non saprà rinunciare. E con l’eccezione di David Bowie, quello di Rock’n roll suicide, la colonna sonora è perlopiù nineteen: Radiohead, Massive attack, Blur, Verve.. Nevermind  e Kurt fanno qua e là capolino, consistenti alla stregua di un sottotitolo. I Cocteau Twins sono la magia che non poteva mancare nel suo ricorrente rifugio, ritrovo e ricordo del Gianicolo. Un protagonista che non elude le tematiche sociali e politiche, che si fa portavoce di un’originale forma di antiberlusconismo, quella più etimologica e ai più poco evidente. Quella che Claudio Lolli, proprio mentre Gianfranco nasceva, non esitava a cantare in queste tinte: “la socialdemocrazia è un mostro senza testa”. Di fatto questo paese resta senza liberismo, senza comunismo e senza lavoro. Questo è lo scotto della generazione di Guido Orsini ed oltre, arrangiati e denigrati nella precarietà di una concreta indipendenza che vede i patriarchi ostinati nel continuare ad arraffare qualcosa che ha già toccato il suo fondo: “tutto è acqua corretta con qualche medicina”. “Mi chiamo Guido Orsini e non ho senso; sono un ruolo che non c’è in un mondo che mi sta disintegrando.”  “Sono la compassione della povertà e l’empatia della fragilità, sono la zavorra borghese e la decadenza delle arti.” Libro, anche questo, dotato di “un biglietto di ritorno” nella postilla, dove il narratore diviene personaggio insieme a Guido scorrazzando in auto, con “abbastanza benzina per arrivare fin dove volevi tu.” Un piccolo, grande libro…

 

 

Nota di Enrico Pietrangeli - 2006