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Il mistero impenetrabile dell’universo femminile (recensione)

di Mario Santagostini - 07/05/2007

 

 

Ogni nuovo libro di Ferruccio Parazzoli si inserisce in una più vasta «commedia umana» che attraversa l’Italia nella transizione tra gli ultimi decenni del secolo passato e la nostra modernità. Se dietro uno stile alligna sempre qualche forma di gnoseologia, di visione delle cose, di giudizio etico, Parazzoli è un pessimista duro fino al radicalismo che osserva un’umanità destinata a una infinita, irrimediabile degenerazione.
Figure, gruppi, ambienti metropolitani o domestici sconfinano in forme di caricaturale distorsione, di instabile deformità. Così è per i protagonisti di Quanto so di Anna. Raccontata da un disincantato, acuto, colto e ossessionato voyeur dell’universo femminile che si sforza di risalire a una radice razionale. Eppure, esauriti tutti i passaggi, dovrà arrendersi e constatare che quell’universo è destinato a restare impenetrabile. Può, certo, tradursi in materia narrativa, ma non essere capito fino in fondo. Il «femminile», allora, si rivela per ciò che è: mistero, sensualità solare dai rovesci oscuri, torbidi, illogici. Dalle infinite variabili che a volte impazziscono e che non si lasciano ricondurre a schemi. Forse, le donne che girano e ritornano nel romanzo, che attraggono o respingono sono la stessa figura raddoppiata, moltiplicata, multifocalizzata. Con un vissuto, una psiche sempre lievemente o esplosivamente in eccesso rispetto a quella che qualcuno si ostina a definire normale e che, di fatto, altro non è se non una proiezione dell’immaginario maschile.
E dunque avviene che un narratore dichiaratamente e onestamente sessuato parlando delle donne parlerà di quanto gli sta più vicino e, nello stesso tempo, lontano. Verrà irretito, affascinato e disingannato. Per questo, lo «scrittore delle donne» (inventiamo una categoria ad hoc e troviamo gli antecedenti da Flaubert in avanti) oscilla tra la seduzione passiva, l’attrazione e una latente, trattenuta misoginia. Che lo fa diventare analista spietato, lucido e lo disabilita alle conclusioni. Soprattutto in presenza di figure anomale come Anna: zeppe di tensioni, attese, slanci e risentimenti. Capaci, di ogni pensiero e gesto. Anche di svanire senza offrire traccia. E lasciando chi le sta intorno in uno stato incerto, tra il lutto da elaborare e il ricordo da ribadire. Forse, proprio per questa attitudine all’improbabile o all’assurdo, quello femminile è per Parazzoli un universo illeggibile e ancora separato, autonomo. Forse, la postmodernità impazzita di Parazzoli lascia ancora intravedere uno spazio per il mito più arcaico e consolatorio: quello dell’eterno femminino.

Ferruccio Parazzoli, Quanto so di Anna (Mondadori, pagg. 299, euro 17,50).